Un abusato aneddoto letterario, utile però all’argomento in oggetto, riporta che al grande poeta vernacolare romano, Trilussa, al secolo Carlo Salustri, vivendo il Paese un momento di crisi, uno dei tanti, venne posta la domanda: «Maestro, che ne pensate della situazione nazionale?». La risposta fu:«Non vi preoccupate. Dovrete farlo se e quando chiuderanno le osterie». Il senso era chiaro: quando non ci sarà piú niente da mangiare, quando mancherà il cibo da cuocere.
Ora, il pericolo attualmente sembra scongiurato, pullulando l’Italia di MasterChef e di accademie gastronomiche: impossibile accendere la TV in qualunque ora del giorno e delle notte senza vedere sorridenti personaggi, di tutti i sessi e ceti socioculturali, proporvi dallo schermo ricette, consigliarvi questo o quel condimento, suggerirvi il miglior modo per esaltare il gusto del cipollotto lucano o del tartufo piemontese, insomma cibo a tutte le ore e in tutte le salse.
Se poi vi viene voglia di cenare fuori, dovrete accodarvi a lunghe file davanti a pizzerie, grill, bistrot, ristoranti, che sia il pluristellato locale del centro storico o la infima buiacca di periferia.
E allora, ricordandovi di Trilussa, concluderete che tutto va bene, che, essendo piene zeppe le osterie, nel senso lato, non c’è da preoccuparsi per il vostro avvenire culinario. Non mancheranno mai le famose commodity, le scorte alimentari che sostengono i programmi televisivi e i conviti domestici. E invece, ecco la FAO, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della nutrizione mondiale, disilludervi con il recente rapporto FAO-IFAD-WFP sulla sicurezza alimentare nel mondo. Per la prima volta in dieci anni, cosí hanno certificato, nel 2016 hanno patito la fame 815 milioni di persone, l’11% della popolazione mondiale, ben 38 milioni in piú rispetto all’anno precedente. L’obiettivo “fame zero” posto dall’ONU per l’Agenda 2030, appare al momento una chimera. Si prevede, in base a complicati algoritmi, che in assenza di opportune misure, alla data del 2030 saranno ancora 653 milioni gli individui nel mondo a soffrire la fame per la mancanza assoluta di cibo.
Vige purtroppo un diffuso scetticismo riguardo alla capacità risolutrice di chi dovrebbe approntare le opportune misure, per evitare la débacle alimentare preconizzata dalla FAO, come da altri organismi interessati alla produzione e distribuzione delle risorse alimentari. Sfiducia giustificata da certe soluzioni tecnico-scientifiche talmente bislacche da far supporre una strisciante insanità mentale in chi le concepisce e propone. Come quella elucubrata dai ricercatori dell’Università di Warwick in Gran Bretagna. Manca il cibo, la gente ha fame? Si sono chiesti i cervelloni accademici interessati alle risorse alimentari. Bene, ecco la soluzione: basta attivare i “taniciti”, i neuroni presenti al centro della regione cerebrale che controlla il peso corporeo. Ma quello che piú conta, inducono un senso di sazietà nel soggetto i cui neuroni sono stati attivati. I ricercatori hanno ponzato a lungo e sono giunti alla conclusione che l’effetto sazietà si produce in forma ottimale in presenza dei seguenti cibi particolarmente ricchi di aminoacidi: pollo, sgombro, avocado, albicocche, mandorle, lenticchie, spalla di maiale e lombata. Mangiandoli, aggiungono, e non è uno scherzo, ci si sente pieni piú rapidamente rispetto ad altri cibi. È chiaro che con queste misure non si sconfigge la fame e si sgambetta il buonsenso.
