Per primo esaminiamo il Pensare libero dai sensi (ovvero dalle percezioni). Perché Rudolf Steiner ha “martellato” le coscienze dei suoi studiosi con questa perifrasi? La ragione sta nel fatto, constatabile da chiunque desideri autodimostrarselo, che i nostri pensieri sono (quasi) sempre mossi (messi in movimento, svolgentesi) da quanto i nostri sensi percepiscono, sia nel mondo esterno, sia in quello interiore (ricordi, sentimenti).
Ne fa testimonianza la realtà che, quando nell’addormentarsi i nostri sensi si chiudono ai due mondi, il flusso dei nostri pensieri cessa, poiché nessuna percezione, sensazione piú li mettono in moto. Ne consegue che, poiché la coscienza umana è “coscienza pensante”, cioè sostenuta dal pensare, essa viene meno e ci si addormenta. Ricordo, dall’Antroposofia elementare, che la nostra coscienza (e autocoscienza) risiede, come una delle sue facoltà, nel nostro corpo astrale, e quest’ultimo, insieme all’Io, abbandonando con il sonno il corpo fisico e quello eterico, trasferiscono la nostra coscienza nei mondi superiori. La conseguenza è che l’attività pensante, come viene sperimentata mentre siamo svegli, non può piú manifestarsi in quella forma. Con la sua perifrasi: “Pensare libero”, o “Pensare libero dai sensi”, Steiner indica, quindi, un’attività del nostro pensare che si deve manifestare senza lo stimolo di una qualsiasi percezione/sensazione, ma mosso solamente dalla volontà del nostro Io.
Va da sé che, se nella coscienza non agiscono piú gli impulsi delle percezioni/sensazioni, come abbiamo visto, si cadrebbe subito in una specie di sonno a occhi aperti (al quale succederebbe anche l’addormentarsi vero e proprio, come quando ci si annoia fortemente per mancanza di stimoli sensori). Quindi, ecco perché la perifrasi dice “Pensare libero dai sensi”, poiché, senza percezioni sensorie, il livello della coscienza decade immediatamente verso stati piú ottusi di quello della chiara veglia diurna. Mantenere il pensare libero di muoversi senza gli impulsi delle percezioni, è un’operazione che, per natura, non abbiamo mai fatto, a cui il nostro Io non è preparato. Ci si deve, quindi, “allenare” come ci si allena per potenziare e sviluppare ogni altra facoltà fisica e animica, e qui, la facoltà del pensare libero dai sensi, in una coscienza perfettamente lucida e desta, parte praticamente da zero, non essendo mai stata praticata dagli uomini, tranne pochissimi precursori che ben conosciamo.
Detto questo, sperando di essere stato chiaro e semplice, c’è da aggiungere che tale “allenamento” si persegue con le tecniche della concentrazione e della meditazione, ma ribadendo con forza: praticate secondo i canoni della moderna Scienza dello Spirito, magistralmente descritte da Rudolf Steiner e Massimo Scaligero. Tali tecniche, pur nella loro semplicità (e proprio per questo), sono le uniche adatte all’uomo attuale che vuole mettersi al servizio di se stesso, quindi di Michele/Cristo. Il vero “nemico” da vincere in quelle attività, che dovrebbero essere solo dirette dalla volontà dell’Io, è proprio il sonno che sopravviene, anche se non nella forma che conosciamo, ma tale da inficiare, con un certo ottundimento della coscienza, il risultato dei nostri sforzi, poiché in quegli stati, altre forze (esseri…) s’impossessano del nostro pensare per farne ciò che vogliono.
Tento ora, dopo averlo fatto per il Pensare libero dai sensi, di spiegare il concetto di Pensiero vivente, cosí come è descritto nelle opere antroposofiche di Rudolf Steiner.
Per poterci introdurre nel tema del pensare vivente, e per tentare di darne una spiegazione non astratta ma immaginativa, ho bisogno che il lettore accetti di immergersi in un’ipotesi di realtà irreale, senza porsi domande sulle incongruenze, o impossibilità oggettive che, necessariamente, sorgeranno nella sua mente. Nello specifico, immaginiamo di aver vissuto tutta la nostra vita, da quando siamo nati e cosí i nostri ascendenti, in un cosmo dove la Luna, con tutte le sue caratteristiche, sia perfettamente percepibile, mentre il Sole, pur esistendo, non sia mai stato percepibile; quindi non se ne presupponga minimamente la realtà e l’azione irradiante luce (situazione da considerare come reale per poter comprendere il seguito). Si tratta di un esempio basato sulle attuali conoscenze scientifiche dei cosiddetti “esperti”, non integrate da quelle spirituali, ovvero che la Luna sia solo un satellite che riceve dal Sole la sua luce, e che poi la rifletta. In realtà la Luna irradia anche una sua luce, diversa da quella del Sole riflessa, ma altrettanto vitale e importante. Gli antichi infatti parlavano a buon diritto di “due luminari”. Oggi la visione materialistica ci racconta tutt’altro, e su questo si basa il nostro esempio.
