Inganni, paranoie, soluzioni

Socialità

Inganni, paranoie, soluzioni

Basilica di Sant’Antonio di Padova - Cappella delle Reliquie

Basilica di Sant’Antonio di Padova
Cappella delle Reliquie

Nella convulsa temperie di anomia politica che ha segnato la vita del nostro Paese prima e dopo le recenti elezioni, hanno creato motivo di stupore, e a voler essere sinceri anche di rassicurazione, alcune iniziative spontanee di ricorso a pratiche e liturgie, spesso assai vicine alla magia e all’esorcismo, messe in atto in diversi luoghi e contesti sociali. Folle devote, ad esempio, hanno affollato la Basilica del Santo a Padova, formando file composte e determinate solo per sfiorare con le dita la teca in cui è conservata la lingua di Antonio, confratello portoghese di Francesco d’Assisi, una delle reliquie più efficaci, cosí viene asserito, tra le molte e potenti che Antonio, taumaturgo e predicatore, ha lasciato lungo il cammino del suo apostolato persino tra gli infedeli e gli scismatici. Il ricorso alle facoltà portentose delle reliquie ha interessato diverse altre comunità religiose del Paese.

Per non essere da meno delle comunità dei credenti, e per conferire alle varie istanze di soccorso celeste l’adesione dell’autorità ecclesiastica, dato il particolare frangente di stallo politico foriero di imprevedibili sviluppi sociali, l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, ha indetto per il nuovo governo un Te Deum di ringraziamento e suppliche per la tutela divina della Patria.

La preoccupazione per le difficoltà politiche, prima per trovare un accordo tra le varie forze vincenti, e poi per designare i ruoli, le competenze e i poteri dei candidati prescelti, si accompagnava alla montante apprensione per il terrorismo, resosi piú attivo e pericoloso nell’instabile scenario europeo, mediterraneo in particolare. Jihad, Isis, Califfato, cellule impazzite delle unità sciite, mercenari, cani sciolti delle varie organizzazioni paramilitari al soldo del cosmopolitismo globalizzato, del parterre di aristocratici della moneta e della finanza, un reame occulto senza re, senza corte, senza frontiere né lingua, apolide, con l’inveterata smania di voler dominare il pianeta, senza un apparato militare ma con il ricatto del denaro elargito o negato con la stessa malsana volontà di emarginare o asservire.

