Mi dibatto in problemi continui e sono arrivato a non comprendere la funzione del dolore nella vita. Perché non siamo invece stati creati per progredire nella gioia e nella serenità? Perché dobbiamo continuamente affrontare dolori fisici e morali? Se poi si sceglie di seguire una via come l’antroposofia, perché questa non ci permette di arrivare a uno stato di beatitudine, come quella promessa (e mi dicono concessa) a chi segue il buddismo?
Ennio G.
Il cammino interiore che noi percorriamo ci porta ad affrontare delle difficoltà nella coscienza, e della coscienza, dato che affiniamo la nostra sensibilità riguardo a quello che avviene nel mondo. E possiamo anche sentire il dolore molto di piú rispetto ad altre persone, ma questa è un’esperienza positiva. Non deve essere la voluttà del dolore, ma la capacità di accettare un elemento di dolore che non deve sopraffare l’Io. L’esperienza spirituale vera fa sperimentare molto dolore. Per questo altri nostri lettori ci hanno scritto parlando delle difficoltà che continuamente devono affrontare, e si chiedono anch’essi se non sarebbe stato meglio seguire una disciplina come quella buddhista, o altre simili, che promettono, o garantiscono, pace e serenità interiore. Dobbiamo rispondere a questi ricercatori dello Spirito, che se è la tanto reclamizzata “Peace and consolation” cui aspirano per evitare il dolore, sono solo vinti dalla paura e non andranno molto avanti nel loro sviluppo spirituale. Il dolore deve essere conosciuto come una forza che richiede la coscienza desta. Il dolore può sopraffare l’uomo solo perché l’uomo lo teme. È la paura che rende intenso e minaccioso il dolore. La via della Scienza dello Spirito, la via di Michele, è una via dell’Io: l’Io si deve misurare con le forze avverse e con le difficoltà che sono del suo karma e anche del karma dei propri fratelli, che è il suo stesso. Non dobbiamo credere che l’ottenimento finale della via dello Spirito sia uno stato di calma e di serenità, nel quale guardiamo gli altri dibattersi nelle loro difficoltà dall’alto della nostra impassibilità, che è invece una forma di ottusità. Noi dobbiamo diventare forti per assumere responsabilità piú gravi e per poter aiutare gli altri, comprendendoli e sostenendoli. Anzi, Massimo Scaligero diceva che si sentiva preoccupato quando non venivano difficoltà da superare. La conoscenza è certamente risolutrice del dolore, ma con la conoscenza arriviamo a un punto in cui ci fermiamo. Per andare oltre, per salire, abbiamo bisogno del dolore. Quando comincia l’autentica attività dell’Io indipendente dal corpo, possiamo sperimentare quel dolore spirituale che fortifica. Arriviamo a sentire un dolore intenso e profondo che non riguarda noi stessi ma l’uomo in generale. Diveniamo allora liberi dalle miserie e dai personali dolori quotidiani, e sperimentiamo con lucida coscienza quanto l’umanità tutta deve ancora evolvere per raggiungere un reale sviluppo interiore e sociale. A quel punto dobbiamo accettare di fare un ulteriore sforzo per aiutare questo processo di evoluzione e renderci degni di sostenere il peso degli altri. Questo peso l’hanno sostenuto, in maniera incommensurabile, i nostri Maestri, che hanno cercato in ogni modo di proiettare la luce dello Spirito in quanti li circondavano. Se comprenderemo a fondo quali e quanti sono stati i loro sforzi, il grande dolore patito, ci libereremo dell’idea che la nostra via deve condurci a una condizione di serafica soddisfazione, al di sopra del resto dell’umanità.
Come possa la signora Emanuela estrarre un concetto dal quadro complessivo propostoci dal Dottore per me rimane un enigma di cui mi assumo ogni responsabilità. Cosa vogliano significare i lemmi “vegetariani” od “animalisti” riposa solamente nelle sinapsi della Nostra, dal momento che l’etimologia è stata completamente stravolta.
Giorgio
Ho letto la geremiade di Emanuela a proposito del vegetarianesimo. Feci una scelta alternativa alla carne a 20 anni, quando esercitavo la professione di Dietista ospedaliera nel lontano 1968. Fui facilitata, a quel tempo, dall’approccio con persone che avevano intrapreso una via spirituale ben precisa. Se all’inizio il movente fu di natura salutistica, col tempo prese una svolta morale, maturata da anni nella compassione e nell’orrore per la sofferenza e l’uccisione di “creature” che reputo aventi il mio stesso diritto alla vita! Se tale sentimento non permea colui che si alimenta onnivoramente, che continui a cibarsi come ha sempre fatto, significa che non darà alcun contributo all’evoluzione umana.