Dunque, nella situazione descritta in precedenza, in cui gli uomini vedessero solo la Luna e la sua luce, non potrebbero che pensare: “Essa è la sorgente della luce che ci irradia direttamente e che ci illumina continuamente (nell’ipotesi anche di giorno)”. Tali uomini, non conoscendo altre sorgenti irradianti la luce di cui sono coscienti, mai potrebbero sapere, o supporre, che la Luna non ne sia la sorgente unica e originaria, ma solo l’elemento che ne riflette una non sua. Sulla base di quanto già conosciamo da Steiner, gli uomini sperimentano il loro pensare come avviene, lo percepiscono standovi all’interno (infatti ci spiega che il nostro Io vive come “avvolto” dal nostro essere-pensiero, dalla nostra coscienza pensante); mentre, se noi potessimo sperimentarlo dall’esterno, lo percepiremmo come luce (si pensi alle aure dipinte dei Santi e degli Angeli).
Possiamo quindi formulare dei nessi riferendoci all’ipotesi appena descritta. Assimilando la luce della Luna (quella percepita dagli uomini descritti) al pensiero umano, e facendo altrettanto con la Luna e il cervello umano, si può comprendere come l’intelletto umano legato ai sensi (sorto da pochi secoli come facoltà autonoma di ogni uomo), sia stato “soggiogato” dall’altissima potenza dell’intelligenza di Arimane. Egli ha potuto raggiungere tale obiettivo “convincendo” i sunnominati “esperti” a formulare questa semplice equazione: “È il cervello (la Luna degli uomini descritti prima) che produce i pensieri”. Il gioco è stato facile: non avendo, noi uomini attuali, la facoltà di percepire coscientemente la vera sorgente del pensare (come il Sole non percepito da quegli uomini dell’ipotesi), siamo stati convinti, dagli “esperti” degli ultimi secoli, che è il nostro cervello a “secernere”, come una ghiandola, il pensare. Non avendo ancora mai percepito la fonte vera e originaria dell’attività pensante, crediamo che essa sorga dal cervello, mentre quest’ultimo (come la Luna dell’ipotesi) non fa altro che riflettere l’eterna corrente spirituale della luce-pensiero originaria (del Logos), affinché ci divenga cosciente come pensati. Il cervello riflette solo (come ci dicono faccia la Luna con la luce del Sole) ciò da cui è continuamente irradiato, la Luce-Logos che lo ha anche edificato quale strumento fisico, necessario allo Spirito nella carne, per potersi in essa pensare e dirsi “Io sono”.
Se si ripercorre quanto fin qui detto, risulta anche abbastanza semplice comprendere che, per mezzo del cervello, noi diveniamo coscienti solo del processo finale della corrente-forza pensante, non del pensiero-pensante: non a caso diciamo pensati e non Pensiero pensante: pensati, o pensato, è participio passato, cioè il processo del pensare pensante in movimento è già stato, è già avvenuto, ma sempre in una fase precosciente, che ha lasciato il posto al cadavere di sé che, per mezzo dell’azione riflettente della materia cerebrale, ci diviene, infine, cosciente come pensato. L’essere spirituale del nostro pensare dovrebbe agire e vivere in noi con tutte le sue membra spirituali: Spirito, anima, vita, figura (corpo), ma, all’atto della nostra nascita, ci descrive R. Steiner, si “suicida”, lasciandoci di sé soltanto la parte morta, il suo cadavere, la figura, quella che conosciamo come rappresentazione che, con il suo carattere d’immagine, è solo il riflesso morto di ciò che era prima che noi nascessimo: mera parvenza, mero riflesso della realtà, quindi non essere.
