La particella Angelo

Socialità

La particella 'angelo'

Grazie alla programmazione della saga di Don Camillo e Peppone, che una Tv commerciale ripropone ogni qualvolta la temperie politica lo richiede, il grande pubblico, specie quello dei giovani, ha scoperto, o riscoperto, la figura dell’autore dei racconti sulla Bassa Padana, Giovanni Guareschi. Le pellicole del ciclo riguardante la faida a tortellini e lambrusco tra il combattivo prevosto e il sindaco di Brescello sono state tratte dalla mèsse di articoli, pubblicazioni e ovviamente libri di un personaggio tipico del periodo del compromesso storico, cattodestrorso ma tutto sommato amico sottopelle dei trinariciuti, con i quali si azzuffava ideologicamente, lasciando che a farlo fisicamente fossero i vari Cagnola e Bottazzi, che la politica sanguigna, il sole martellante e un bicchiere di troppo imbestialivano. Ma succede che quando si va a scavare nel curriculum di un autore tanto fecondo, si finisce con lo scoprire versanti insospettati e straordinari della sua vena creativa. Ed ecco venir fuori un Guareschi che nelle sue Lettere ai Posteri si fa paladino della lingua latina. Un post del suo scritto ha spopolato di recente sul web e chi ha potuto leggere i suoi pezzi usciti sul Borghese tra il 1963 e il 1968, si è imbattuto in frasi come: «Se l’uomo non respira l’infinito, non capirà mai le ragioni del vivere e del morire». Idee ribadite in un altro passaggio: «Se l’essere umano non respira l’eterno, non capirà le ragioni del suo vivere e del suo morire: ed è proprio questo il tragico destino verso cui si sono incamminate la modernità e la postmodernità». E perché non ci fossero equivoci su chi fossero i responsabili della deriva morale del Paese, in un altro passaggio scriveva: Crocifisso«La modernità ha rubato ai preti il filo d’oro che li legava all’eterno». Stupefacente, un intellettuale pragmatico e disincantato difendeva il clero, ammettendo che il manesco don Camillo potesse intrattenere un rapporto privilegiato con l’eterno, in qualunque forma esso si manifestasse e fosse disponibile a relazionarsi, magari come crocifisso parlante, sempre partecipe delle vicende del curato.

E cosí i credenti si rassegnano a non avere piú strumenti e operatori di intermediazione con l’assoluto. Non tutti, però. C’è chi, tetragono e risoluto, pratica fai-da-te ai limiti del funambolico, per ripristinare quel filo d’oro con il divino e il trascendente, e le relative accezioni di questi, come eternità e infinito.

Nel film di animazione ‘UP’ si racconta una vicenda a dir poco metafisica: un pensionato, rimasto vedovo, aggancia la sua casa a un grappolo di giganteschi palloni multicolori gonfiati a elio e si lascia letteralmente trasportare per aria fino a rag­giungere il Sud America, mèta dei suoi sogni. Influenzato dalla vicenda del film, il 38enne ricercatore inglese, Tom Morgan, ridimensionando l’exploit ha legato una robusta sedia di legno al variopinto viluppo di palloncini ripieni di gas e si è lasciato traslare per 40 chilometri dalle correnti aeree nel cielo del Sud Africa. Richiesto, al termine del volo, quale fosse stato il momento piú difficile della sua breve seppur memorabile impresa, che aveva incontrato venti traversi, vuoti d’aria, strappi dei tiranti, beccheggi e aggressioni di rapaci, Morgan ha candidamente ammesso che gonfiare tutti quei palloncini è stato un “damm, wicked job!” un’operazione maledettamente complicata, per la quale sono state necessarie due giornate intere di gonfiaggio. E richiesto ancora di elargire un consiglio a chi volesse imitare il suo “dannato, maledetto tentativo”, ha consigliato di evitare tassativamente l’atterraggio in luoghi dove allignano piante spinose… Si è guardato bene, però, di ricordare agli eventuali temerari epigoni della sua traslazione a gas che esistono altri mezzi e modi per sperimentare l’ebbrezza di solcare l’infinito mare senza sponde, in cui è dolce perdersi, annullarsi, persino annegare il pensiero materico, ritrovando il Logos. La Parola, il risuonare primigenio che agisce sull’inerzia e la distonia del mondo e lo avviva a essere.

