Dopo anni di studi sulle complesse simbologie medievali del mosaico di Otranto (1163-1165) una domanda sorge spontanea: quale era il fine ultimo che i veri committenti del mosaico si erano prefissati, e chi erano quei misteriosi committenti? A questa domanda si può rispondere procedendo da un lato al riconoscimento dei significati nascosti dietro alcune simbologie, secondo un approccio di tipo allegorico-ontologico, dall’altro analizzando filologicamente il particolare periodo storico e geo-politico di riferimento nel quale il mosaico fu pensato e realizzato.
Per il primo punto, possiamo ormai affermare con certezza che questo riconoscimento è basato sulle esperienza mistiche della cabala ebraica e sul libro Sefer Yetzirà (vedi F. Corona, La Triplice via del Fuoco nel mosaico di Otranto – Atanor Roma). Dal punto di vista storico il mosaico fornisce una chiave di lettura di tipo templare, dove alcuni simboli riprodotti non lasciano dubbi a riguardo. Quindi l’ipotesi piú accreditata è quella che i veri committenti del mosaico furono proprio i monaci templari, i quali lo commissionarono con esborso di ingenti somme di denaro nella città piú orientale d’Italia per tramite del papa Alessandro III (il progetto ha origine con Celestino II) e del suo rappresentante in Otranto, il vescovo Jonathas, con finalità ben precise di tipo rituale nel solco dei riti Sinedrim del tempio di Re Salomone che affronteremo piú dettagliatamente nel presente studio.
ASPETTI STORICI – LE ORIGINI TEMPLARI
Al termine della Prima Crociata, nel 1119, nove cavalieri reduci da imprese in Terra Santa e capeggiati da Ugo dei Pagani si presentarono al Re di Gerusalemme Baldovino II dichiarando di essere disposti a proteggere i pellegrini e a controllare le strade di Gerusalemme. Questi cavalieri erano coperti inizialmente da un semplice mantello bianco senza alcun altro fregio o armatura. Warmond, il nuovo Patriarca di Gerusalemme, durante la consacrazione religiosa, donò loro la croce patriarcale bizantina che divenne il primo simbolo templare ufficiale e che ancora adesso si staglia indomito nel cielo terso della cattedrale di Otranto. Re Baldovino II, dopo averli riconosciuti ufficialmente, diede loro come quartier generale un’ala del monastero fortificato di Nostra Signora di Sion, accanto a quello che era stato il Secondo Tempio di Re Salomone.
Dopo poco tempo, con l’aumentare dei cavalieri, il quartier generale si trasferí, andando ad occupare tutta l’area di quella che era la spianata del Tempio, inclusiva dei suoi sotterranei, ossia l’area compresa fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa. A questo punto presero il nome di “Ordine dei Poveri Cavalieri di Cristo del Tempio di Gerusalemme”, e furono poi chiamati piú semplicemente “Templari”, con il loro nuovo stendardo per 2/3 bianco e per 1/3 nero, con croce patente rossa al centro, croce anch’essa incisa centralmente sul portale della cattedrale di Otranto, proprio sotto la croce patriarcale bizantina.
I Templari furono poi ufficialmente riconosciuti nel Concilio di Trois del 13 gennaio 1129, durante il pontificato di Onorio II e sotto la regola templare “De Laude Novae Militiae” elaborata dal cistercense San Bernardo di Chiaravalle. L’ordine monastico-guerriero, dopo tre secoli di imprese in Oriente e Occidente, il 13 ottobre 1307 (il famoso venerdí 13), venne fatto sospendere con false accuse di eresia dal Re di Francia Filippo IV il Bello, presumibilmente per via di ingenti prestiti ottenuti dall’Ordine, che il Re non poteva piú restituire. Tutto ciò accadeva sotto il pontificato di Clemente V, papa fantoccio voluto appositamente da Filippo il Bello, e che sostituiva Bonifacio VIII dopo un brevissimo pontificato di Benedetto XI.
Il 18 marzo 1314, l’ultimo Gran Maestro del Tempio, Jacques de Molay, rifiutando tutte le false accuse, morí sul rogo presso Notre Dame de Paris, lanciando, lo ricordiamo, il famoso “Anatema di Morte” contro Filippo il Bello e contro Clemente V, morte che puntualmente giunse per entrambi dopo pochi mesi dalla sua pronuncia, e che fece tremare tutte le architravi dei sacri luoghi templari d’Europa.
