A chi si pone il problema, si offrono due modi per accedere al soprannaturale: vedere per credere e credere per vedere. Tommaso era seguace del primo, e per questo venne rimproverato dal Cristo risorto e apparso ai suoi nel Cenacolo. Francesco d’Assisi aveva scelto il secondo metodo, per questo dialogava con il Cristo e sentiva gli Angeli cantare nel bosco del chiostro dei benedettini, sorto sulle rovine di un tempio pagano. Qui, da epoca immemore, eteree presenze immanevano cantando. Dal chiostro, Francesco e i suoi primi confratelli ricavarono la Porziuncola, diventata poi la Basilica di Santa Maria degli Angeli. I devoti cristiani dei primi tempi, attribuirono alle schiere angeliche della nuova religione le voci che melodiavano tra i rami del fanum, il bosco sacro dei popoli protoitalici. Poiché una è la divinità, una la religione. L’uomo è troppo orgoglioso per accettare questa verità. Francesco aveva però dismesso l’orgoglio che gli veniva dal casato e dalla sua natura bellicosa e aveva abbracciato Sorella Povertà, facendosi umile tra gli ultimi, e voleva estendere la beatitudine del suo rapporto con il divino a tutti gli uomini e le donne gravati dalla pena del vivere, dalla povertà materiale e dalla miseria dell’anima. E la piú grande prova d’amore del divino per l’umanità era stata la venuta al mondo del Figlio di Dio, nato in povertà, tenuto in sospetto dal potere, messo a morte perché la creatura umana, irretita dal peccato, venisse redenta e riportata al suo ruolo trascendente e al giusto rapporto col divino.
Quella notte di dicembre dell’anno 1223, Francesco volle sperimentare il metodo del credere per vedere, e si decise a farlo con una rappresentazione sacra: il Presepe. Il senso del Presepe, o anche Presepio, può essere letto in vari modi. C’è quello semplice, devozionale, con i variopinti personaggi, dal caciottaro rubizzo al pescatore incantato dalla stella cometa, dall’oste che serve un’allegra tavolata, al pacioso cacciatore, con cioce e schioppo, che corteggia la lavandaia presso il laghetto specchio, dimenticandosi della volpe che lo sbeffeggia, infrattandosi in un cespuglio di muschio e licheni secchi, importati dalla Cina. C’è poi il senso artistico. Le figurine dei personaggi hanno abbandonato da tempo la loro consistenza argillosa per assumere quella di materiali piú preziosi e raffinati. Per cui, a mezzanotte del 24 c.m., verrà deposto, da mani accorte di adulti o da quelle incerte di qualche bimbo nuovo dell’esperienza, il Bambino. Il gesto ripete quello che Francesco d’Assisi compí nella notte fatata del 24 dicembre del 1223 a Greccio, in quel di Rieti, dando inizio al rito del Presepe, anzi del Mistero, poiché quella prima volta solo i Tre della divina Famiglia erano stati incaricati della rappresentazione scenica della nascita del Redentore. Tre statuine, la mangiatoia di cannucce e paglia secca, il bue e l’asino. Niente altro. La leggenda dice che a mezzanotte una forma angelica di infante radioso venne a colmare il cestello di paglia e stecchi. Francesco la sollevò e la strinse al petto. Per le aspre cenge e i ciglioni scuri del monte balenarono luci sideree, voci angeliche sciolsero inni. Al freddo e al gelo era venuto il Bambino di Betlemme, nelle insidie piú che diaboliche, dovrà nascere il Bambino di oggi.
E noi, ammirando il Presepe, ci auguriamo di trovare fuori ad attenderci un mondo intento al sublime, che cerca il Vero, che dà una mano, magari due, per fare il Paradiso. Un’utopia? Non del tutto. Poiché il colorito scenario del Presepe, con la gioiosa umanità che lo anima, rappresenta il modello ideale, il canone aureo di una società che ha realizzato i presupposti del Bene. Fanno gioco nel finto scenario l’abbondanza sulle bancarelle di cibarie, la sicurezza delle strade affidata a militi in allerta, i droni angelici librati a controllare lo spazio aereo, il tutto allietato da concertini di cantori e musici rapiti nell’estasi totale. È il vivere sereno di una comunità senza assilli. Tutti pastori. C’è tuttavia un elemento principe, anzi re, in tanto successo. Sono i Tre che nella grotticella di sughero formano una famiglia: un Padre, una Madre, il Figlio. Un triangolo perfetto, una sintesi di santità e amore. Cosí dovrebbero essere le famiglie, ovunque nel mondo, a dispetto delle congiure disgreganti che gli Ostacolatori rinfocolano insidiando l’Io profondo degli esseri umani. Tutto parte da quelle grotta, dal Mistero che in quella portentosa notte vi si realizzò. Da allora, esso si offre a noi come un dono. Basta volerlo accettare e farne la linea guida e il traguardo finale della nostra condizione di creature sviate da mille e piú luci ingannevoli, sedotte da richiami che l’ego modula per frastornarci. Alla Grotta, dunque, per vedere nascere la Luce che salverà il mondo. Poiché, è stato detto, basta credere.
Elideo Tolliani