Daniela
Pur condividendo pensieri in linea con il nostro percorso di discepoli della Scienza dello Spirito, dobbiamo però comprendere che molte persone, anche se si sono incamminate per questa via, trovano assai difficile distaccarsi da abitudini e “tradizioni” che sin dall’infanzia hanno fatto proprie. Verrà il tempo per ognuno di compiere un simile passo, guidato da quella compassione per tutte le creature viventi cui occorre appellarsi per compiere il giusto passo verso un diverso e piú giusto metodo di alimentarsi. Chi non lo farà come scelta personale, vi sarà costretto perché la società stessa progredirà al punto da eliminare le attuali aberrazioni degli allevamenti intensivi e dei mattatoi. La strada è lunga, ma come Rudolf Steiner ha predetto, non sarà il vegetarianesimo il sistema di alimentazione finale. Quello sarà solo un passaggio. L’uomo arriverà ad assumere i minerali di cui il suo corpo ha bisogno, superando gli appetiti che ora guidano la sua ricerca di soddisfazione attraverso il cibo.
Leggo sempre la vostra rivista con molta attenzione. Ritengo di dover portare nel mondo alcuni contenuti, che forse appaiono scontati, ma non se percepiti direttamente dall’osservatore. Pertanto invio una piccola traccia su come una semplice osservazione possa giungere ad avvicinarci al mistero della vita. Incontriamo la vita quando ci scontriamo con essa, quando le cose vanno male, quando, nonostante i nostri sforzi quotidiani essa ci appare immutabile. In verità la vita ci appare mostrando i nostri limiti. Essi ci appaiono dolorosamente immutabili. Dobbiamo affrontare la vita, sopratutto quando essa ci limita e costringe. In verità, siamo noi stessi che limitiamo la nostra vita. Facciamo parte della vita, ne siamo parte integrante. Cerchiamo stabilità, sicurezza e forza, scappando da essa. Ma solo accettandola, finalmente ne potremo fare parte. La vita è rischiosa, imprevedibile, dolorosa e quasi sicuramente finisce, per come la conosciamo, dopo un certo numero di anni. Ma sappiamo, che anche senza di noi essa continuerà in questo e in altri mondi. Non la comprendiamo solo studiando e lavorando, ma solo se per un attimo la guardiamo per quello che è. Essa è tutto ciò che non comprendiamo, essa è tutto ciò che non afferriamo né conosciamo. Solo nei momenti di crescita ci avviciniamo fino quasi a toccarla, ma subito la nostra indole le chiude la porta in faccia. Apriamoci ad essa e finalmente ci parlerà, basterà ascoltare e seguirne la corrente per essere finalmente vivi.
Corrado
Una interessante considerazione, in parte condivisibile. In effetti la vita è rischiosa, imprevedibile, dolorosa e a termine, per come la conosciamo, ma è anche emozionante, esaltante, provvida e generosa. È tutto ciò che non comprendiamo, non afferriamo né conosciamo, ma è anche ciò che abbiamo conquistato con l’esperienza e abbiamo reso al mondo con la nostra personale partecipazione in campo professionale, affettivo, artistico. È vero che siamo noi stessi, a volte, a limitare la nostra vita, ma nel farlo accettiamo quanto il karma ci presenta, e in questa accettazione c’è il germe della risoluzione, mentre nell’opporci al karma è insito il suo ripresentarsi in altra forma ma con lo stesso livello di difficoltà. Il vero impegno cui dedicarci, per essere finalmente vivi nel modo piú giusto, è lavorare per lo Spirito.
C’è un quadro, nel monastero di San Giovanni a Rila, in Bulgaria (lo si può vedere in internet) che rappresenta Michele che uccide un saggio o un uomo di alto rango sociale. Voi potreste dare una risposta a chi rappresenti quell’uomo sotto i piedi di Michele?
Enrico Manzoni
La risposta può essere trovata proprio in internet, in particolare su Pinterest: «L’Arcangelo Michele tormenta l’anima dell’uomo ricco». La traduzione di ciò che compare nell’iscrizione in alto è:
«Архангел Михаил мучит душу богатого»
(https://it.pinterest.com/pin/482940760033214370/).
Abbastanza scontato il significato: la ricchezza non porta alla santità, ovvero, chi si dedica alla cura delle cose del mondo, difficilmente può elevarsi al Mondo spirituale. Certo è però che nei tempi attuali (o forse in tutti i tempi), chi ha la necessità di procacciarsi il necessario per mettere insieme il pranzo con la cena, e magari un vestito e un riparo per la notte, ha anche lui poca possibilità di elevarsi. Occorrerebbe “la giusta via di mezzo”: né troppo né troppo poco. E questo dovrebbe essere procurato da una civiltà umana che fosse vera e non una parvenza di civiltà, che invece si prodiga a depredare i molti a vantaggio di pochissimi.