La poesia “L’infinito” di Leopardi ha compiuto duecento anni lo scorso aprile. Il calcolo è stato fatto da esperti, il che dovrebbe garantirne l’attendibilità. Anche se, chi si occupa di poesia sa quanto siano lunghi e complessi i tempi di incubazione di un componimento poetico, dall’attimo dell’ispirazione alla stesura dei versi, procedimento quest’ultimo che, sempre gli esperti confermano, sembra fosse particolarmente meticoloso nel caso di Leopardi, un vero maniaco della parola. Se non trovava quella giusta, pare ne facesse una malattia. Lo stesso accadeva, per sua stessa ammissione, a T.S. Eliot, che giunse a qualificare questa mania di perfezionismo verbale come “ricerca del correlativo oggettivo”. E in effetti i risultati, sia nell’uno che nell’altro autore, giustificano ampiamente questa particolare acribia.

Si ha tuttavia l’impressione che i quindici versi de “L’infinito” siano venuti in un flash mentale, o ‘prementale’, con le immagini e le parole in correlativo perfetto con il processo ispirativo. Si potrebbe parlare di intervento spirituale, anche se questo farebbe torcere di sdegno l’agnostico Giacomo.

La vista dal Colle dell’Infinito

La vista dal Colle dell’Infinito

Lo Spirito alita non per quanto, per dove e per come l’uomo propone, ma per i fini che Esso dispone. E “L’in­finito” non ha il lavorío speculativo de “La Ginestra”. Del resto il nucleo dei versi porta alla sensazione quasi fisica dello spazio cosmico, alle onde (impropriamente gravitazionali) che lo agitano e dalle quali l’autore si lascia avviluppare per essere trascinato chissà dove. Sempre poi ritornando, dopo l’estasi derivante, al porto familiare e rassicurante dell’Orto delle Monache, dove lo accoglie, verdeggiante e odoroso ormeggio, la siepe di rosmarino, lauro e gigli selvatici. Provvidenziale ancoraggio per non smarrirsi e perdersi nel buco nero dell’angoscia esistenziale, rischio che corre ogni anima che, imbarcata sul cargo della conoscenza materiale, impatta contro lo scoglio del relativismo.

E a proposito di “Buchi Neri”, è morto di recente l’astrofisico Stephen Hawking. Per tutta la sua vita, tormentato da un’invalidità genetica, ha dedicato il suo talento speculativo e la sua scienza a dimostrare che l’origine dell’universo è stata causata, milioni o miliardi di anni fa, non dal Fiat Lux di un demiurgo amico dell’uomo, bensí da una conflagrazione di corpi celesti, il Big Bang. Tanti big bang in successione e in concatenazione causa-effetto hanno prodotto voragini di materia inerte, senza vita, appunto i “Buchi Neri”, pozzi senza fondo in cui la materia viene risucchiata e muore.

Prima o poi, se ne deduce, incrociando le dita, anche il cosmo, di cui il nostro mondo planetario fa parte, collasserà. Ciò del resto è annunciato dalle diverse dottrine apocalittiche. I Deva parlano di kalpa, che in sanscrito sta per èra, un lunghissimo periodo di anni al termine del quale l’attuale creazione si dissolverà per originarne una nuova. I Maya contemplavano lo stesso evento, definito Baktun. Consideravano di 5.125 anni l’èra di durata del ciclo cosmico in cui la nostra Terra è coinvolta. Quello attuale, secondo loro, è iniziato il 10 agosto del 3113 a.C., e si sarebbe dovuto concludere il 21 dicembre del 2012. Il fatto che siamo ancora qui a chiederci dove passare le ferie l’estate prossima è il segno che, o i Maya, per nostra fortuna, non avevano fatto bene i calcoli, o che il Tribunale Celeste, avendo delegato all’uomo piena autonomia di giudizio, gli ha evidentemente anche concesso i tempi supplementari perché realizzi il necessario risveglio di coscienza, prima di richiamare a Sé il protagonista dell’attuale ciclo evolutivo.

cacciata

Masaccio  «La Cacciata dal Paradiso»

