Scintilla inestinguibile

Socialità

Scintilla inestinguibile

Il Sessantotto a RomaI furenti anni del Sessantotto hanno portato all’Occi­dente la messa in discussione di buona parte dei valori di cui si è nutrita per secoli la sua civiltà, fatta di ombre e luci, esaltazioni e disperazioni, slanci creativi e deliri di vacuità. Con la rivoluzione sessantottina vennero esautorati i modelli fondanti in ogni ambito, dall’arte alla scienza, dalla cultura alla politica, soprattutto ci fu la destituzione dialettica dei princípi religiosi e delle pratiche che vi si conformavano. Presi da un totale rigetto dei tesori spirituali e filosofici accumulati in millenni di storia, ci fu la corsa al nirvana ready made della meditazione trascendentale, allo yoga con tutte le sue gratificazioni psicofisiche. Betel e diete da sadu sostituirono i digiuni e le astinenze. Soprattutto, con un’azione intenzionale o accidentale che fosse, venne emarginata, se non ridotta a un insignificante fenomeno di infatuazione messianica, la figura del Cristo, la cui natura divina fu assimilata a quella dei tanti guru e maestri tantrici di cui pullulavano i centri, le scuole e le palestre del nostro Paese, sulle cadenze ritmiche di tabla e sitar, nelle pungenti evanescenze degli incensi di sandalo.

Sacconi rossiMolto era, per la verità, folklore, moda e fascino dell’esotico nelle varie esperienze di culti, dottrine e pratiche orientali. Gli Hare Krishna che ballavano, coloriti e gioiosi per le strade del centro di Roma al suono di cimbali e tamburelli, non portavano nulla di nuovo sotto il sole dell’Urbe, che aveva conosciuto le processioni di Cibele e quelle piú tetre dei Sacconi Rossi per i riti del Venerdí Santo. Il richiamo delle religioni orientali fu però, se non incoraggiato, tollerato da chi aveva interesse a che il Cristianesimo perdesse il suo nucleo mi­sterico, costituito dal Cristo, il Verbo incarnato che in una cupa notte di duemila anni fa, nascendo, portò la Luce all’umanità.

Ma con le rivolte “fragole e sangue” vennero anche i fiori nei cannoni, l’ecologia, il vegetarianesimo. Come dice il proverbio, non tutti i mali vengono per nuocere. La grande febbre della rivolta studentesca, propagatasi poi con rapidità sorprendente ad ogni condizione socioculturale, operò, come avviene nell’organismo in lotta con il malessere, una sorta di catarsi che insieme alla rimozione, anche violenta e drastica del vecchio, catalizzava processi innovativi insospettabili, di cui si facevano autori e attori gli stessi fomentatori della rivolta generazionale e culturale.

Insieme alle distruzioni, infatti, ci furono incredibili illuminazioni. TerapoeticaMentre operava la follia sacrilega degli imbrattatori di altari, Basaglia proponeva di umanizzare l’approccio alla follia detentiva, demolendo le sbarre del sospetto sociale ben piú serrate delle vere. E mentre Nanni Balestrini oltraggiava la Musa poetica con i suoi dissonanti borborigmi e vocalizzi, sui banconi delle farmacie romane apparivano, su iniziativa di un’ignota associazione medico-letteraria, dei libriccini che, echeggiando la grafica fiabesca rodariana, ma con piú realistici intenti, proponevano ai valetudinari clienti non pasticche e tisane, ma la panacea della “Terapoetica”. Per conoscere gli effetti dell’inedito farmaco non c’era bisogno del bugiardino. Bastava leggere le parole in versi che componevano le brevi poesie, una decina, in ciascuno dei vari volumetti proposti in collana, e la terapia si dinamizzava, agendo non sull’apparato fisico del malato, almeno non subito, in prima istanza. Lo avrebbe fatto, garantivano i promotori della cura, nel percorso di ritorno dall’organo che rap­presentava il bersaglio vero della terapia: il cuore. Da intendersi in senso lato, e quindi non il muscolo cardiaco bensí quel nucleo piú intimo e segreto, l’insondabile sfera dell’Io. Se la Terapoetica abbia prodotto guarigioni non è stato statisticamente accertato. Ma la poesia, e quindi la Parola, che ne costituisce l’ingrediente essenziale e unico, sana lo ‘scordato strumento’ mediante il ritmo, il suono, la musica che ogni sillaba produce e il poeta, se ben ispirato, compone.