Un disagio che partendo dai settori socioeconomici maggiormente coinvolti dal fenomeno terroristico e dalle situazioni locali di carenza legislativa, finiva con il danneggiare, di riflesso, settori collaterali. Un esempio per tutti: il turismo decimato nelle presenze, specie in città come Roma, per l’incombere degli attentati eseguiti o soltanto minacciati, come risulta da questa lettera di una guida turistica a un giornale: «Gentile Direttore, la mia è una preoccupazione personale, ma diffusa in particolare in tutta la categoria dei lavoratori del turismo, di cui le guide rappresentano la prima linea, in quanto ogni giorno, a tutte le ore, quale che sia la stagione e il clima, accompagnano i visitatori di tutte le nazionalità, a Roma e negli altri luoghi d’Italia famosi per arte e paesaggio, a godere di quelle eccezionalità visive e creative per cui questo Paese è noto da sempre. Ora, c’è un grado di rischio che i visitatori sono disposti a correre per godere di queste peculiarità estetiche e storiche: possono farsi sfilare il portafogli dalla scaltra nomade, farsi imbrogliare dal giocatore delle tre carte, farsi asfissiare da gladiatori panciuti e da venditori di palle di vetro con la neve su Santa Maria Maggiore, intrupparsi nelle interminabili file per vedere il mega-mattatoio del Colosseo o i Musei Vaticani. Ma il turista lo fa adottando il principio francescano che recita “tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto”. E il premio alla sopportazione è nel godimento dei sensi e dell’intelletto nella visione delle inimitabili meraviglie che il nostro amatissimo Paese può offrire. Fino a un certo punto, però. Non al punto, cioè, di pagare con la vita l’amore per il Paese in cui, a dirla con Goethe, “fioriscono i limoni”, mentre oggi vi allignano i mali frutti del terrorismo. Ora, gentile Direttore, i turisti a casa loro leggono i giornali, guardano la tv, insomma, prima di scegliersi una meta di viaggio, desiderano accertarsi che quel viaggio, benché bello, non sia l’ultimo. Certo, l’etica professionale vuole che di ogni evento, anche il piú efferato, si diano piú notizie possibili, magari con corredi visivi di grande evidenza e dettaglio. Che giovano alla verità, certamente, ma poiché secondo i Romani, che erano onesti ma pratici, est modus in rebus, anche nel dire la verità non c’è bisogno di farsi signoreggiare dalla dottrina dello scoop ad ogni costo, spaventando a morte chi avesse in mente di spendere tempo e soldi per venire in Italia, offrendo il petto e tutto il resto ai kalashnikov, alle ruote dei furgoni, ultimo perverso ritrovato di (chi?) promuove caos e carneficine. Ecco alcuni titoli apparsi sul suo giornale la scorsa domenica: “Integrare non è l’antidoto al terrore”, in cui si informa che l’attentato sulle Ramblas di Barcellona non è stata opera di cani sciolti, di ragazzini sfigati, ma di una vera e seria rete di jihadisti ben addestrati e finanziati in loco. Il che, in breve, vuol dire che il terrore non arriva da lontano ma alligna nel tuo condominio, magari il portiere traffica con nitroglicerina nel locale caldaie per confezionare detonatori per sofisticati esplosivi. E ancora, “Gli jihadisti ci sfidano: I prossimi siete voi” e il sottotitolo, a scanso di equivoci, specifica che quel voi si riferisce all’Italia, rea di aver espulso un siriano e due marocchini. Per questo è stata alzata la protezione a Roma. E sí, perché Roma è il palcoscenico piú adatto alla risonanza mediatica, dove lo sfregio ha lo spettro piú ampio di propagazione spettacolare. Ancora un titolo: “Occidente sotto attacco. Il Marocco fa pulizia dei terroristi e i suoi rifiuti finiscono in Europa”. E qui, anche se si parla per grandi linee geografiche, dove vuole, Direttore, che vadano a finire, dopo lo sbarco, gli appartenenti alla cosiddetta filiera marocchina del terrore? Ma a Roma, e dove sennò? Non vanno certo a Trebisacce in Basilicata o a Vedano al Lambro in quel di Milano. E anche: «A insidiare la democrazia non sono le scritte fasciste ma è l’orrore del Califfato». E qui, con abile gioco di parole, si evocano due spauracchi al posto di uno: jihad e fascismo si aggregano in una sola iattura. Per tale modo di procedere del giornalismo a sensazione, Montanelli coniò la parola “scoopismo”. Ma a chi conviene praticarlo? Ai giornalisti, forse, e solo per l’immediato, poiché, a mio avviso, nel lungo periodo, mancando il turismo – una colonna portante della nostra traballante economia – prima perderanno il lavoro le guide turistiche e poi, seguendo a ruota, tutte le forze produttive e lavorative del nostro Paese. E dunque, gentile Direttore, pur complimentandomi per l’eccellente opera divulgativa della verità condotta dal Suo giornale, mi chiedo se non sia piú saggio e utile mitigare i toni cassandrici delle notizie, specie di quelle riferite agli attentati, non potendo, per etica professionale, tacerle. Si rischia, altrimenti, di rimetterci tutti, compresa la verità. Con i piú cordiali saluti. Alessio T. – Guida turistica autorizzata a Roma».