Siamo attraversando il deserto. Da quando? Probabilmente, a quotare la Bibbia, da quel tremendo attimo in cui l’Angelo custode della Divina Vigna dell’Eden, brandendo un fascio di verghe, spingeva i nostri progenitori fuori dal sacro pomerio. Quello che l’etereo buttafuori intanto diceva loro non ci è dato sapere, ma possiamo immaginarlo. «Ma come, incoscienti e ingrati che non siete altro! Giocarvi la tutela celeste, la condizione divina, per un peccato di superbia. E, ancora piú, ingenui, se avete creduto alle lusinghe dello strisciante Mentitore. Quindi fuori, a recuperare la divinità barattata per un vile tarocco!». La fantasia ci suggerisce parole che certo l’Angelo non avrà pronunciato, per il motivo che Adamo ed Eva avevano capito benissimo l’entità della loro dabbenaggine e si aspettavano il necessario castigo. Che immancabilmente venne, con i ben noti e patiti sudori e dolori, le guerre, la fame, l’odio, il ripudio, e la morte.

E intanto, come anticipo, la vergogna del proprio corpo che, perduto il favor dei, e quindi il carisma angelico, aveva ripudiato l’inno­cenza che nobilita il contenuto e la parvenza. Un momento di angoscia terribile, che Masaccio ha impresso nel livore fantasmico dei volti, che le mani contorte tentano di celare, nell’anatomia contratta di corpi lemurici, quasi non piú di creature umane.

Come conseguenza, scambi di accuse, la vita in caverna monolocale, con diete selvatiche e cenci. Caino e Abele sono nati e cresciuti in queste disumane ristrettezze.

Poi, con l’arrivo di Versace, Dior, Coco Chanel, Freud e tutta la paranza di stilisti, sarti, profumieri e maghi del bisturi, la specie umana si è rimpannucciata, risistemata nel fisico ed emancipata nel bon ton, credendo cosí di aver rimosso la triste e imbarazzante conclusione della propria permanenza nel­l’Eden.

Ma la tabe del peccato originale è rimasta nella psiche profonda della creatura umana, cosí come la sindrome piú dura con cui confrontarsi, quella dell’abbandono in una dimensione distopica, essere cioè in uno scenario vuoto, senza punti né oggetti di riferimento su cui misurare il valore dell’essere, stabilire il rapporto con il diverso e con l’altro, ancor piú con l’oltre, l’ignoto, che spesso appare come orrido.

Poiché il terrore piú insormontabile non è quello che ci deriva dalle situazioni e dagli oggetti reali, tangibili e valutabili. Quello che veramente ci atterrisce e azzera le nostre capacità di accettazione è il non essere, il nulla in cui possiamo cadere e in cui perdiamo la nostra entità.

Rassicurante è invece credere che a fornire l’energia per il ‘grande botto’ che diede il via a tutto il cosmo non sia stato un bang, un quanta, una stringa, un’onda cosmica anomala, uno tsunami iperuranio, un evento casuale, ma il gesto voluto e insieme paterno della Divinità, la Voce che animò con il dono della vita, il primo giorno.

Mentre invece, con la negazione di Dio si finisce con il negare l’uomo, che perde cosí la motivazione del suo esistere nel grande e supremo gioco dei ruoli creaturali. L’uomo ha strani modi e motivi, spesso ai limiti dell’assurdo, di chiamarsi fuori da tale gioco. E benché possano a volte apparire autopunitivi, si rivelano per quello che in realtà sono: una pervicace forma di disperato orgoglio. Aborto, eutanasia, lo stesso martirio jihadista, fino al base jumping e ogni altra forma di sfida adrenalinica, altro non vogliono essere che vie di fuga da un mondo divenuto orfano di quella cancellata paternità.

pozzi avvelenatiSoli e in un deserto causato da noi stessi. Quaranta gradi all’om­bra e con i pozzi delle oasi avvelenati. È una metafora, quella dei pozzi avvelenati, che ha fatto la fortuna mediatica di un giovane politico rampante, che vorrebbe governare il nostro Paese. Gli un­tori dei pozzi, secondo il suo pen­siero, sarebbero gli avversari politici sconfitti alle recenti elezioni, che non accettando di essere giubilati, si rifarebbero dello smacco creando guai, e ai quali nulla importa se i sabotaggi dei pozzi finirebbero con l’avvelenare l’acqua del buon vivere comune.