Tutte le creature hanno sensazioni e sentimenti. L’astrale, questo magma sopito nell’intima sostanza genetica, si accende a ogni minimo evento lo solleciti, lo colpisca o piú semplicemente lo adombri. Stupore, ansia, timore, attrazione o ripulsa dinamizzano le pulsioni suscitate, e la creatura reagisce. Gli animali lo fanno con versi ed emissioni sonore, con movimenti coordinati in una sorta di linguaggio mimico molto espressivo. A chi o a cosa si rivolgono nell’emettere suoni, comporre vocalità, o nell’esternare movenze ritmiche ordinate sull’interiore turbarsi della sfera astrale legata al sentire? Gli animali si rivolgono ai loro simili, tra cui, in senso lato, anche l’uomo, e con maggiore trasporto alla Madre che li nutre e li sostiene: la Natura. L’anima di specie, di gruppo, si rivolge alla cosmica ordinatrice per risolvere i propri assilli esistenziali, per esternare il dolore o la gioia di vivere.

E gli umani? Questa enigmatica specie, unica nel suo genere e nelle sue effusioni, eccentriche rispetto al codice regolare e ordinario dell’universo, ha un diverso referente: possedendo un Io, si rivolge direttamente al Creatore, al Grande Spirito, all’Atman, in un rapporto privilegiato di scambi, oblazioni e devozioni.Ave Maria all'Università di Macerata L’uomo prega. Lo hanno fatto, di recente, gli allievi di un corso all’Università di Macerata. Sono stati invitati dalla professoressa a recitare un’Ave Maria, in occasione del centenario delle apparizioni di Fatima, per in­vocare la pace nel mondo. Nobile e utilissima intenzione. Chi non vorrebbe la pace, con i tempi che sembrano non offrire altra soluzione che la guerra alle beghe che travagliano i popoli della Terra, senza eccezione alcuna? Eppure, l’iniziativa della docente ha fatto gridare allo scandalo i pretoriani del laicismo piú fervido, sempre all’erta ovunque si manifesti un rigurgito di quel devozionismo ingenuo, tipico della bassa forza intellettuale. Il mantram suggerito dalla docente consisteva in una semplice, breve orazione, la prima che si insegna ai bambini cattolici, e che Cristoforo Colombo faceva recitare dai raccogliticci equipaggi delle tre caravelle, durante le piú severe tempeste incontrate nei diversi viaggi di scoperta del Nuovo Mondo. Una sola volta, quando ormai un tornado stava per sbaragliare la precaria flottiglia, Colombo uscí sul ponte e, ritto nel vortice, libro in una mano e crocefisso nell’altra, recitò l’incipit del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo…». Caravella ColomboLa preghiera del Navigatore dell’ignoto per placare le tempeste del Mare Oceano, l’Ave Maria di una classe per diradare lo smog di odio che soffoca l’umanità. Al dunque si chiamava in causa, con uno strumento mistico, l’unica forza, quella trascendente, per operare un miracolo, la pace universale, che le contorte e sterili formule dialettiche ideate da politici e gerenti del potere non riescono a concretizzare. Quando ci provano, non fanno che ispessire la coltre di nebbia venefica che grava sul mondo, allargando i cimiteri. La preghiera non lede e non punge, eppure c’è stata una generale levata di laici scudi contro la breve orazione recitata nell’aula di Macerata.

Un simile ricorrere alle armi, da parte della fervida vigilanza laica, si è avuto per un’altra rogazione, quella che a fine ottobre è stata rivolta dal clero e dai fedeli, alla “Madonna Nera”, la Iside Sophia, del Santuario di Oropa, per vincere la siccità che aveva colpito per mesi buona parte del nostro territorio e del pianeta. Madonna di OropaPer l’occasione sono state ripristinate trenodíe liturgiche, si sono spolverati vessilli e stendardi crociati, schiarite le voci dei questuanti per invocare “le lacrime di Dio”, chiedendo però il miracolo attraverso l’intercessione di Sua Madre, come accadde a Cana. L’azione dei sodalizi laici si è spinta fino alla stesura di un manifesto in cui si intende dimostrare come la Bibbia – ma soprattutto i Vangeli, obtorto collo coabitanti dal Concilio Vaticano Secondo con i testi veterotestamentari – espongano fatti e verità difficilmente verificabili, e pertanto latori di dog­mi confessionali che influenzano le norme che dovrebbero regolare in modo laico il patto sociale, ponendo gli stessi credenti, se ancora ne esistono, in una condizione di dubbio.

