Vivere l’elemento dell’ostinazione è innanzitutto osservare il portato che il bambino ritmicamente rivela, quale inconsapevole sintesi di un processo di terapia ancora incompreso, poiché esprimentesi entro l’arco di forze cosmico-zodiacali (zoe), la cui espressione dovrebbe essere confinata entro la regione subdiaframmatica; risuonanti, in realtà, con la vita organica (bios): esprimenti, quale musica delle sfere, intimità nella distanza.
Nell’uomo adulto, il pensiero può sconfinare (o meglio, abitualmente sconfina) entro una regione organica, divenendo veicolo di forze d’organo, venendo cioè veicolato da residui di forze organiche incombuste. L’ostinazione è l’inciampo da cui ci si muove (come sperimentatori e come osservatori), senza mai constatare l’elemento d’inciampo. Per cui ogni fenomeno d’ostinazione risponde, in misura dettagliata, ad un tipo di intervento; intervento che sempre risulterà individuale, unico.
Tuttavia non posso non evidenziare che la relazione con l’ostinazione, espressa ad esempio nella relazione con un bambino avente polarità autistica, sia possibile assolvendo nell’educatore il portato inespresso dalle forze linguistico-grammaticali. Un simile bambino, vive nella fedeltà alla struttura grammaticale interiorizzata nella disposizione del maestro. Una fedeltà alla parola intuita, al suono che si fa parola, alla pervasione di forze strutturanti e costantemente fuggenti. La grammatica è l’imbragatura entro cui il bambino autistico, volentieri, si lascia contenere.
L’educatore dovrà allora parlare di quello che sa, attraverso le forze di cui dispone, nella chiarità di una parola che non deve lasciare il minimo dubbio al disorientamento interiore; una è l’azione della verità fluente dal parlato, altra è la forza esprimentesi mediante strutturazione cosciente dell’enunciato. La forza ritmica prodotta da questo scandire, offre un respiro tendente alla terrestrità.
L’ostinazione di un bambino avente polarità autistica è spesso prodotta dall’impossibilità di porre freno ad un surplus di forze zodiacali. In questo modo il maestro prevede l’ostinazione; non perché essa debba essere preveduta, battuta d’anticipo, ma perché essa può essere risolta.
L’ostinazione, nel suo manifestarsi, non andrebbe ostacolata. Essa è la rappresentazione di un dramma che ha la sua ragione di essere programmato, spettacolarizzato. Il punto è la continua interferenza dei moti interiori di un pubblico che confonda ogni volta la rappresentazione per dato reale; in questo processo si ravvisa un deficit della coscienza dell’osservatore, nella sapienza di un attore che riesca ad annullarsi onde ospitare in sé il daimon o ascoso contenuto interiore.
È possibile che all’educatore sia richiesto di entrare, quale attore, a partecipare alla rappresentazione. In tal caso dovrà ricordarsi di parteciparvi come attore cosciente della sua parte e non dominato dalla coscienza di una impulsività ctonia: poiché dormiente – ed autorizzato al riposo – è il polo della coscienza nell’anima del bambino; desto e vigile – dunque attivo mediante ascesi – dovrebbe essere il polo di coscienza dell’adulto.
Il bambino, invero, non può essere afferrato nella coscienza dal daimon, poiché è provvidenzialmente addormentato entro il polo presso cui l’uomo cosciente, se non è desto, in realtà sogna.
L’adulto dovrebbe rimanere vigile, onde non correre il rischio di un addormentamento, ossia di uno stato di vigilanza entro il corpo astrale che corrisponde sempre ad un sonno dell’Io. Quando una comunità (terapeutica, educativa, collegiale…) s’addormenta, in realtà essa si desta entro il polo astrale; per quanto tale espressione possa porsi in antitesi con il linguaggio comune alla Scienza dello Spirito: la comunità crea un Io di gruppo. L’incontro comunitario con l’altro avviene ove sia resa possibile la manifestazione del senso dell’Io. Tale comunità si rende dunque aperta all’esperienza pentecostale. Attraverso una retta ascesi entro la comunità umana – ove per comunità si intenda: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro – l’uomo inizia a lavorare alla “pianta in sé”, ad accordare il suo ritmo secondo il canone originario esprimentesi entro la processualità legata all’Essere del vegetale: canone che invero, segna il processo di redenzione dell’umano.