Ladre colte sul fattoLe preoccupazioni della guida turistica sono giustificate dalla situazione della Capitale e provengono da un soggetto alle prese con ogni sorta di infrazione della legge già nell’ordinario quotidiano della città dove la promiscuità, l’anonimato e il bisogno fomentano borseggio, taccheggio, stalking e furti con destrezza. Una corte dei miracoli dove i turisti, soprattutto stranieri, sono le vittime.

Va da sé che il risentimento della guida Alessio T. è comune e spontanea in ogni visitatore che incontra posti di blocco, i tombini sigillati, i cassonetti deportati dalle aree archeologiche per tema che siano colmi di tritolo, i lagunari in mimetica alla FAO e a Caracalla. E per chi insinua che solo Roma incuba paranoie, ecco le fioriere e le barriere di cemento per proteggere il centro della città di Torino.

Insondabile il karma dell’Italia designata a essere infiltrata, insidiata, invasa, dai tempi del neolitico. E non da coorti di angeli benigni e soccorrevoli ma da barbari desiosi di gustare il miele della civiltà. E comunque, a parte le azioni di piccola e media criminalità, ché oltre si va raramente nell’ambito metropolitano, vige una atmosfera di generale insicurezza da cui origina una condizione di paranoia strisciante, ben piú seria delle azioni illegali concrete. La paura di quanto male può accadere fa aggio su quanto poi di male realmente accade. C’è stato un allarme alle forze antiterrorismo di Torino per la presenza sospetta di due persone che, discese da un furgone, trafficavano con bombole e cavi elettrici nel piazzale antistante la basilica di Superga. Al tempestivo accorrere della squadra di deterrenza, i due sospetti bombaroli, un italiano e un cingalese, si sono rivelati come due paninari che stavano montando il chiosco di street-food per servire ai visitatori del Santuario pizzette, piadine, bevande e quant’altro.

Europa "Unita"Ma questo, tutto sommato, non è un male, secondo l’etica spregiudicata del regime mondialista. Per ottenere qualcosa da qualcuno, la paura è una leva molto efficace, la minaccia di un danno, di un’offesa, della privazione di un bene. Altrimenti, al polo opposto c’è la blandizia: la promessa di bonus vari. Da un lato, quindi, il patto di premiare, dall’altro l’intimidazione di ledere. C’è poi la terza via per indurre qualcuno ai propri fini, senza forzarne la volontà o peggio viziarne la coscienza: dare quello che gli spetta per legge, per merito, per dedizione. Ma queste considerazioni cadono o si stemperano, a seconda della convenienza di chi le enuncia e ne fa il decalogo del proprio tornaconto. Insieme alla paura del terrorismo, l’altro spauracchio che è stato agitato prima in occasione dei referendum, poi delle recenti consultazioni elettorali per la formazione del nuovo governo, è stato il pericolo che correva la democrazia, qualora l’elettorato e il governo in fieri e poi insediato tradissero i sacri vincoli che legano l’Italia alla UE: le scelte in campo finanziario, nelle alleanze con le forze e i Paesi diversi da quelli sacramentati con accordi, convenienze, connivenze. E allora, da ogni dove si sono alzate voci accorate, incrinate da quelle minacce dette e non dette, sfumate, ma proprio per la loro ambiguità ed evanescenza ancor piú minacciose. Ecco i titoli di alcuni giornali: “Democrazie europee sotto assedio” – “Fine della democrazia rappresentativa” – “Uno spettro terrorizza l’Europa: la democrazia” – “Occidente sotto attacco. Leggi speciali per salvare la democrazia”.

Bernard-Henri Lévy in «Last Exit Before Brexit»

Bernard-Henri Lévy in «Last Exit Before Brexit»

Bernard-Henri Lévy, filosofo, paludato intellettuale del Sessantotto francese, lancia il suo cupo anatema mettendo in scena una pièce: “Last Exit Before Brexit”, nella quale, criticando l’uscita inglese dalla Unione Europea, preconizza insanabili disastri per l’Europa democratica con l’avvento al potere dei populisti alla Le Pen e Mélenchon, per la Francia, e per l’Italia Movimento 5 Stelle e Lega.