Come mai tanto scandalo hanno suscitato innocue petizioni orali, senza forconi, senza manganelli, con processioni multicategoriali, che hanno attraversato sterpaie e brughiere, rampato per rocce e gradoni? Perché qualcuno ha insinuato l’idea che, forse, la preghiera possiede una forza che fa paura. A tale riguardo, una considerazione. Si è instaurata, a livello ecumenico, quella che si potrebbe, a ragione, definire “la polizia del lessico globalmente corretto”, emanazione del “ pensiero unico”. Un’onda lunga della Santa Inquisizione, ma che fa parte di una piú ampia e remota deriva storica del lessico “aggiustato” da parte del potere assoluto, o anche relativo, per definire i propri intoccabili e inalienabili attributi e meccanismi coattivi e repressivi, dall’ambito culturale a quello politico, accademico, artistico, scientifico e giú giú fino al domotico, all’estetico, al gastronomico. Ne è nato un linguaggio che al presente si accorda e si intona ai piú o meno assoluti regimi universalisti che fissano ormai i sacri parametri della vita sociale. Nel caso di cui qui si tratta, è stato concepito da parte di paesi della governance occidentale un “Manuale di scrittura inclusiva”, per cui nel caso citato non è corretto dire: “l’uomo prega”, ma “l’uomo/donna prega”.

In Francia il presidente Macron, volendosi distinguere, ha fatto adottare dalle scuole primarie un trattatello di “bonne écriture” in cui, ad esempio, nelle professioni e mestieri dei genitori, gli alunni devono specificare la doppia variante maschile femminile, tipo attore/trice, dottore/essa, con esiti indici­bili. E cosí in Inghilterra, con le dovute differenze per la grafia. I tedeschi, per un’innata tendenza al perfezionismo e alla disciplina, hanno esasperato la questione arrivando a sanzionare con multe salatissime, e persino con chiamate in giudizio, i trasgressori e gli inadempienti delle prescrizioni del manuale. È un decalogo di stretta osservanza che hanno voluto separareda quelli piú blandi in uso presso i popoli di manica larga, piú corrivi, dandogli un nome dalle inflessioni teutoniche impronunciabili: “Netzwerkdurchsetzungsgesetz”. Si prospetta di estendere l’uso del manuale di scrittura inclusiva ad altri paesi. Quanto ai social network che intendessero mandare in rete post con messaggi ignoranti le regole di scrittura inclusiva,i/le guardiani/ane del pensiero unico minacciano multe di ben 50 milioni di euro! Qualcuno stigmatizza questi eccessi calvinisti come bavaglio al libero pensiero, e di conseguenza al libero parlare, la tanto decantata libertà di parola, che non è solo il correlativo oggettivo del cogitare, funzione fisiologica che Cartesio e i suoi epigoni scorgono in un meccanismo di ghiandole e interconnessioni cellulari. La parola è ben altro. Lo dicono, per altre illuminazioni, poeti e Maestri.

Shelley Difesa della poesiaScrive infatti Shelley in Difesa della poesia: «Le parti di una composizione possono essere poetiche, anche se l’intera composizione non è una poesia. Una singola frase può essere considerata come un tutto anche se si trova in mezzo a una serie di parti slegate; anche una singola parola può essere una scintilla di pensiero inestinguibile».

