Il rimpianto del paradiso

Musica

Il rimpianto del paradiso

Il rimpianto del paradiso

Il pensiero astratto, che è l’ordinario, non è il pensiero in cui l’Io può pensare, ma ciò che condiziona l’Io secondo la riflessità mediata dalla natura corporea. Non l’Io pensa il pensiero, ma l’anima legata alla corporeità: la quale vuole se stessa attraverso l’anima, per il fatto che può divenire pensiero: invertendo il senso radicale della vita dell’uomo.

 

Massimo Scaligero, Trattato del pensiero vivente.


 

L’organo uditivo si forma attraverso un processo embriologico introflettente. Un piccolo lembo di pelle, nell’em­brione umano, attraverso un gesto di invaginazione, introietta in sé quel che prima era pneuma entro il mondo prenatale. Tale è il processo cui dobbiamo la formazione dell’orecchio medio. Ciò che un tempo fu per l’embrione pelle esterna limite e confine, giace nell’uomo, immesso nel sepolcreto collocato alla base del cranio: la rocca petrosa dell’osso temporale. Attraverso tale gesto, il mondo prenatale viene deposto alla base del nostro cranio quale novello Adam Kadmon. Tale è l’origine e il mistero della nostalgia.

Mirabilmente Emil Cioran sintetizza questo processo: «In noi portiamo tutta la musica: essa giace negli strati profondi del ricordo. Tutto ciò che è musicale, è reminiscenza. Al tempo in cui non avevamo ancora un nome, abbiamo probabilmente udito tutto»

i segreti dello scheletroPresupponendo l’antropologia di Rudolf Steiner, possiamo ricordare come in quel corpo autonomo che è la testa, le mandibole stiano a rappresentare la regione degli arti e, nello specifico, la mandibola inferiore rappresenti gli arti inferiori di tale corpo. In questi arti inferiori cristallizzati entro la mandibola, possiamo dunque riconoscere una pervasione della volontà inconscia vieppiú esposta ad un severo confronto con la forza della brama.

Se è vero che seguendo lo sviluppo embriologico del nostro organo uditivo ci poniamo sulle tracce dell’Adam Kadmon in noi – immergendoci in un’atmosfera virginale – è pur vero che la formazione degli ossicini auricolari e dell’osso ioide è dovuta ad un processo di ritrazione e metamorfosi di una parte della mandibola. I tre ossicini (staffa, incudine e martello) ricordano l’immagine di gambe ripiegate come quando stiamo accovacciati sui talloni. Tali “gambe ripiegate” non si muovono autonomamente ma si lasciano muovere. Quando gli esseri umani giocano in mare a fare “il morto a galla” devono acquietare il proprio movimento onde lasciarsi muovere dal mare. Tale gioco consiste nel superare una condizione di immobilità. Oltre l’esser fermi, oltre la tacitazione del proprio corpo, arrivando infine ad una condizione di rovesciamento che è il lasciarsi muovere. Attraverso tale movimento la “Zolla ritorna Cosmo”.

Se attraverso il processo con cui si forma “l’ambiente dell’organo uditivo”, l’udito porta in sé il rimpianto del paradiso, pure, attraverso la formazione dei tre ossicini, l’udito porta entro sé tracce di un polo di brame, seppur molto raffinato, che costituirà la premessa per tutte le operazioni di sconfinamento del polo delle brame entro la regione del sentire. È dunque sommamente importante riconoscere nella cosiddetta osservazione poetica, in quanto presupposto di una fenomenologia della percezione orientata secondo i criteri della Scienza dello Spirito, la conditio dell’ascesi; conditio, in realtà, comune ad ogni artista vieppiú vincolato alla disciplina igienica, posta a fondamento di un’autentica prassi terapeutica.

Non di rado è confusa l’esperienza della risonanza con quella, rara, della sonorità, giacché l’Io che l’uomo dice di essere, vive l’esperienza della riflessità idealizzando l’umano, ossia avendo quotidiana esperienza di egoità. Vivendo l’ego, l’uomo vive fenomeni di rifrazione e risonanza: assiso “all’ombra delle idee”, confondendo l’ombra per la luce, il servo per il padrone.

Cosí il pensiero dialettico può, cercando vita, confondere il portato cosmico-zodiacale, cristallizzato entro la regione organica, per pensiero vivente. Tale potenza cosmico-zodiacale è sintetizzata plasticamente nella immagine scultorea dell’organo, e si rivela quale potenza oltre la soglia del pensiero, attraverso l’atto connessivo-musicale con cui l’organo è partecipe della musica delle sfere.