E non conforta apprendere dai media che l’astronauta Paolo Nespoli, grazie a innovative soluzioni tecnologiche gastrosanitarie installate a bordo della ipotetica stazione spaziale mostrata in Tv, non solo sarebbe in grado di cuocere squisiti manicaretti, ma riuscirebbe persino a chiudere i pasti spaziali con un ottimo caffè espresso…
A tanta fantasiosa tecnologia spaziale riguardante il cibo da consumare in vuoto pneumatico, si aggiunge l’invenzione di una apparecchiatura realizzata da un team di altrettanto fantasiosi ricercatori della Clemsons University della South Carolina, USA, grazie alla quale è possibile trasformare in plastica gli scarti biologici delle navicelle spaziali, dall’anidride carbonica esalata respirando all’ammoniaca contenuta nell’urina. Viene fuori, ci raccontano, un aggregato di monomeri che si legano tra loro per formare alla fine un polimero simile al poliestere. Chissà che non si risolva finalmente il problema dei rifiuti nel mondo grazie alle ricadute delle applicazioni immaginate per la “vita in capsula”. Un’utopia, quella di un ambiente naturalmente vivibile e fruibile, che ispira, sul versante della resilienza e della devoluzione, i nuovi produttori di cibo mediante un’agricoltura virtuosa.
Nel suo La civiltà dell’Orto, di cui abbiamo dato notizia nello scorso numero di dicembre, Giancarlo Cappello, ispirato da Rudolf Steiner e dal giapponese Masanibu Fukuoka, parla appunto dell’agricoltura naturale quale metodo per attivare nei prodotti della terra, il futuro cibo, le proprietà catalizzatrici delle forze eteriche. Mentre però in Fukuoka, Cappello vede un promotore di un’agricoltura attendista, fatalista quasi, in ossequio a una filosofia tutta orientale, in Steiner egli riconosce: «…l’ispiratore di un cambiamento di paradigma di cui siamo tuttora debitori: in lui il significato di “virtú” cambia da prepotenza sulla Natura a rispetto dei processi naturali. Un fenomeno paragonabile per importanza a ciò che avvenne nel passaggio dal paganesimo alla cristianità, quando dall’uccidere il nemico si insegnò ad amarlo».
Nel segno dei Maestri, Cappello conclude: «Dopo la coltivazione naturale, dove l’intervento umano è ormai quasi insignificante, probabilmente ci aspetta nei prossimi decenni una coltivazione trascendente da qualsiasi attività pratica, una ‘non coltivazione’ che, con una nuova consapevolezza, riconsegnerà nelle mani della Natura la produzione del cibo laddove la trovammo all’inizio della disastrosa vicenda umana. …Sono convinto che l’agronomia materialista abbia generato una agricoltura incapace di nutrire l’umanità, pur scatenando disastri ambientali, proprio per l’essersi applicata in un contesto improprio: quello della materialità. Credo anche che lo stesso si possa dire per la medicina, per la mobilità e cosí per la maggior parte delle attività umane. …Il nostro cibo è energia accumulata nella terra dalla Natura cooperante, resa disponibile per noi attraverso i frutti dispensati dalle piante, nell’interdipendenza di tutto con tutto noi riusciamo a essere parte della Natura solo se il nostro cibo proviene da una terra inalterata, dove nulla interferisca con l’insieme dei processi naturali, nessuno escluso. Per questo al centro della coltivazione naturale c’è l’humus generato dalla terra stessa, nella consapevolezza che l’energia vi converge e che da lí le piante sanno prelevarla per distribuirla alla vita sul Pianeta. …Se le piante si sono evolute nella purezza della luce, se è vero che vivono di essa e la dispensano con equilibrio in forma di energia, non dovremmo piú accettare il cibo di coltivazioni lordate da idrocarburi estratti dalle viscere tenebrose del Pianeta. …Solo nutrendoci di energia forte e pura avremo la capacità di riconoscere, perseguire e condividere il nostro diritto alla serenità, semplicemente implicito nell’esserci».