Mario Luzi, in Parole e cose, “I poteri demiurgici della Poesia”, scrive: «Nominare le cose non è solo identificarle ma anche battezzarle, dare loro avvio, cioè il senso e il destino. Nomen est omen, infatti. È necessario, assolutamente necessario per l’uomo preservare questa potenza di nominazione, questo bisogno fondamentale del linguaggio, dato della sua creatività che lo assimila alla creazione in atto, in atto perché continua, del mondo; e ve lo include come fattore integrante di un infinito processo o di un grande trascendente disegno: il che lo assolve da ogni altro bisogno di giustificazione, perché cosí è e sente di essere proprio là dove deve essere, dove è l’opera del mondo. Il poeta Mario LuziÈ, questo della nominazione, un potere trasmesso, una traccia appunto della genesi e del suo autore e, per quanto sia quasi derisorio e impietoso parlarne a questo livello di disumanizzazione, un barlume di divinità. Paradossalmente lo richiamano tutte le rivolte, anche le piú efferate della insubordinazione moderna; insubordinazione all’assenza di linguaggio, alla proliferazione della non parola sotto specie di parleria cifrata convenzionale, a tutto ciò che blatera per non dire. Tutte le rivolte, anche quel­le delle armi che nei nostri anni si sono sostituite mostruosamente alla lingua ritenuta inservibile. Quando diciamo nome e nominazione non si vuole semplicemente dire il raccordo tra la cosa nuova e la nuova parola che la designa, ma piú in generale e inesauribilmente la profonda e piena appropriazione della realtà in tutti i suoi aspetti e accidenti come continua scoperta, rivelazione primaria allo stato nascente. E possono essere le occorrenze gli oggetti della nostra piú trita quotidianità quando improvvisamente escono dalla grigia, inosservata insignificanza della routine e si manifestano, ci parlano, e dunque si nominano, e cioè legittimano e intimano il loro nome e lo sanciscono con la nostra effabilità, con la nostra volontà di parola.

In definitiva l’esperienza del linguaggio non manca di una sua vertigine: espone l’uomo al soffio e alle energie delle origini; appunto perché lo immerge e lo immedesima con il principio e con il divenire; con l’essere ugualmente manifesto nel permanere e nel mutamento. Ogni esperienza profonda del linguaggio conosce il confronto tra la morte e la vita; perché la nascita della parola viva esige l’uccisione sacrificale di altre parole divenute inservibili per usura ed estinzione di significato».

Rudolf Steiner, nella conferenza tenuta a Berlino l’11 ottobre 1905 (O.O. N° 93a), cosí enuncia: «La creazione intuitiva proviene dal “nulla”. Colui che vuole arrivarci deve liberarsi completamente dal karma. Allora, non può piú prendere i suoi impulsi là dove l’uomo li prende normalmente. L’atmo­sfera che allora l’invade è quella di beato nel Signore, stato che è definito anche Nirvana».

Nella conferenza tenuta a Basilea il 21 settembre 1909 (O.O. N° 114) Steiner precisa: «La sfera del linguaggio è sottratta all’arbitrio umano; vi agiscono temporaneamente gli Dei».

E ancora, nella conferenza tenuta a Berlino il 19 ottobre 1906 (O.O. N°96): «Di tutto quello che conquistano oggi i quattro sensi inferiori, niente ancora s’incorpora nell’anima eterna. È soltanto quello che si può esprimere a parole, quello a cui l’uomo può dare dei nomi – basta che la parola sia solo pensata e sia anche interiormente sentita – che proviene dalla parte eterna, imperitura dell’uomo. Tutti i pensieri che possono essere espressi in parole, i sentimenti che pervadono l’uomo con abbastanza chiarezza da permettergli di esprimersi in parole, tutti gli impulsi che l’uomo può veramente esternare, che non vivono in lui come oscure pulsioni ma che sono cosí chiare da potersi tradurre in parole, tutto quanto proviene dalla parte eterna dell’uomo. Per questa ragione la parola è qualcosa che fa parte del fondamento eterno dell’uomo. Quando dunque si comincia molto generalmente a parlare di quello che è eterno, si deve, nel senso piú letterale, parlare della parola, del Verbo. Quando la Terra entrò nella sua fase evolutiva, quando l’evoluzione della Terra cominciò su Saturno, questo primo germe della parola c’era già. Questo primo germe è sorto soltanto sulla Terra. Bisogna prendere del tutto alla lettera la frase: “All’inizio era il Verbo”. La parola è l’inizio di quello che è l’eterno nell’uomo. …La parola, la parola udibile, è la prima cosa dell’uomo che sia utilizzabile per la futura costruzione del mondo. Tutto quello che producono gli altri sensi non è per niente utilizzabile per l’evoluzione che la Terra deve ancora compiere».