Cos’è veramente la democrazia, dove è nata, è stata mai veramente applicata, ha un futuro per noi? La parola viene dal greco e vuol dire “potere del popolo”. Ma i Greci l’hanno mai applicata, e come? Per certo sappiamo che i filosofi, Platone in testa, preconizzavano uno stato sociale fatto di uomini virtuosi, il cui agire non era per il proprio tornaconto ma per il bene della collettività e il progresso della civiltà umana. Nella Repubblica infatti viene riportato il modello del capitano di mare che, in possesso della giusta conoscenza del proprio mestiere e dell’onestà morale, porta in sicurezza il carico che gli è stato affidato. Ecco, un uomo cosí, secondo Platone, è un campione di democrazia.

La libertà di agire, creare e pensare, se concessa a individui moralmente responsabili, non poteva che arrecare civiltà e benessere, mantenendo l’ordine sociale ai parametri fissati dai politici e dai filosofi. Questo almeno in apparenza. Poiché, nella sostanza, in obbedienza a un meccanismo di tutela gerarchica, castale e intellettuale, e per non esporre la polis, le sue leggi e i suoi costumi all’arbitrio delle intemperanze dei semplici, i Greci di Pericle e Socrate, sapendo molto bene a quali eccessi la libertà poteva condurre, crearono una struttura segreta, le Eterie – qualcosa come l’attuale Bilderberg, o la Loggia massonica, o i Beati Paoli – che agivano nell’ombra con il solo scopo di impedire che la tanto decantata democrazia esautorasse l’aristocrazia e l’Areopago, gestendo a modo suo la supremazia.

I Romani, dal canto loro, per un innato senso di razionalità e in qualche modo piú realisti dei Greci, partendo dal presupposto che, gira gira, l’individuo geneticamente piú dotato finisce con il fare piú soldi, garantendo a se stesso l’agiatezza e alla comunità i fondi per formare un esercito piú forte, uno stato piú efficiente, con tutti gli annessi e connessi che la disponibilità economica comporta, istituirono un sistema elettorale che, dai comizi centuriati dei tempi di Romolo, in cui l’assemblea votava pro capite census, ovvero ogni voto con lo stesso valore di un altro, passò al sistema di Servio. In base a questo metodo, la società quirite era divisa non piú in curie, ma in classi, nel numero di cinque. Alla prima appartenevano i cives con un patrimonio di centomila assi (circa cento milioni delle vecchie lire), all’ultima classe quelli con non meno di dodicimila assi. I nullatenenti nulla contavano. Un sistema spregiudicato, ma con la spregiudicatezza i Romani costruirono un ricchissimo impero, il modello piú efficiente e a suo modo equilibrato del potere assoluto. La parola democrazia non figurava come tale nel lessico latino. Libertas indicava soltanto l’affrancamento da una costrizione.

liberté égalité fratermitéSi dovette attendere secoli, prima di avere per scritto e parlato un termine lessicale che, nel suo significato indicasse la partecipazione del popolo al governo della cosa pubblica, democrazia appunto. Dai Rosacroce fu coniato il motto “Liberté, Égalité, Fraternité”, che avrebbe dovuto garantire una democrazia illuminata, ma fu poi invece l’Illuminismo ateo a far proprio lo slogan, e in suo nome spazzare via con violenza una classe per sostituirsi ad essa, con i risultati catastrofici della Rivoluzione Francese e della successiva Restaurazione. Lo stesso Napoleone, che era partito con il tentativo di destituire le monarchie assolute europee, finí con il renderle piú intransigenti e dittatoriali, proclamando se stesso imperatore e facendo divenire la tanto sbandierata democrazia un’Araba Fenice, di cui si conosce il nome e l’esistenza ma se ne ignora il recapito.