Si chiude l’Era dei Pesci e inizia l’Era d’Acquario. Astrologi ed esoteristi affermano, per diversi intenti e saperi, che la nuova èra si svolgerà nel segno della cooperazione universale tra gli uomini e la natura, tra gli uomini della Terra ed esseri di altre dimensioni.
Come che sia lo sviluppo del nuovo corso evolutivo umano, cambierà, dicono gli esperti, soprattutto il rapporto dell’uomo con la Madre Terra, che passerà dalla predazione all’interazione costruttiva, allo scambio fecondo tra lavoro umano e donazione di energie attraverso i frutti. Ciò secondo la pratica di un’agricoltura naturale, nel primigenio rispetto sacrale dell’opera umana e della donazione, da parte della Natura, dei suoi frutti. Poiché dalla giusta relazione uomo-Natura, dalla dedizione dell’uomo con la Madre Terra viene il cibo, la sostanza materica che, nell’uomo, da fisica si muta in energia eterica.
Perché questo non sia rettamente perseguito dall’uomo, bensí trasformato seguendo un indirizzo contrario al sano sviluppo secondo naturalità, gli Ostacolatori cospirano, intervenendo in modo indiscriminato, inducendo l’uomo ad agire subdolamente sui prodotti alimentari, sofisticandoli artificialmente e “trasformando le pietre in pane”, secondo la grossolana tentazione di Satana a Gesú nel deserto. E la Sua risposta dovrebbe indicarci la giusta via da percorrere.
Nell’Apocalisse di Giovanni, i Cavalieri nemici dell’umanità sono quattro, montanti ciascuno una cavalcatura di colore diverso. La Carestia, ossia la fame che ne rappresenta l’esito estremo, monta un cavallo nero, la Guerra bianco, la Strage rosso e verde la Pestilenza. Laddove, in passato, i tetri incursori del Male assoluto agivano da cavalieri solitari, col tempo hanno stretto un patto scellerato e al presente colpiscono insieme e nello stesso momento cronologico, sia una minoranza etnica, sia una piú vasta entità umana ed estensione territoriale. Un temibile consorzio.
Che, alla luce dei fatti, sta operando nel modo piú efficace per signoreggiare il cibo. Lo fa in due modi: alla produzione e alla distribuzione e vendita. «Il potere sul cibo è di pochi» ha denunciato Carlo Petrini, il leader di Terra Madre, all’ultimo convegno del G7 sull’alimentazione. Il padre di Slow Food ha fatto presente che i fenomeni migratori, ormai incontrollabili, sono figli della lotta per il controllo mondiale delle risorse idriche e alimentari. Maggiori responsabili, i Big del Food statunitensi.
Gli fa eco Cappello: «In una società capitalista, il processo produttivo/distributivo nega il cibo ai non abbienti; questa ingiustizia è causata dall’accumulo di profitti individuali esattamente a partire dalle aziende agricole, siano esse biologiche o agroindustriali. Il controllo di tali processi passa dall’azienda al Potere, e il padrone, per proprio profitto, si arroga il diritto di vita e di morte sullo schiavo controllandone l’accesso al cibo. In questa realtà ultima tuttora vigente non vedo ombra di progresso umano, né sociale, né individuale».
E Friedrich Von Hayek, economista europeo tra i piú quotati, ammonisce: «È necessario salvaguardare un livello minimo di sopravvivenza tra le masse per scoraggiarne le rivolte che, è bene ricordarlo, non si fanno né per le bandiere colorate né per la democrazia, ma per fame».