Massimo Scaligero in un suo articolo dal titolo “Compito eroico dell’Arte e della Letteratura” da noi riportato nel giugno 2008, parla dell’arte della parola: «Nel momento in cui la parola si distacca dalla realtà di una vicenda interiore o di un’azione vissuta in stato di lucidezza cosciente, per limitarsi al compito di carezzare l’udito, di distrarre l’anima, di far vibrare il sentimento, ossia per essere soltanto suono, artifizio abilmente escogitato, essa cessa di essere simbolo di una forza, e, vivendo di una sua vita periferica, senza alcun legame con una reale “necessità” interna, si riduce a retorica, a piacevole musicalità disgregatrice. …Ritornando a vita insorgente e creativa un’anima architettonica, la parola non sarà piú inganno al servizio dei letterati e degli astratti infecondi, ma adombrerà cose e imprese: essa non risonerà come immagine della realtà della nostra coscienza, ma esprimerà il segno “analogico” del potere della nostra coscienza sulla realtà. Attraverso essa un nuovo mondo di simboli emergerà, e l’essenza stessa della natura avrà viventi significati per il nostro Spirito, non piú chiuso alle voci cosmiche e ai messaggi annunciati da tutto ciò che è imperituro e infinito, ma libero e risvegliato sul grande flutto del tempo».

E sull’ascolto della parola, nella rubrica FiloSophia, abbiamo riportato l’articolo dal titolo “Arte di ascoltare” (agosto 2011), in cui Massimo Scaligero scrive: «Si lasci giungere nell’anima il suono della voce di chi parla, il senso delle sue parole: si ascolti realmente, per conoscere nella sua interezza che cosa ci viene comunicato. …Si scoprirà che si tratta di un atteggiamento nuovo, che non s’era mai prima di allora sperimentato: si sentirà farsi in noi una calma che può accogliere l’altro e che può dargli modo di esprimersi con una libertà che in lui tende normalmente ad affermarsi, ma che viene sempre respinta dal non trovare risonanza all’esterno. Si può scoprire che non v’è creatura da cui non si abbia da imparare qualcosa, che si può rimanere silenziosi ad accogliere la comunicazione di un essere semplice lasciando cosí che la sua anima si immerga nella nostra e vi rechi risonanze che fanno parte del mistero meno conoscibile della vita interiore e a cui sarebbe difficile trovare altro linguaggio che quello dell’arte o della filosofia. …La parola allora si ravviva del “calor cogitationis”, in cui filtra l’intelligenza del cuore e nasce quella comunione che è il germe della vera socievolezza, ossia della fraternità».

E ancora Scaligero, nella lettera apparsa nella rubrica AcCORdo (agosto 2003), dal titolo “Il possente coraggio”, scrive: «…Quando nella parola potrà risonare la potenza dello Spirito, e sarà il suono della voce il veicolo della Forza, allora non sarà piú necessario discutere o dimostrare o combattere dialetticamente per sostenere la verità, ma la si affermerà mediante la parola: avrà la potenza della realtà obiettiva. L’errore potrà solo allora cominciare a essere vinto: la menzogna solo allora comincerà a crollare. Questa possibilità è ciò che l’uomo deve preparare: l’elevazione purificatrice, il superamento e la trasformazione della tenebra, in un impeto di donazione rigeneratrice, una possente identità con le forze della guarigione e della Resurrezione, che sono le forze del Christo. È questa superiore eroicità che oggi viene richiesta per essere veicoli della Forza-Christo nel momento piú critico della storia dell’uomo».

Mistero del PresepeIl Mistero sta tutto lí, nelle tre figure del Presepe, un Bambino, una Donna e un Uomo che ogni anno vengono a testimoniare che la Luce vince le tenebre, che la Verità e la Vita sempre trionferanno. Che la Parola, strumento privilegiato che la creatura umana possiede, ha nella sua risonanza, nel suo timbro vocale, nelle vibrazioni e screziature il magico potere di stabilire con il Divino un rap­porto di scambio: da una parte la preghiera, dall’altro la Grazia.

Un giorno non lontano, si spera, una mutazione avverrà nell’apparato vocale, per cui la Parola creerà corpi, plasmerà le forme, comporrà i colori e le assonanze del mondo. L’inestinguibile scintilla, che al principio brillò nell’oscurità del Nulla portandovi la vita, è sempre attiva. È il fuoco sonoro che parlò dal roveto ardente, che si accende nella mente umana e la ispira. Oggi piú che mai il Verbo può dare all’umanità smarrita il viatico, la guida per portarsi fuori dal labirinto della materialità, dal buio dell’Io orfano dello Spirito, nella piena Luce dell’Avvento solare.

 

Leonida I. Elliot