Laddove la saggezza cinese suggerirebbe di approntare ponti d’oro per il nemico che fugge. Forse è questa ansia taoista di fare cose sagge reprimendo l’amor proprio e non cose truci per averla vinta a tutti i costi, anche rimettendoci la pelle, che spinge, ultimamente, molti giovani allo studio del cinese.

Un’altra metafora usata dai politici impegnati nel recente scontro elettorale è quella rassicurante dei due forni. Il pane rappresenta il nutrimento base dell’uomo uscito dall’animalità selvatica, un cibo rituale archetipico della civiltà umana, non a caso scelto per fondare la mistica eucarestia insieme al succo dell’uva. I politici però sembrano usare metafore e allegorie solo per giustificare la mancanza di argomenti persuasivi per gli elettori e per gli astenuti, che rappresentano ormai la fetta sempre piú cospicua dei renitenti al seggio. E non sempre si risolve in un atto indolore il voler dimostrare il proprio dissenso. Non di rado, atti estremi connotano l’uscita di scena di anime negate al compromesso.

Per queste anime può valere la metafora dei vecchi esquimesi. Snervati per l’età e le condizioni di vita, sdentati e quindi non piú in grado di masticare le pelli da utilizzare poi dal clan per i vari usi che erano necessari alla vita nell’Artico, venivano, ma il piú delle volte avveniva per loro scelta di autosacrificio, lasciati soli sul pack alla deriva in attesa dell’orso. Metafora dell’uomo che incapace di vie di fuga spirituali, che gli sono aperte, escogita macchinose vie di fuga materiali, il cui esito conduce al nulla.

Come mettere a punto e brevettare una macchina per suicidi. È alla portata di chiunque: costa 200 euro e la si può costruire con una stampante 3D. Dal web si scarica il progetto, poi bastano 5 litri di azoto. Il salto nel baratro del nulla avviene dopo appena 10 minuti. I veri problemi cominciano dopo, all’annullamento in una dimensione dove la stupidità non viene riconosciuta come valida attenuante. Oppure ricorrere al mirabolante strumento dei numeri, il quid che definisce il quantum della materia.

HPC-4Una società petrolifera nazionale, tra i maggiori untori del pianeta, ha di recente attivato il supercalcolatore HPC4, uno dei piú potenti al mondo, capace di svolgere, associato al sistema già operativo, fino a 22,4 milioni di miliardi di operazioni matematiche al secondo e che, unito alle competenze degli operatori e allo sviluppo di algoritmi proprietari, rende ogni giorno le attività del gruppo piú veloci, efficienti e sicure. Strane coin­cidenze: al culmine delle loro capacità matematiche speculative, i Maya arrivarono ai sacrifici umani, essendo scivolati nel cupo dominio delle forze autodistruttive.

Si approntano leviatani, mostri che, a giudicarli, altro non sono che i carnefici della nostra arroganza e disumanità. Pure andiamo fieri del nostro talento nell’allestire autodafé, di erigere i teocalli per i nostri autosacrifici. Come siamo approdati a questo smarrimento, quali i nodi irrisolti dell’anima? Se lo chiedete all’inventore dell’HPC4, vi risponderà che è questione di azzeccare il giusto algoritmo e che lui sta provvedendo. Con un meccanismo ancora piú veloce, con intrecci, interazioni di numeri. Se invece chiedete a una maestra elementare d’antan, sopravvissuta a tutte le rivoluzioni didattiche degli ultimi decenni, vi dirà che forse tutto è dipeso dal fatto che nei libri di testo degli alunni la scienza, la matematica e l’algebra hanno cancellato i racconti, e soprattutto le poesie da mandare a mente e recitare a voce alta. Poiché, vi dirà ancora quella sopravvissuta scolastica, la poesia è fatta di parole, e la parola è miracolosa. Quando finisce di essere vocalizzata, rimane dentro e agisce, consolatrice.