Opinione, questa di Hayek, anticipata a suo tempo da Oscar Wilde nel suo L’anima dell’uomo sotto il socialismo: «Assieme all’autorità scomparirà anche la punizione. Questo costituirà un grande guadagno, un miglioramento di incalcolabile valore. Se si legge la storia, si resterà totalmente nauseati
non tanto dai crimini commessi dai malvagi ma dai castighi inflitti dai buoni, e una comunità è infinitamente piú abbrutita dall’impiego abituale del castigo che dalla ricorrenza del crimine. …Meno punizione, meno crimine. Quando non ci sarà piú punizione, anche il crimine cesserà di esistere o, se si verificherà, sarà considerato dai medici come una forma di demenza assai penosa, da curarsi con attenzione e gentilezza. Perché coloro che oggi sono detti criminali non lo sono affatto. La fame, non il peccato, è all’origine del crimine moderno. E questa è in realtà la ragione per cui i nostri delinquenti sono, come categoria, cosí totalmente privi di interesse da qualsiasi punto di vista psicologico. Non sono né il meraviglioso Macbeth né il terribile Vautrin. Sono semplicemente ciò che la gente comune, ordinaria e rispettabile, sarebbe stata se non avesse avuto da mangiare a sufficienza. Quando la proprietà privata sarà abolita, non ci sarà bisogno del crimine, non sarà piú necessario e cesserà di esistere. …Ma anche se un delitto può non essere contro la proprietà, può comunque scaturire dalla miseria, dall’ira, dalla depressione prodotte dal nostro sbagliato sistema di possesso proprietario, e quindi, quando quel sistema sarà abolito, il delitto scomparirà».
Tuttavia, una riflessione si pone in particolare riguardo al cibo, in quanto il nutrimento rappresenta una condizione irrevocabile, indifferibile, insostituibile nella quotidiana vicenda esistenziale umana: mentre infatti si può differire, anche se per pochi giorni, la soluzione del problema posto dal Cavallo rosso, ossia come evitare una strage o un conflitto mediante strategie politiche o militari, occorre reperire a tamburo battente un qualcosa da mettere sotto i denti e calmare i morsi della fame, se non si vuole passare nel giro di pochi giorni dal deliquio anoressico al totale mancamento fisiologico. Come non citare l’episodio evangelico del miracolo della figlia di Giairo a Cafarnao: la fanciulla, morta accertata, viene richiamata alla vita dal Cristo con l’esortazione in aramaico: «Telitha kumi!» fanciulla alzati! E subito, ai parenti della resuscitata: «Datele da mangiare!». Carburante per il corpo fisico e, piú sottilmente, un arcano catalizzatore delle forze eteriche richiamate in essere.
La vicenda del Cristo evangelico è piena di episodi che riguardano il cibo, inteso come mangiare e bere, dalle Nozze di Cana alla Moltiplicazione del pane e dei pesci, alla Cena di Emmaus, al convito in cui Egli narra la parabola del Figliol Prodigo, all’Ultima Cena in cui pane e vino sono il lascito, simbolico ma edibile, dell’alto sacrificio dell’Eucarestia, con il mistero della transustanziazione. Nella messa cattolica il celebrante ‘mangia’ l’ostia sacrificale e ‘beve’ il succo dell’uva per chiudere il patto con la divinità.
Nella Stanza vaticana del “Miracolo di Bolsena”, Raffaello rende con grande efficacia figurativa l’effusione del sangue dall’ostia al momento dell’elevazione. Sui volti dei presenti stupore e smarrimento alla vista del prodigio. Eppure, la fede avrebbe dovuto ravvisare, comunque, la presenza divina nell’ostia.
I sacerdoti degli antichi culti pagani mangiavano le spoglie degli animali immolati per poter accedere, mediante il sangue della vittima, al convito di quelle che venivano considerate divinità. Il Cristo, e con Lui l’uomo cristificato, vi accede con la trasmutazione del corpo fisico in Fantoma, con l’eterizzazione della materia fisica. Nel ciclo “Da Gesú al Cristo” Steiner dice: «Il corpo di Gesú, dopo il Golgotha, fu inghiottito dalla Terra, come nutrimento trasmutatorio della Terra. E allora, chi era che, dopo la Resurrezione, appariva ai Discepoli, e cenava persino con loro? E faceva toccare il costato a Tommaso?».