Ove l’incontro con l’Io dell’altro sia reso nullo da un incontro privo di Io, secondo una perfusione dell’elemento astrale entro ambiti a lui non normalmente accessibili (ad es. una fenomenologia che diviene inconscia pratica fisiognomica, una logica comunitaria improntata al volemose bene…) entro tale comunità potrà manifestarsi una sorta di Io di gruppo nella sfera comunitaria, poiché in tale adesione – e l’adesione non potrà mai essere cosciente – l’uomo realizza in lui la facies dell’animale, il prototipo dell’animale adatto alla sfera astrale dell’uomo: il subumano.
Tale immagine è resa fedelmente (anche se il Greco non contempla tale etimologia) dall’immagine dell’Iniziato Nicodemo (Nike – Demos) che vince la pluralità in se stesso e la comunità dei Nicolaiti (Nike – Laos) che rappresenta l’immagine di una comunità spersonificata e dominata dalla massa di quel che inconsciamente si agita negli uomini: annullati nell’elemento individuale, vivi entro l’elemento comunitario-astrale.
Al di là del processo organico che porta all’ostinazione, ve n’è un altro che non può ascriversi a quanto precedentemente esposto. Alcuni bambini hanno il compito aureo di indurre la collera quale prova per il proprio maestro o educatore: per il proprio ambiente sociale. Questi bambini hanno il compito di portare l’educatore a sperimentare la collera, non tanto per porre l’adulto nella condizione di superare il proprio limite, quanto di vederlo: l’educatore viene, esotericamente, lasciato solo.
Dall’animo dell’educatore, in tali momenti di prova, può venir fuori ogni sorta di pattume. Spesso tali momenti coinvolgono contemporaneamente la famiglia, la scuola, le famiglie degli alunni…
In tali momenti sembra non esser possibile l’astensione dal giudizio, il rattenimento degli impulsi. Tali momenti di ostinazione non sono riordinabili secondo legge pedagogica; in essi un elemento superno, parte dal fanciullo per attivare processi di risanamento, entro una o piú parti dell’elemento sociale.
Il processo vero incomincia quando – fallita ogni ogni possibilità di incontro – dichiaratesi sconfitte tutte le parti comunitarie, nell’appurata incomprensione del fenomeno, ed attivati i conseguenti meccanismi di ostilità (famiglia versus scuola – scuola versus famiglia) il bambino viene come abbandonato a se stesso.
Entro tale stato di apparente abbandono, il fanciullo, fondamentalmente, verrà temporaneamente ripreso sotto l’egida degli Dei, o sotto l’ala dell’Angelo. In realtà da questo momento è possibile il reale mutamento secondo la legge promessa dalla katastrophé: la legge dell’inversione.
L’ostinazione è la forza dell’Io con cui si riconosce che la rabbia, l’agitazione, non sono che elementi di calma alienata, come scrive Massimo Scaligero in Manuale pratico della meditazione.
V’è una calma che deriva dal lavoro interiore, un’altra che deriva unicamente dall’incontro con i processi di ostinazione. La calma alienata è il processo con cui la “zolla ritorna cosmo”: la rabbia ritorna calma.
Essendo tale calma alienata entro ascosi moti della vita istintiva-volitiva, essendo tale calma alienata entro i paradigmi delle pulsioni e delle brame, lo stratagemma dell’Io per recuperare tali frammenti non può non passare per l’ostinazione.
