Ludopatia

Costume

Ludopatia

 

Se tornasse il Poeta in questa Italia,

a suo giudizio “di dolore ostello”,

si stupirebbe nel vederla intenta

ad abbassare leve di buratti

con sopra icone di pupazzi e frutta

ruotanti ai colpi della mano, e l’occhio

che ne scruta il disporsi allineato

dei simboli, vincenti se gli stessi,

altrimenti un segnale che la slot

s’è mangiata la paga o lo stipendio.

Ahi serva Italia, donna di servizio

delle rapaci multinazionali

che fanno un bingo d’ogni vita e luogo

e lotteria ventiquattr’ore il mondo,

complici i governanti biscazzieri:

si va dalla roulette al totocalcio,

dal gratta e vinci alle scommesse in rete,

regnano trading, brokeraggio e risiko,

l’azzardo droga come la marianna.

È la partenogenesi dei soldi.

Un popolo in bolletta ha perso il gusto

di girare la ruota del destino,

di togliere la benda alla fortuna

e confidare nella Provvidenza.

Ma avendo perso fede e patrimonio,

è adepto incauto dello strano culto:

prega le macchinette mangiasoldi,

il gioco in Borsa, il Banco Lotto, i nuovi

idoli che ammannisce la finanza

aspettandosi pane e sicurezza.

Vittime dunque del perverso incanto

che induce l’improbabile ricchezza

calcolata sul nulla, i nuovi martiri

dell’inganno, ridotti al lumicino,

hanno diritto a mille e piú scusanti.

Per cui, se mai tornasse l’Alighieri,

invece di ammonire gli italiani

versificando di una certa rogna,

che avrebbero, a suo dire, per natura,

cosí mitigherebbe la terzina

del divino poema imperituro:

«…e lascia pur grattar ché la bisogna,

quando colpisce con il piglio duro,

batte la parsimonia e la vergogna!».

 

                                       Il cronista