Giuseppe Garibaldi, Eroe dei Due Mondi – cosí soprannominato per aver combattuto molte guerre nel Nuovo Mondo e nel Vecchio Continente, in nome della libertà ma con un alto prezzo di vite umane – cacciatore esperto, uccisore di migliaia di animali selvatici, il 1° Aprile 1871 inviò una lettera che resterà nella storia. Certo in modo meno roboante delle gesta dei Mille in camicia rossa (le camicie prese dai macellai e divenute celebri), e della conquista del Regno delle Due Sicilie, allo scopo di liberarlo da un regime considerato oppressivo. In realtà, e con sgomento dell’impetuoso condottiero, per consegnarlo alla fine ad un regime che si rivelò peggiore, soffocando ogni tentativo da parte dei cittadini dell’Italia meridionale di fermare il saccheggio di uno dei territori piú ricchi e belli d’Europa: un’avida oligarchia del Nord, che già sfruttava le popolazioni della propria Terra, e che, cieca ad ogni sofferenza dei piú deboli tra gli esseri umani, inserí i nuovi schiavi negli ingranaggi dell’inarrestabile progresso industriale.
Tanto dolore causato, seppur involontariamente, agli oppressi tra gli uomini, pesava come un macigno sul cuore da leone del Generale, ritiratosi a Caprera nella sua fattoria, luogo di pellegrinaggio di intellettuali e patrioti, che riceveva con sempre maggiore insofferenza, rifugiandosi tra i suoi amici animali, gli unici fratelli, la cui sofferenza, mista ad innocenza e devozione, parlava senza mai mentire, attraverso lo sguardo che incrociava il suo.
Dopo tanto sangue giovane versato, le innumerevoli vittime umane e animali che aveva abbattuto avevano un unico volto, un’unica voce. Ecco l’impulso, la decisione improvvisa, di scendere nuovamente in campo, di combattere un’ultima, decisiva battaglia: questa volta, a favore della Vita, e contro la crudeltà e la morte. La battaglia che noi abbiamo ereditato, per difendere i diritti dei nostri fratelli animali, quella che non possiamo perdere, pena l’estinzione del genere umano, e prima di questo la perdita di ogni forma di empatia e carità, ossia della nostra stessa umanità.
Scrive Marco Travaglini: «Sfogliando le note storiche dell’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali – che custodisce documenti e lettere firmate di suo pugno da Giuseppe Garibaldi – si scopre infatti che le origini stesse dell’associazione vanno fatte risalire al 1° aprile 1871, anno in cui Garibaldi, su invito di una nobildonna inglese – lady Anna Winter, contessa di Sutherland – incaricò, con una lettera inviata da Caprera, il suo medico personale, dottor Timoteo Riboli, di costituire una società per la protezione degli animali, annoverando la signora Winter, il medico e se stesso come soci fondatori e presidenti onorari. Un atto fondamentale che costituisce il piú antico documento conosciuto contro il maltrattamento degli animali. Fu cosí che nacque la “Reale Società” per la Protezione degli Animali» (https://bit.ly/2LnAUMd).
Enti benèfici come questo, che è il piú antico e prestigioso in Italia, sono divenuti ottimi business per alcuni, alleggerimento della coscienza per altri, ma in ogni caso, hanno perso l’irruenza battagliera richiesta da un simile compito: quello di lottare per rendere il Mondo un luogo libero dalla crudeltà legalizzata nei confronti degli esseri viventi senzienti, e dall’indifferenza sempre piú diffusa della gente verso tutto questo immane dolore e tanta atroce ingiustizia.