Eppure, il proporla nei comizi elettorali come panacea per tutti i mali sociali fa ancora gioco ai candidati che la garantiscono come auspicabile, perseguibile. Gli oratori dai palchi di piazza, dagli schermi TV, come gli oungan dei riti vudú, agitano il feticcio della democrazia, e, per quanto inaudito, riescono ancora a farsi supinamente votare.

Mentre Rudolf Steiner, in una conferenza tenuta a Dornach il 28 ottobre 1917 (O.O. N° 177) dice queste testuali parole in tema di democrazia: «Da certa gente viene continuamente strombazzato: la democrazia deve conquistare tutto il mondo civile; la democratizzazione dell’umanità è ciò che porta salute: a questo scopo si devono prendere tutte le misure che rendano possibile la rapida diffusione della democrazia in tutto il mondo. …Si prendono meri concetti per realtà. Con questo mezzo …è reso possibile che l’illusione venga messa al posto della realtà …con il cantare agli uomini la ninna nanna e addormentarli con concetti astratti. …marionetteGli uomini credono che i loro sforzi tendano realmente a far sí che ogni singolo possa portare a espressione la sua volontà, mediante le svariate istituzioni della democrazia, e non s’accorgono che le strutture della democrazia sono fatte in modo che sempre un paio d’uomini tira i fili, e gli altri fanno le marionette. Tuttavia, per il fatto che si ha cura costantemente di persuadere che essi stanno dentro la democrazia, non si accorgono di fare la parte di marionette, e che singole persone tirano i fili. E tanto meglio quei singoli possono tirare i fili, se tutti gli altri credono di essere essi stessi a tirare e di non essere affatto tirati. Cosí si riesce magnificamente ad addormentare gli uomini con concetti astratti, ed essi credono il contrario di ciò che è realtà. Con questo mezzo però appunto le potenze oscure trovano la possibilità di agire nel miglior modo. …È interessante rilevare che un tale ha scritto nel 1910 la giusta affermazione che al grande capitale è riuscito di fare della democrazia il piú meraviglioso, il piú efficiente, il piú duttile strumento per il saccheggio della collettività. Ci si immagina abitualmente – scrive quel tale di cui si tratta – che gli uomini della grande finanza siano avversari della democrazia: è un errore fondamentale. Invece sono proprio essi che la dirigono e intenzionalmente la favoriscono. Poiché la democrazia forma il paravento, dietro al quale essi nascondono i loro metodi di saccheggio, e in essa trovano il miglior mezzo di difesa contro eventuali ribellioni del popolo. …Ha importanza vedere a fondo la realtà, non dare valore alle frasi fatte. …Oggi ciò sarebbe particolarmente necessario, perché cosí si potrebbe vedere da quanto pochi centri vengano realmente condotti e diretti gli avvenimenti che, in maniera cosí spaventosa, cosí sanguinosa, imperversano su tutta l’umanità. Questione socialeA ciò non si potrà arrivare, se si continuerà a vivere nell’erronea convinzione che siano i popoli a farsi la guerra, se ci si lascerà sempre cantare la ninna nanna dalla stampa europea e americana su queste o quelle questioni, che nei presenti avvenimenti esisterebbero fra i popoli. Tutto ciò che viene detto a questo proposito circa antagonismi e opposizioni fra i popoli si dice al solo scopo di coprire di un velo i veri motivi». …La gente ancora si sentirebbe troppo urtata se le si dicesse che cosa sottentrerà al posto di quanto sopra. …Forme del passato certamente non subentreranno. Voi non dovete assolutamente temere che …io intenda alludere a una qualsiasi riviviscenza di alcunché di reazionario o di conservatore. …Tuttavia sono istituzioni cosí diverse dalla attuale macchina per fare le elezioni, che il dirvelo sarebbe urtante. Non solo, ma sarebbe considerato come una pazzia; pur tuttavia si introdurrà negli impulsi dell’evoluzione storica del tempo. …Qualche cosa di diverso verrà introdotto nello svolgimento della storia umana».