Quel fanciullo che sembrerà tirarci “gli schiaffi dalle mani”, in realtà, ripristinerà un accordo tra le indomite forze del corpo astrale e la possibilità di aprire un varco all’operatio cordis: l’apertura dell’etere del cuore. Questa possibilità deve esser vista innanzitutto quale propedeutica all’operatio cordis.
L’educatore, pronunciando il pensiero “Che faccia un po’ quello che vuole!” manifesterà, entro le proprie regioni interne, per virtú di un originario legame del bambino (e per virtú di una umoristica legge spirituale: “quel che è giusto su un piano è sbagliato in un altro”) il pensiero autentico, profondo: “Sia fatta la volontà del Padre”.
La tacitazione subentrante dopo il fallimento dell’accordo dialettico operato dalle parti, porterà ad una stasi, ad una immobilità: il massimo della rigidità. Tale rigidità è seguita da un processo per cui si inizia a sperimentare il sentire altrui, non attraverso possibilità dialettica.
Quando d’estate si gioca a fare “il morto a galla”, si sperimenta un uscir fuori dalla propria sfera propriocettiva e oltre il massimo della rigidità del corpo (il momento in cui non riusciamo a stare a galla), ci lasciamo, infine, muovere dal mare. Oltre l’essere fermi, oltre la tacitazione del corpo, arriviamo infine ad una condizione di rovesciamento che è il lasciarsi muovere. Poiché, in quei momenti, è il mare che ci muove: noi ci limitiamo ad andare oltre l’elemento di tacitazione del corpo.
Attraverso tale possibilità, un giorno, l’educatore, potrà arrivare a condurre particolare esperienza interiore. Ad esempio, vedrà il bambino ostinato, e abbandonato a sé, sotto una particolare prospettiva.
Si offre la seguente immagine.
Il fanciullo – che ha litigato per l’ennesima volta con qualcuno – nel bel mezzo della sua rabbia, mentre prende a calci tutto, si acquieta improvvisamente alla vista di un passerotto che si posa a pochi centimetri da lui. Allora il bambino incomincia quasi a dialogare con l’uccellino: il passerotto gli si avvicina senza alcun timore e il fanciullo sembra riconoscere quell’animaletto come il suo amico di sempre. Il fanciullo è immediatamente calmo ed esprime una serenità profonda, buddhica.
La coscienza dell’educatore viene posta dinanzi a se stessa, e in un attimo accede a un contenuto imaginativo, avendo vieppiú un’esperienza riconducibile all’immagine del Kamaloca, mediante cui nel post-mortem sperimenteremo i contenuti del nostro agire entro l’altrui corporeità.
In definitiva, la pratica meditativa non deve precludere le esperienze umane troppo umane dell’Io inferiore. La collera è calma alienata che brama il suo ricollocamento entro la regione di pertinenza. Ogni volta che sperimentiamo tali sentimenti, dovremmo dirci: “Guarda di quanta calma alienata ancora dispongo: è un bene che io possa vederla. L’ostinazione è il magnete che cattura tali frammenti affinché io possa riallinearli”.
Il significato di questo processo archetipico-reale, mi riferisco alla nuova chiarità ristabilita entro l’ambito di osservazione, dona un nuovo sentire e un nuovo pensare, poiché atto di trasformazione, di inversione, di inconsapevoli forze volitive. Il nuovo pensare ed il nuovo sentire, non saranno necessariamente “viventi” ma potranno agire sempre entro una rinnovellata logica dialettica che è la coscienza dell’io inferiore: la rappresentazione dell’Io superiore.
L’atto di inversione avviene mediante poiesis, poiché Lo Spirito è sempre poetico (Novalis).
La vergogna, l’umiliazione, sperimentate dall’educatore, faranno volgere gli occhi alla terra. Verrà vista la terra nel suo essere infinitamente piccola; la terra verrà veduta grano per grano, avendo quasi la sensazione che sovente sperimentano gli innamorati: si vorrebbe non calpestarla, la terra, si vorrebbe – come per una sorta di pudore, o estrema delicatezza – poter posare lievi, senza lasciare impronte.