Ricordo che, in vista della conquista della possibilità della libertà dell’uomo, e poiché la prima libertà si conquista nel pensare, i Troni, nel 1413 (inizio dello sviluppo dell’Anima cosciente), hanno trasferito il centro della conoscenza dell’uomo dal cuore alla testa. Ciò ha permesso all’uomo di sperimentare il proprio pensare, riflesso dal cervello, solo come cadavere, come riflesso morto, cristallizzato in pensati dell’essere vivente da cui irradia, un pensare morto che, quale non essere, nulla vuole nella nostra coscienza, lasciandoci liberi di farne ciò che vogliamo. Quest’azione dei Troni ha permesso agli uomini la possibilità di iniziare a sperimentare la libertà, a cominciare dal pensare. Il nostro pensare è, quindi, un essere, un essere spirituale di pensiero, capace di creare altri esseri pensiero, e dovremmo avere chiaro che è una grande fortuna (non certo casuale, ma voluta dal Cielo) che, al grado attuale di moralità e non libertà in cui l’umanità si dibatte, possiamo produrre solo esseri-pensiero morti, solo dei pensati, non degli esseri pensiero viventi e agenti secondo la volontà immessa in essi dal produttore. Che ogni uomo si porti dietro la “coda svolazzante” dei morti pensieri da lui prodotti attraverso la “riflessione” del cervello, è qualcosa che riguarda il proprio karma personale, che dovremo riequilibrare; ma se immettessimo esseri-pensiero viventi distruttivi nel mondo spirituale, il carico karmico e gli sconquassi generati sarebbero spaventosamente gravi, molto piú di quanto già ne generiamo con quelli morti.
Per concludere un tema che farebbe tendere le considerazioni all’infinito, sono stato invitato a far meditare sul contenuto della prima meditazione descritta nel libro “Sulla via dell’Iniziazione” di Rudolf Steiner. Lo faccio perché la cosa è molto pertinente. In breve, in quella meditazione si può cogliere un “estratto” su cui meditare: in fondo, le leggi e le forze terrestri che iniziano ad agire su un corpo umano da subito dopo la sua morte, e che lo modificheranno nella forma e nella sostanza come le vediamo agire nei cadaveri, c’erano, e agivano con tutta la loro potenza anche prima che quel corpo passasse attraverso la morte fisica.
Allora, se siamo capaci ancora di un po’ di senso logico, dovremmo chiederci: cosa ha impedito a quelle leggi e forze di dissolvere forme e sostanze di quel corpo, mentre era ancora vivente? Non potremo certo pensare che tali forze sorgano e inizino ad agire su quel corpo solo nel momento in cui è divenuto cadavere, di non avere aggredito quel corpo finché era in vita. Qualsiasi altra congettura sarebbe pura astrazione. Allora, dovremo chiederci, una volta almeno nella vita, e seriamente, cos’è quel quid che sottrae il mio corpo fisico alla morte, giorno dopo giorno?
Bene! La Scienza dello Spirito, di ogni tempo, ha saputo che quel quid è la vita. Solo quando la vita abbandona il corpo fisico, esso cade sotto le influenze delle leggi e forze del regno minerale, che non può far altro che distruggerlo, mai edificarlo. Un corpo fisico umano vivente non può mai essere il risultato delle forze del regno minerale: esso può nascere solo da un corpo vivente, un corpo vivente in cui agisce, appunto, il corpo della vita, il corpo eterico.
Ora, similmente, riconsideriamo il nostro cadavere di pensiero: esso nasce come riflesso della realtà di un essere, e nessuno può pensare che l’immagine riflessa da uno specchio sia piú reale di ciò che si sta rispecchiando. Allo stesso modo il nostro pensare morto, come immagine riflessa di sé, non può essere la sua vera realtà. La sua vera realtà è l’essere pensiero che, nel riflettersi, muore. Allora, la grande, indifferibile, irrinunciabile azione dell’uomo, a iniziare dalla fine del Kali Yuga e con l’avvento della reggenza di Michele, al servizio del Cristo in eterico, è quella di ridare vita, anima, Spirito al proprio pensare morto.
Non possiamo che iniziare dalla vita: dobbiamo inserire, grado a grado, la vita nel nostro pensare, dobbiamo vivificarlo con la libera forza di volontà del nostro Io, che sempre piú s’impegni in tale opera di resurrezione, la prima da realizzare: rendere il nostro essere-pensiero di nuovo vivente mentre ancora siamo incarnati. La concentrazione e la meditazione, con anche lo studio pieno di dedizione della Verità, è l’unico mezzo di cui disponiamo per ottenere la vivificazione-resurrezione del nostro pensare.
Questo è quanto, in poverissime parole, ho potuto dire in merito al concetto di Pensiero vivente. Sia chiaro, e lo dico con forza, che capire di cosa si tratta è già un grande privilegio, che ci siamo conquistati sulla via del liberarci; altro e ben differente sarà sperimentare il pensare vivente, perché esso vorrà essere se stesso in noi, e allora si tratterà di “cose dell’altro mondo…”.
Mario Iannarelli