Sotto il cielo siamo tutti fratelli, siamo figli della Madre Terra, e noi uomini non siamo i padroni assoluti del Giardino che ci ospita. Ne siamo, piuttosto, i guardiani, responsabili del benessere e della sopravvivenza di ogni altra specie nostra coinquilina. La nostra responsabilità è soprattutto nei confronti delle generazioni a venire, cui stiamo rubando il futuro, privandoli del diritto sacrosanto di nascere e vivere in un mondo dove l’aria pura, il cibo sano, la felicità, o almeno la serenità, siano garantiti ad ogni uomo. Ciò è impossibile, seguendo il modello del cosiddetto “sviluppo” della civiltà attuale e il modo in cui l’allevamento intensivo e l’agricoltura industriale stanno devastando tutti i continenti, esaurendo alla velocità della luce e rendendo sterili e avvelenate tutte le terre coltivabili in ogni parte del mondo, e affamando miliardi di persone. Tutto questo per conservare le abitudini alimentari, sempre piú viziose e ricercate, di pochi privilegiati, e tenere a bada le masse popolari dei paesi piú ricchi, sempre piú sfruttate e abbandonate, dando loro carne e alimenti di origine animale a basso costo e pieni di farmaci e tossine, e destinandoli a finire nel tritacarne della Sanità ahrimanica, che non rispetta la vita e inietta veleno e morte nei nostri corpi e in quelli sani e perfetti dei nostri bambini.
Anche l’obbligo di iniettare nella carne dei nostri figli cellule di animali torturati e vivisezionati nei templi della “Scienza” – la nuova Religione onnipotente la cui Inquisizione e propaganda feroce superano di gran lunga quelle delle Chiese del passato – è una perversione, un abominio che ricorda la Magia Nera di Atlantide, da cui deriva ogni malattia che abbia mai afflitto il genere umano. Nei vaccini sono presenti anche gli amabili resti delle povere creature che questa civiltà perduta ha condannato, senza battere ciglio, ad essere smembrati vivi, senza anestesia, nel ventre materno, in una dura battaglia in cui il piccolo embrione lotta coraggiosamente, con il cuoricino che batte all’impazzata, mentre gelidi strumenti di tortura gli strappano gli arti uno ad uno dal suo piccolo corpo, lasciando la testa per ultima. La complicità o l’indifferenza dei piú, di fronte a tutto ciò, condanna l’intera umanità a pagare con il sangue di guerre e morti violente un tale crimine legalizzato contro la Vita e la Forza Divina che la genera, che vede respinti brutalmente i suoi doni dagli ingrati figli, ormai totalmente succubi del Male.
La crudeltà verso uomini e animali, le cui tremende sofferenze non possiamo piú ignorare, ha un’unica, diabolica matrice. Un celebre, terribile film, “War Horse”, mostra in modo crudo e fedele alla verità storica i maltrattamenti terrificanti a cui erano sottoposti i cavalli che accompagnavano gli eserciti in trincea durante la Grande Guerra, trasportando armi pesanti che avrebbero sterminato migliaia di giovani, costretti a gettarsi sul campo di battaglia in mezzo a colpi di mitraglia e cannone, con la minaccia di essere fucilati alle spalle dai loro stessi commilitoni se avessero esitato ad avanzare. In questo teatro sanguinario e disumano, avviene un imprevisto che apre uno squarcio nel velo dell’odio: un cavallo corre impazzito in mezzo al campo di battaglia, travolgendo rotoli di filo spinato, fino a rimanere immobile, terrorizzato, avviluppato in un malefico intrico di spine metalliche. Il combattimento cessa da entrambe le parti, come per incanto, quando un giovane soldato inglese accorre per tentare di liberarlo, e un ragazzo tedesco, vedendolo in difficoltà, lo raggiunge con delle tenaglie, forgiate con formidabile acciaio germanico, e insieme compiono il miracolo, non solo di liberare il povero animale, ma di donare qualche minuto di tregua da quella follia collettiva che è la guerra. Il dolore e la consapevolezza negli occhi dei cavalli da guerra, nobili animali cosí diversi dall’uomo che uccide e distrugge, cosí affini nell’amare e nell’essere fedeli, coraggiosi, generosi, a ciò che di piú elevato caratterizza gli esseri umani, e li rende tali, piuttosto che bruti: ecco l’elemento che deve aver colpito il Generale, Garibaldi l’eroe, che non riusciva a liberarsi del peso di portare quel titolo, e del sangue versato, che su di lui ricadeva immancabilmente, tormentandolo. Quel peso aveva finito per trasformare il guerriero e cacciatore in animalista vegetariano, pronto a lottare con la grinta di sempre, e deciso a lasciare, alla fine di una vita gloriosa e travagliata, un’eredità a sostegno della Vita, dell’amore verso tutti i viventi, dell’empatia, perché perdendo la Pietas si perde anche l’Humanitas, e si va verso un terribile destino collettivo.