Lo spirito infantile – non il bambino! – si lascia in tali casi docilmente calpestare secondo il monito espresso dalla poetessa Blaga Dimitrova: «Nessuna paura / che mi calpestino. / Calpestata, l’erba / diventa un sentiero». L’imagine del sentiero nel giardino silenzioso, nonostante l’esempio prodotto, non è mera immagine poetica, bensí luogo immaginativo di carattere concreto, cui il processo di ostinazione – nel suo cammino da istintività a volontà immaginativa – ci porta.
Quanto detto deve essere continuamente ricondotto alla possibilità reale che il maestro svolga un’ascesi interiore. Senza tale presupposto l’uomo, nello sperimentare l’ostinazione, sentirà risuonare se stesso; le sue forze di impulsività sconfineranno entro l’elemento di coscienza, nel momento in cui verranno chiamate in causa. Esse manifesteranno la reale forza dei propri processi legati alla zona impulsivo-volitiva non ancora invertita. Nessun educatore – avente dinanzi a sé una percezione dello spirituale nell’uomo – dovrebbe sentirsi chiamato al compito di educatore, senza aver pratica degli Esercizi.
La possibilità di seguire i processi di ostinazione è costante esercizio di disarticolazione della triade degli Ostacolatori nel regioni del sentire e del pensare.
Cosí come un fiammifero s’infiamma, brucia e diviene cenere per via di una processualità fisica che sottende in realtà all’uscita dalla lemniscata dei processi alchemici mediante cinereo, in tal modo agiscono gli Ostacolatori: infiammano, bruciano e carbonizzano.
L’ostinazione perdurante, può essere seguita esclusivamente dall’individuo in grado di individuare i gangli in cui la catena degli Ostacolatori può e deve essere interrotta, non mediante intervento diretto, che comunque è sempre un intervento su se stessi. Chi lavora meditativamente lavora naturalmente all’interruzione di questi gangli connessivi, lavorando essenzialmente alla concentrazione e alla qualità di una calma che è sempre plenum pneumatico, reale presenza di spirito.
La questione è seria ed è presupposta all’incontro con il fanciullo ostinato.
In Wege und Worte scrive L. Kleberg: «A Rudolf Steiner fu chiesto un giorno quale influsso potesse esercitare l’alcool su un discepolo seguace della specifica via occulta. Egli rispose: “A questa domanda non c’è risposta: infatti, se è discepolo occulto, non può bere alcool”».
Analogamente, riporta W. Simonis nel Bollettino tedesco N° 67: «Un socio chiese una volta a Rudolf Steiner quali conseguenze interiori dovesse aspettarsi un membro della Classe Esoterica che bevesse alcool. La risposta fu: “Allora non è un membro della classe”».
Allo stesso modo dovremmo poter dire: un educatore che non segua l’ascesi non è un educatore. La volontà può essere mite ma l’esercizio deve essere continuo.
Nelle mani, in realtà, qualcosa di profondo si realizza quale evidenza: il nostro sentire, il nostro pensare, vengono spinti entro le braccia, fino alle estremità delle dita. Il palmo delle mani rappresenta una sorta di sintesi sensoriale, musicale: possiamo trovare nel palmo delle mani l’espressione di un innalzamento del pensare, poiché attraverso di esse il pensare acquista orientamento, equilibrio, senso concreto della verità. Possiamo trovare nelle mani un innalzamento del sentire poiché in esse, il sentire non riflette noi stessi. Le mani sono tanto promanazioni dell’organo cardiaco, quanto nostalgia dell’elemento cosmico-solare in noi. Attraverso il palmo delle mani si incontra il reale bisogno di comprensione dell’universo, finalmente non riflesso, non mediato. Nelle mani l’uomo diventa il cosmo dell’universo e l’universo si palesa all’uomo.