Queste ultime parole di Rudolf Steiner portano a pensare alla prefigurazione dell’organismo sociale da lui espressa con il nome di Tripartizione. E qui torniamo al triplice aspetto della società citato nel motto dei Rosacroce: Liberté, Égalité, Fraternité: Libertà riguardante l’attività spirituale, culturale, didattica, artistica; Uguaglianza riferita all’attività giuridica, nella quale tutti devono essere uguali di fronte alla Legge; Fraternità da applicare all’attività economica, di sostegno per tutti, anche per i piú deboli.

La soluzione politica e sociale del futuro, ribadisce Massimo Scaligero, non può prescindere dalla Tripartizione. Lo scrive nel suo breve manuale La Via del Nuovi Tempi: «Urge invero la soluzione tripartitica, che non esclude alcuna delle correnti sociali in atto, ma esige da esse la cooperazione in base alla distinzione dell’elemento giuridico da quello economico e da quello spirituale, nel loro stesso processo, cosí che favoriscano l’individuazione delle tre immanenti forze sociali. L’autonomia realizza l’interna tripartizione di ciascuna di esse. Tali interne tripartizioni si connettono tra loro secondo l’or­dine che spontaneamente cominciano a manifestare. L’elemento libero, proprio all’organismo spirituale, viene sollecitato dall’interna tripartizione degli altri due, operando come elemento direttivo nell’orga­nismo giuridico, cosí come nell’organismo economico: rispondendo all’esigenza che uomini specificamente responsabili assumano la guida delle attività. Si verifica un’interna correlazione fra i tre organismi, ciascuno in sé tripartito, che restituisce l’organicità creativa al corpo sociale.

Vale la pena rilevare che una necessaria conseguenza della Tripartizione è la formazione di un organismo economico mondiale unico, indipendente dalle politiche dei diversi Paesi, ma fonte di benessere per questi. Una ferrea logica può mostrare che le economie nazionali sono altrettanti errori di pensiero.

Con la Tripartizione non v’è da temere il futuro, l’aumento della popolazione sulla Terra, l’in­quinamento, l’esaurimento delle risorse naturali ecc. V’è da temere soltanto l’ignoranza umana, che è tra l’altro ignoranza della struttura tripartita dell’uomo e della società. Le risorse della Terra sono inesauribili, ma occorre all’uomo una reale conoscenza di sé e dell’àmbito della sua esistenza, per identificarle e giovarsene. Questa conoscenza non può essere materialistica. La salvezza dell’uomo è il superamento del materialismo. La Tripartizione comprende anche le istanze interiori del materialismo, ma le integra con l’assunto realistico dell’Io spirituale dell’uomo».

palio_siena_naif1Utilitaristi nel gene, con i picchi filosofici di Bentham, che predicava il maggior bene possibile per il maggior numero di individui, gli Inglesi sono stati paladini della democrazia, pur conservando la monarchia piú longeva del mondo. Un potere assoluto, esercitato tuttavia con garbo e fermezza, malgrado le note mondane e i drammi che ne hanno segnato la dinastia. “Dio e il mio diritto”, è il motto sullo stemma reale. Ma benché difensori della democrazia, gli inglesi ne temevano gli eccessi. Clement Attlee usava dire: «Democrazia significa governo fondato sulla discussione, ma funziona se riesce a far smettere la gente di discutere».

Un’arguzia che sembra ritagliata per i nostri governanti di ieri, di oggi, speriamo non di domani. Non discutere ma agire, non farsi le pulci, ma cooperare. Il Paese è stanco di una politica che ricorda il Palio di Siena, dove le contrade non corrono per vincere ma per impedire che vinca un’altra.

L’impegno sociale futuro dovrà invece essere di correre insieme per la vittoria finale di tutti.

 

Leonida I. Elliot