DATE IMPORTANTI
Nel 1166, anno di realizzazione del mosaico, la situazione nei territori latini d’Oriente era piú che critica. I Crociati avevano perduto definitivamente la città di Edessa (1144) ad opera del Saladino, e risultava necessario rafforzare i ranghi con truppe d’élite addestrate con innovative tecniche di combattimento e con un maggior impulso di Fede, per contrastare questo nuovo potente nemico rappresentato in particolar modo dai gruppi integralisti sciiti ed ismaeliti del Saladino, che avevano come vero obiettivo la conquista di Gerusalemme.
In realtà tale azione di rafforzamento, puntualmente raggiunta, non farà altro che ritardare di alcuni decenni l’inevitabile epilogo crociato, ossia la definitiva caduta di Gerusalemme durante la terza Crociata (1189-1192). In questo frangente i monaci templari svolsero un ruolo determinante per dilatare i tempi della dipartita, dando vita a un intenso programma di addestramento militare e spirituale, attraverso il quale il monaco-cavaliere già addestrato alle tecniche militari acquisiva un maggior incipit sacrale, con l’ausilio di rituali di Iniziazione segreta. Il luogo preferenziale scelto dai Templari per questo tipo di rituali era proprio Otranto, la città piú orientale di Italia, e il suo grandioso mosaico.
SIMBOLOGIE TEMPLARI
Alcuni riferimenti particolari del mosaico di Otranto, come le croci patenti presenti sul portale della Cattedrale e le simbologie mistiche interne al mosaico (nodo di Salomone, gigli, scacchiere, mostri, figure demoniache e melusine), nonché i rapporti economici tra Vescovo di Otranto e la Militia Templi, lasciano ipotizzare che i Templari di Otranto fossero, con i monaci Basiliani (progettisti e costruttori), i veri custodi dei segreti del mosaico e delle complesse simbologie esoteriche, e che questa situazione si inquadrava in un ben preciso e strutturato disegno Papale atto a forgiare, attraverso Iniziazioni segrete compiute sul mosaico, il Cavaliere Perfetto, vero conoscitore dei misteri divini e del principio di luce noto come Graal, di origine veterotestamentaria, in riferimento alla Coppa d’Oro di Babilonia “che inebriava le genti” (Geremia 51:7) ed appartenuto come potere interiore alla discendenza salomonico-davidica del SANG REAL riconosciuta con l’emblema del giglio (fiordaliso) e quindi riconducibile a Gesú inteso come Leone di Giuda. Tale tipo di eroe cristiano, che difatto si ispirava al Messia, poteva essere l’unico in grado di contrastare il vero e temuto nemico in Terra Santa: la famigerata setta ismaelita degli Assassini. La setta politico-religiosa di integralisti musulmani sufi, chiamata degli Assassini, risultava essere fondata in Persia nel 1090 da Hassan ben Sabbah. I suoi seguaci, professando cieca fedeltà al capo, compivano distruzioni e massacri di pellegrini sulla via di Gerusalemme. La setta si schierò prima dalla parte dei Fatimiti egiziani, poi contro di essi. Gli Assassini si diffusero anche in Siria, ove combatterono contro i Crociati, uccidendo nel 1152 il conte Raimondo di Tripoli, e nel 1182 Corrado, marchese del Monferrato. Il ramo di Siria fu poi distrutto dal Sultano d’Egitto nel 1273. La Setta degli Assassini adorava una misteriosa divinità chiamata Baphomet, o Bafometto. Il termine Hashashin (Assassini), entrato nel linguaggio comune per indicare chi commette degli omicidi, viene fatto derivare dal nome dell’“Hashisch”, droga il cui termine aveva anche il significato di “rivelazione”, e che a quei tempi era già usata in Oriente. Si racconta, infatti, che il Vecchio della Montagna, usando questa droga, narcotizzasse i suoi seguaci e li facesse trasportare in un bellissimo giardino, dove si risvegliavano tra fiori e profumi, circondati dalle donne piú desiderabili. Il ricordo di questa esperienza paradisiaca, vissuta in uno stato di semi-incoscienza, doveva dare la certezza di una ricompensa ultraterrena.
Dopo i primi duri scontri, i Cavalieri Templari furono i soli occidentali ad entrare in contatto pacifico con la famigerata setta, e non mancarono scambi diplomatici storicamente documentati, tanto da far supporre che la presunta adorazione di Baphomet da parte di alcuni Templari si inserisse in questo tipo di rapporti.
I RITUALI SEGRETI DEL MOSAICO
Quando ai Templari furono assegnati come scuderie i sotterranei del tempio di Re Salomone, essi con buona probabilità entrarono in possesso di numerosi manufatti, rotoli e documenti rituali appartenuti all’antico Sinedrio. Si ipotizza che entrarono in possesso del famoso libro perduto sulle Leggi divine dei numeri, dei pesi e delle misure, basato sullo sviluppo della sezione aurea, di cui parlò secoli prima Pitagora, e che i Templari stessi, per tramite dei Cistercensi, fecero pervenire alle Corporazioni dei Costruttori di Cattedrali, dando origine ai piú imponenti progetti di cattedrali gotiche d’Europa (Notre Dame, Chartres, Reims, Bourges). Tali progetti utilizzarono tecniche di costruzione innovative apprese dal nulla e senza continuità rispetto al consolidato stile Romanico dell’epoca.