Nel palmo delle mani l’uomo e l’universo sono due esseri perfettamente diversificati e, per cosí dire, posti nella condizione di potersi osservare, in relazione pura, non mediata.
L’universo dona all’uomo, attraverso le mani, la capacità di sperimentare la verità sul proprio corpo fisico. Il palmo delle mani è il disvelatore delle immagini originarie ma anche l’attivatore dell’energia morale: esso è luogo di verità.
Non vi è attenzione, presenza di spirito che possa ritenersi conclusa, senza questa possibilità di ascolto. Se non avessimo le mani non potremmo, difatti, fare l’esperienza del concetto: senza le mani l’essenza vivente del concetto, la sua componente sovrasustanziale, ci rimarrebbe estranea.
La tecnologia touch-screen nasce dal nostro ripudio per la sovrasustanzialità del concetto. In un certo senso è un bene che tale tecnologia sia diffusa; diversamente, le individualità scisse dall’esperienza sovrasustanziale del concetto prenderebbero a comportarsi da mimi.
Touch screen, o meglio “schermo tattile”, o meglio ancora “scudo tattile”: lo scudo tattile protegge dall’esperienza sovrasustanziale del concetto.
Chi impara ad ascoltare attraverso le mani, avverte, attraverso l’esperienza del touch screen, come se attraverso il tocco delle dita venisse introiettato, dalle braccia al cuore, un poco di veleno, producente una sconnessione con il risuonare della verità entro gli enti e le persone.
L’educatore deve iniziare ad entrare in confidenza con la possibilità di esprimersi mediante le mani.
Per accedere a questo è necessario un atto trascendente (secondo movimento: cuore – mani – sole): le mani divengono organi di percezione in relazione allo sviluppo di un organo di natura eterica posto nella regione precordiale; dall’altro, si accede a tale percezione, attraverso la cura delle proprie mani (dall’igiene fisica, alla pudicizia nell’incontro, alla sincerità nel dono, alla cura del bisognoso, alla pulizia del degente allettato…). Tale cura costituisce modalità per attivare, secondo strada solare (dal Sole al Cuore) la percezione delle mani: nella prodiga operosità le mani dell’uomo sono legate al Sole. Tale percezione non deve essere forzata ma può essere ascoltata, giacché è spesso presente in momenti in cui un cenacolo di anime si incontra mediante atto solenne-rituale. In tali rari momenti, bisognerebbe disporsi, in modo tale da poter ascoltare – secondo prassi consona a rigorosa indagine fenomenologica – le modificazioni di calore delle proprie mani.
La postura (interiore ed esteriore) sarà quella comune alla meditazione (non si incrociano né braccia né gambe, la schiena resta dritta, separata dallo schienale della sedia, le mani sono poste a coppa sulle ginocchia).
A questo punto ci si immergerà nell’ascolto secondo coscienza, e successivamente potrà sopraggiungere la percezione di un calore diverso rispetto a quello abituale (sensazione di freddo o di caldo, si potrà avvertire un formicolío…). Fondamentale la comunione con il proprio sentire.
Quando ci si educa al sentire delle mani, ci si educa all’ascolto di un accordo tra pensiero e volontà. L’ascolto delle mani ci parla del nostro cuore e della possibilità di portare nel mondo il frutto del nostro lavoro; la quintessenza di ciò che siamo, non di quel che crediamo essere.
L’ostinato deve poter dire a se stesso, nella certezza di riuscire ad essere intimamente compreso: “La diversità è questo unico e sacrosanto diritto di legittimarsi nell’incomprensibilità”.
La comprensione dell’ostinato si realizza sommamente entro l’ascolto mediato dal cuore ed esteso entro la regione delle mani.
La prova dell’ostinazione è essenzialmente da porre in relazione con il Sé Spirituale e lo Spirito Vitale, ossia con la trasformazione del corpo astrale e la trasformazione del corpo eterico (dell’educatore), entrambe mediate dall’Io.
Nicola Gelo