Trattando poi dell’alimentazione in senso stretto, e del rapporto che il cibo ha con i processi di eterizzazione del corpo umano, nella sua conferenza del 17 dicembre 1908 (O.O. N° 57) Steiner precisa: «Secondo i cosiddetti risultati scientifici del nostro tempo, l’uomo è facilmente incline a concepire il proprio organismo in maniera meramente materiale. La Scienza dello Spirito ha il dovere di sostituire a ciò le leggi delle connessioni spirituali. …Non ha alcuna importanza se si è idealisti o meno, bensí per la vita è importante se qualcuno ha idee fruttuose e tali da far continuare e prosperare la vita. …Qualcuno potrebbe rappresentare ancora meglio le teorie piú spirituali: ciò non ha importanza, importa che queste idee siano fruttuose quando le si trasporta nella vita. Cosí, quando uno afferma di non essere materialista, di credere alla forza vitale, addirittura allo Spirito, e nelle questioni alimentari si comporta come se l’uomo fosse una grande provetta, la sua visione del mondo non può diventare fruttuosa. La Scienza dello Spirito ha da dire poi qualcosa su questioni concrete, quando essa stessa si rende capace di far luce fin dentro i singoli aspetti, e lo può fare proprio in rapporto alle questioni sull’alimentazione, come anche a quelle sulla salute».
No, l’uomo non è una provetta, un semplice contenitore di sostanza materica. L’uomo contiene pensieri e sentimenti, è un organo di risonanza del Verbo. Ogni suo gesto emana da pulsioni sue proprie e da impulsioni esteriori e superne. Da lui si attendono idee illuminate e azioni concrete, risolutive, ispirate dal trascendente per via eterica. In questo egli è sacerdote, un celebrante di un rito, quello esistenziale. Steiner parla appunto di sacramentalismo di cui l’uomo dovrebbe improntare il suo agire, facendo del banco del laboratorio un altare. Chi siederà al tavolo del laboratorio dovrà trasmettere, fuori di se stesso, ciò che si può chiamare la vibrazione del corpo eterico sulla cosa che si vuole vivificare. Se sarà un uomo buono trasmetterà il bene, se sarà cattivo trasmetterà il male. Ciò vale per un atto importante della vita sociale come per la semplice preparazione di una pietanza casalinga. Tutto può farsi atto sacrificale coinvolgente l’interiorità profonda, che è contigua al divino.
In un’intervista fu chiesto a Sofia Loren se anche lei, napoletana, preparasse il famoso ragú, il sugo di pomodoro cotto per ore a fuoco lento, lasciandolo cioè ‘pippiare’. La risposta fu: «Io lo faccio quando mi sento nella pelle che tutta la famiglia sta bene, che le cose vanno bene, e anche se non è domenica io il ragú lo faccio perché facendolo pensi a tante cose, ricordi il passato, il presente e pensi al futuro. È una cerimonia».
Un’operazione ancillare, la preparazione del sugo, diventa atto cerimoniale. Dalla sua riuscita dipenderà infatti il benessere e l’appagamento di tutta la famiglia. E non bastano la qualità degli ingredienti e le strette procedure al limite del maniacale imposte dai MasterChef. Il top qualitativo lo fa l’anima del cuoco: se è buona, il sugo sarà buono. E ciò può accadere nell’ambito domestico, in un consiglio di amministrazione aziendale, come in un’assemblea parlamentare. Se chi governa o decide è animato da buoni propositi, la resa finale sarà buona, e la politica riuscirà a fare quello per cui è preposta: rendere felice la gente.
Ci pensino, gli eletti a governare questo Paese con il voto del 4 marzo prossimo. E ricordino: le grandi rivolte sociali del passato, la Rivoluzione Francese insegna, sono avvenute per mancanza di pane, ma non solo di quello, poiché l’uomo, come rispose nel deserto il Cristo Gesú a Satana, di ben altro vive.
Leonida I. Elliot