Tutto era scritto, tutto si è compiuto.
Il popolo è venuto da ogni dove
e Lo ha visto morire come tanti
condannati al supplizio della croce.
«Ma allora – hanno esclamato con stupore
e delusione – che avverrà degli umili,
di tante Beatitudini promesse,
il potere del mondo ai derelitti,
il Regno da venire, la salvezza?
Quale premio ne avremo dal perdono,
e l’altra guancia porta ad ogni offesa»?
I soldati tiravano alla sorte
ai piedi della croce, come fanno
nelle taverne ladri e marinai,
per vincere la tunica del ‘folle’
appeso allo strumento di tortura.
Niente era bello, niente era divino
in quel corpo che i chiodi laceravano
come vittima esposta in un macello.
Ad un tratto ha gridato, quell’informe
grumo di carne e sangue, e la montagna
si è scossa nelle viscere, ha bevuto
la linfa portentosa che grondava
dai legni, dalle pietre, dal costato,
e giú fino al suo nucleo, al magma ha preso
la Terra il dono. Si è redenta, ha chiuso
il ciclo della morte che trionfa.
Chi scendeva dal Colle lo avvertiva
nel palpitare della nuova luce,
un che di urgente nel pulsare e aprirsi
di semi, un tendersi di ali, un cedere
ai richiami dell’aria, un lieve ansito
del respiro, del cuore in assonanza
col battito armonioso del creato.
Era l’eternità che s’innatura
nell’intera sostanza del vivente,
la Promessa che viene mantenuta,
sempre, da allora, e ci redime tutti.
Fulvio Di Lieto