Pertanto, concluderà con amarezza e una punta di rimpianto quella maestra di altri tempi, è stata una follia disumana abolire l’apprendimento e la recitazione della poesia nelle prime classi scolastiche, e forse anche nei corsi successivi della maturità. Poiché la parola poetica imprime misura a ogni sentimento.

Arpa eolia

Arpa eolia

Ce lo conferma Massimo Scaligero, in una lettera a un discepolo dell’agosto 1979, parlando della qualità magica del sillabare, l’intima forza del suono che l’essere umano vocalizza: «Il suono delle parole spirituali ha una forza diretta che agisce sull’anima, di là dal loro significato intellettuale: cosí il suono della voce di esseri che esprimono lo Spirito. Questo suono va isolato nell’anima, cosí che direttamente vada nella corporeità, che ne riceva armonia, onde il Logos risuoni nell’essere vivo dell’Io».

Questo, un Maestro dello Spirito. Non diversamente si esprime in proposito il poeta Shelley nel suo libro Difesa della Poesia: «L’uomo è uno strumento stimolato da una serie di impressioni interne ed esterne. Come un’Arpa Eolia, estrae dalle corde della propria costituzione animica, melodie sempre diverse, solo che vengano toccate, persino appena sfiorate dal murmure dello Spirito. …Il poeta partecipa dell’eterno, dell’in­finito e dell’uno: per quanto riguarda le sue concezioni, il tempo, lo spazio e il numero non esistono. …La poesia è la virtú sonora in grado di risolvere i mali dell’anima e dello Spirito».

Shelley inoltre addita nella mancanza del senso poetico una delle cause maggiori della deriva etico-sociale di un popolo: «La poesia è sempre coesistita con qualsiasi altra arte che contribuisca alla felicità e alla perfezione dell’uomo. …La connessione tra le esibizioni sceniche e il miglioramento o la corruzione dei costumi degli uomini è stata riconosciuta unanimemente. …Si è scoperto che la presenza o l’assenza della poesia, nella sua forma piú perfetta e universale, è collegata con il bene e il male nel comportamento e nel costume».

Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg in arte Novalis

Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg – in arte Novalis

E per dimostrare che il poeta non è soltanto un sognatore dietro gli odorosi frondami di una siepe, vale la pena passare ai nostri politici il Frammento 918 di Novalis, in cui il poeta parla di governo: «La forma di governo moderata è mezzo Stato e mezzo situazione di natura; è una macchina fragile, perciò sommamente antipatica a tutti i cervelli geniali, ma è il cavallo di battaglia della nostra epoca. Se si potesse trasformare questa macchina in un essere vivente, autonomo, il grande problema sarebbe risolto. L’arbitrio naturale e la costrizione artificiale si compenetrano quando vengono risolti nello Spirito. Lo Spirito rende liquidi l’uno e l’altra. Lo Spirito è sempre poetico. Lo Stato poetico è il vero stato perfetto».

Una domanda che l’uomo della strada lecitamente si pone in considerazione di quanto detto: ma allora, visto che lo Spirito soffia dove vuole, è anche possibile che si insinui nelle menti e nei pensieri di costruttori e operatori del HPC4 e li solleciti nella direzione di ricavare un poema da un algoritmo?

Particella angelo

La particella ‘angelo’

Lo ha già fatto, e piú volte. Basti un caso eccellente: Ettore Majorana, che lavorò con Fermi in via Panisperna nel progetto che doveva portare alla fissione dell’atomo e alla bomba atomica, convertitosi a un mistico pacifismo proprio a causa dell’uso distruttivo dell’atomo, iniziò a lavorare alla fusione nucleare, ossia al suo utilizzo energetico e non bellico. Negli anni Trenta, il giovane ricercatore siciliano, confutando le tesi razionalistiche sull’anti­materia del fisico Dirac, riguardo alla esistenza delle sole particelle di materia e antimateria, ipotizzò l’esistenza di una “particella angelo”, che conteneva al suo interno sia la materia che il contrario di essa. Risolto in chiave filosofica o poetica, era la possibilità, enunciata da molte dottrine, che il male e il bene alla fine si integrassero.

Una speranza e un auspicio, per l’umanità che attraversa oggi il deserto verso la sua finale sublimazione.

 

Leonida I. Elliot