Al momento della morte, nei due uccellini che venivano a cinguettare sul suo davanzale, a Garibaldi sembrò di vedere le sue bimbe scomparse in tenera età, consapevole che la Vita innocente, in ogni sua forma, viene dal cielo su ali leggère e merita di essere protetta con gratitudine.
Il nostro lavoro interiore in questa èra di transizione verso una nuova Civiltà, non può prescindere dall’obbligo di difendere la vita e l’integrità di ogni essere vivente, embrione e pulcino compresi. La tentazione luciferica ci spinge ad alimentarci in maniera biologica, vegetariana o vegana, e a non inquinare, lasciando il resto del Mondo a torturare e a devastare l’ambiente, condannando dai social o dai salotti gli altri individui meno sensibili e consapevoli. La realtà è che tutti noi siamo ugualmente complici e colpevoli, e sconteremo tutti insieme i crimini contro la vita: gli aborti, gli orrori nei macelli, i bambini cotti vivi con bombe al fosforo o dilaniati da mine antiuomo, vittime del business della Guerra, indispensabile per mantenere il lusso e l’opulenza di chi non rinuncia a un super yacht, a una dimora prestigiosa e alla cucina ricercata degli Chef rinomati.
Ma anche i meno abbienti non rinunciano ai vizi e alle comodità piú a buon mercato dei comuni mortali, pronti a scannarsi in una ben programmata guerra tra poveri, con immigrazione e terrorismo come accelerante fornito ad hoc, per fomentare odio e disagio sociale, in modo da distrarre il popolo vessato dal rivolgere la propria rabbia contro i veri responsabili del declino materiale, morale e spirituale della Società “dei consumi”: non a caso consumiamo e divoriamo prodotti, ma anche acqua, aria, suolo, risorse e ogni sorgente di vita ed energia, commettendo un collettivo atto di crudeltà consapevole, con una totale mancanza di coscienza e di rispetto, se non di amore, verso i nostri stessi figli, oltre ai figli degli altri: dal vitellino costretto a portare un anello nasale con punte acuminate, affinché la madre non possa dare a lui il latte per il nostro milkshake, al bambino africano sul barcone che muore in mare sfuggendo alla devastazione della terra natía.
Non permettiamo che strappino il cuore dal nostro petto di madri, di padri, di figli, perché soltanto il cuore ci potrà salvare. Se lo cediamo, il nostro Io, il tesoro piú prezioso, bramato dal Regno del Male come frutto prelibato, avrà perso il suo baluardo: il legame con la Luce del Christo Logos che disperde le tenebre. La nostra Riserva Aurea è sempre nel Regno del Cuore e nella Luce Divina del Logos, il Verbo che crea e che sempre sarà.
Il nostro compito difficile e bellissimo, oggi, è restituire le ali alla nostra anima. Lo Spirito della materia è l’Amore Divino, il Logos, il Principio che la domina. Scrive Massimo Scaligero nella lettera a un discepolo pubblicata sul numero scorso dell’Archetipo (Restituire ali all’anima) «L’individualità è tutto: che sia il centro dello Spirito operante, umano, sulla Terra. Individualizzare il Divino è il còmpito, cosí che il male sia cancellato da colui stesso che cessa di produrlo. L’individuazione del Divino è la via, il coraggio di decidere non attingendo che all’essenza di sé, liberi di qualsiasi regola o presupposto teoretico. Come sempre, il flusso del fuoco celeste annienta la presunzione umana, abbatte il riottoso ahrimanico: ma occorrerebbe che fosse il fuoco del volere umano a risolvere il male della Terra: la potenza d’Amore redentrice, questo è l’impegno!»
Shanti Di Lieto Uchiyama