Il grosso cane sta immobile al di là del cancello. Mentre passiamo, ci scruta, poi comincia a ringhiare. Ci fermiamo a guardarlo e lui si avventa contro le sbarre abbaiando. Gli diciamo qualcosa per rabbonirlo, ma lui rinforza la rabbia minacciosa. Andiamo oltre e lui, appena siamo usciti dal riquadro del cancello, smette di fare quello che un cane da guardia che si rispetti deve fare: tenere lontani i malintenzionati. Lui è sí amico dell’uomo, ma solo dell’uomo che gli dà la pappa e gli garantisce una cuccia. Benché non dica parola, esprime con una mimica inequivocabile la sua intenzione di impedirci ad ogni costo di violare la proprietà per la quale lavora, o, se vogliamo, per cui parteggi, che è in definitiva, prosaicamente, anche la sua. È quindi un animale espressivo alla potenza. Il suo comportamento non si presta ad equivoci. Ogni latrato vuole dire: attento, se irrompi nella proprietà che io difendo, ti azzanno. Essenziale, efficace, diretto. Non ha bisogno di articolare parole. Anche, perché, volendolo, non può farlo.
Come mai lui e tutti gli altri animali possono esprimersi soltanto con versi, modulati in squittii, ciangottii, miagolii, sibili, trilli, soffi, ululati, barriti, ma non con una sillaba o un insieme di sillabe composte in una singola, eloquente parola, o in una serie di parole a comporre una frase intelligibile per esprimere uno stato d’animo, una volizione, un beneplacito o un’avversione, un odio o un amore?
Nessun animale può farlo, a qualunque specie, ordine o famiglia appartenga, se non con l’uso dello strumento fisico: strisciando, mordendo, leccando, beccando, pavoneggiandosi, quindi sempre e soltanto con il corpo e le parti piú duttili di esso.
L’uomo invece può farlo con la parola, a qualunque nucleo umano appartenga, che sia evoluto o primitivo, geniale o stupido, e ciò perché è dotato, dicono gli esperti, che ne hanno studiato il meccanismo fisiologico, di una molecola, il FOXP2.
È un codice genetico, secondo gli evoluzionisti, che però a tanto si fermano, senza spingersi oltre il limite materico dell’anatomia, ignorando che la conformazione della glottide umana è comune a diverse specie animali.
S’impaludano nella chimica e nella genetica. Parlano infatti di sequenze proteiche, di tratto poliglutamminico, codificato da una sequenza ripetuta di estensione variabile nei vari taxa e generi, concludendo infine che soltanto due amminoacidi dividono noi umani dallo scimpanzé. Sciorinano la trita illazione deterministica per cui l’uomo discenderebbe dalla scimmia.
Se vanno avanti con tali idee, finiranno loro con il risalire a un plantigrado che si esprimerà con un esperanto di parole senza costrutto. O finiranno con il comunicare a gesti. Ma è una battuta, poiché sappiamo che l’uomo, qualunque cosa faccia, è destinato ad angelicarsi o dannarsi. Poiché è dotato dell’Io, perdendo il quale non sarà condannato a essere muto, ma col ridursi al nulla, il che è peggio.
L’uomo sarà, è scritto, la Decima Gerarchia, e parlerà con luce sonora, che lo vogliano o no i “mangiatori di ghiande”, come Padre Pio usava definire i materialisti. L’uomo non deve la sua divinità al FOXP2. Ha l’Io che elabora il pensiero, e questo la parola. Gli animali parlano per mezzo dell’astrale, che esprime attraverso il linguaggio di movimenti e sonorità allusive dell’apparato fisico odio, amore, gioia, dolore. Si sacrificano cioè al mutismo, nell’attesa che la prevista evoluzione dia loro finalmente la parola, l’incomparabile dono di cui è stato dotato l’uomo il giorno in cui per lui, creatura muta, inerme, prona alla terra, scoccò la scintilla che, sollevandolo dal fango, lo rese artefice della propria vita, gli consentí di percepire la natura e dialogare con il Divino.
Ora, il dialogo si è interrotto, oppure viene disturbato da interferenze e aberrazioni sonore, per via che sono all’opera i trafficanti dell’etere e i manipolatori semantici, gli insonni e perseveranti sabotatori che da tempo immemore confondono le lingue, viziano le sintassi. Per cui la confusione è grande e la tabe del fraintendimento, la malizia del dire, il dolo dell’equivoco guastano il gene, il FOXP2, e il nostro parlare con la Natura e con Dio si estrinseca in un balbettio smemorato e vano. Ma anche questo era nelle opzioni lasciate all’uomo perché la sua spiritualizzazione fosse vera, perfetta.
Teofilo Diluvi