I Templari recuperarono inoltre alcuni rituali segreti associati al Ma’aseh Bereshit e al Ma’aseh Merkavah, rispettivamente l’Opera biblica della Genesi e l’Opera biblica del Carro, e al segreto dell’esatta pronuncia del nome divino consonantico a 4 lettere, da cui il mitico motto templare Non nobis Domine, non nobis sed nomini tuo da gloriam (Non a noi Signore, non a noi, ma al Tuo nome dà gloria – dal salmo 114).
Il rituale di base per l’Opera della Genesi è il cosiddetto Antico Rito Noachita, che esaltava l’arte morbida della falegnameria, con cui Noè salvò l’umanità dal Diluvio Universale, eseguendo alla lettera il progetto dettato da Jahvè per la costruzione dell’Arca (Opera Molas – Opera al nero – Nigredo).
Mentre per ciò che concerne l’Opera del Carro (Opera Rotas – Opera al bianco – Albedo) la ritualità si riferiva ai cosiddetti Riti Sinedrim, con la ricomposizione nel Tempio delle dodici tribú di Israele e le figure della Merkavah, ovvero del Cocchio o Carro di fuoco: il Bue, il Leone, l’Uomo e l’Aquila attualmente recuperabili nei rituali di esaltazione del Sacro Arco Reale di Gerusalemme o di Re Salomone.
Inoltre di grande importanza iniziatica il rituale dello Yom Kippur con la vocalizzazione del nome consonantico impronunciabile di Dio (Jhvh), dopo il suono dello Shofar, e che rappresentava il risveglio dell’energia spirituale insito nel concetto ebraico di Shekinah (Opera al rosso – Rubedo) prerogativa unica del Gran Sacerdote del tempio discendente levitico di Mosè ed Aronne. In realtà questa prerogativa unica veniva superata dai Templari, senza violazione della legge mosaica, attraverso la pronuncia del nome ebraico di Gesú Joshua (Jsvh), generato dal nome consonantico a quattro lettere con l’aggiunta della lettera S=SHIN al centro.
Nel mosaico di Otranto il rito Noachita, cui si sottoponevano i Templari, si svolgeva nella navata centrale lungo l’Albero della Vita, dopo il cosiddetto primo velo (prima ramificazione orizzontale dell’albero). Il rito Sinedrim della Merkavah (l’equivalente MER KA BA nell’Egitto di Mosè e suo fratello Aronne quest’ultimo primo Gran Sacerdote di Israele), cui i Templari si sottoponevano, si svolgeva nella parte superiore del mosaico, vicino all’altare, nel luogo dove erano ammesse le funzioni sacerdotali, ovvero in prossimità delle figure dell’uomo-uccello, del bue e del leone. Per ultimo il Nome Divino veniva dapprima meditato, presumibilmente utilizzando a titolo evocativo il motto templare (Non nobis Domine…), alla base dell’albero, in prossimità dei suonatori di olifante, e vocalizzato poi come nome di Cristo (Jhsvh) nel presbiterio, in prossimità della figura dell’antilope con la scritta Gris.
LA GRANDE OPERA
Le tre fasi del processo rituale ebraico utilizzate dai Templari erano difatto associate ai simboli e colori del loro stendardo (Beauceant) come riportato in figura, dove la Nigredo, che significa colore nero o nerezza, denota in alchimia la fase al Nero della Grande Opera, cioè il passo iniziale nel percorso di creazione della pietra filosofale, quello della putrefazione o decomposizione. L’Albedo, la fase del Bianco, consisteva nella purificazione della massa informe scaturita dalla Nigredo, lavandone le impurità per prepararla alla successiva Rubedo. La Rubedo, o Fase del Rosso, era il culmine della Grande Opera, il compimento finale delle trasmutazioni chimiche del Templare, che culminavano con la realizzazione della pietra filosofale pronunciando il nome di Gesú in ebraico (Jsvh o Joshua).
Se la Nigredo consisteva nella putrefazione e l’Albedo nella distillazione, con la Rubedo avviene la sublimazione per effetto del battesimo di Fuoco e Spirito, come ebbe a dire Giovanni Battista nei Vangeli: «Io vi battezzo con acqua; ma verrà Colui che è piú forte di me, cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e Fuoco».
Francesco Corona