OuroborosIl pensiero, inabitando la coscienza d’organo, non incontra la vita, il vivente, bensí la vitalità: la riflessione della vita zodiacale (zoe) entro la sfera della vita fisico-organica (bios): deposito, residuo, portato del processo eterico. Non il processo eterico ma il suo lascito in termini di distrutto, di sostanza incombusta. Il pensiero, per incontrare realmente la coscienza d’organo, dovrebbe aver acuito la capacità di ascoltare il pensare quale imago sonora. L’imago sonora è realtà indipendente e tuttavia desumibile attraverso la pratica meditativa. L’imago sonora è lo svelamento della immagine meditativa; qualcosa di superiore allo stato di comunione con l’essenza archetipica dell’oggetto immaginato. Il dono del dono: il suono della luce.

Il pensiero, incontrando bios, incontra il suo reale annientatore. La potenza della forza zodiacale permette a tale cadavere di divenire vettore di forze di rappresentazione (riflessione) organica. Il pensiero cerebrale, addentrato nelle regioni organiche, è presto afferrato da bios che lo priva della sua particola eterica e, orbitando nella sfera in cui zoe ha i suoi satelliti [gli organi], dà voce a fenomeni di cenestesi: la vita zodiacale dell’organo si esprime, attraverso riflessità, mediante combusto dell’attività rappresentativo-zodiacale. Eppure necessaria è la quotidiana morte del pensiero riflesso entro la regione sub-diaframmatica. In tale regione il pensiero riflesso si rende veicolo della Particola di Vita, senza la quale la materia non potrebbe essere transustanziata. Tale particula è contenuto del pensiero vivente: legata alla corporeità, cosí come alla Terra, per via del sacrificio del Logos, agente motu proprio; legata al pensiero confinato entro la regione cerebrale, necessitante di ascesi solare per divenire forza transustanziante.

Entro la regione organica, il Logos è legato alla terra, alla mineralità, operando in accordo binomiale con il sangue. Ove l’uno – il sangue – è sempre sul punto di eterizzarsi, l’altro – il pensiero – entro la regione organica, è sempre in procinto di condensare. Tali processi, ove mantenessero la loro costante motilità, solve et coagula, possono ritenersi sani.

Quando, dopo una bella cena conviviale, ci si addentra in conversazioni filosofico-esistenziali, dibattiti metafisici (meglio sarebbe definire tali metafisiche come metagastriche) non il pensiero pensa, neppure nella sua riflessità. Discorrono attraverso noi, in realtà, i nostri organi. Il loro è un linguaggio che – al di là della riflessità organica entro l’elemento dialettico – l’uomo dovrebbe imparare a conoscere chiedendosi, appunto: «Quale organo parla in me?». La coscienza d’organo – affiorando alla stato di veglia – perde la sua soave saggezza per venir rivestita di una forma dialettica la cui facies è data, appunto, da uno stato di veglia non in grado di assurgere allo status di coscienza.

SognoStato di veglia sognante, non coscienza di veglia: non dunque in grado di supportare uno stato di coscienza di sogno. Questo è ciò che accade quando al mattino si cerca di esprimere la poderosa verità esperita nelle scaturigini dei sogni. La poderosa realtà del sogno è ancora piú distante dall’uomo che, nella sua veglia, è solo un po’ meno addormentato che nel sonno.

Tuttavia importante è la dialettica metagastrica, ove si riesca perlomeno a riconoscerne la funzione rappresentativa, ossia ove si riesca a non identificarsi nei processi dialettici, poiché tale dialettica assume funzione biologica: libera nell’aere il distrutto del processo eterico operato dal pensiero attivo entro la coscienza d’organo: alleggerendo la materia eterica del pensiero confinato entro la regione sub-diaframmatica.

Il punto è che oggi il pensiero d’organo (che è una parasonnia della reale coscienza del­l’organo) è spesso scambiato per una balugine di pensiero ispirato. Allo stesso modo tabacco e alcool, eccitando la sfera nervosa, ineriscono in processi di coscienza laddove lo stato di veglia sognante autorizzi un piú forte sognare ad assurgere a stato di coscienza.

Si è detto che l’attuale percezione della coscienza d’organo è una parasonnia dell’organo. La cenestesi è l’insonnia dell’organo. Lo sconfinamento dell’organo entro regioni a lui solitamente non accessibili.

Solitamente la vita dei nostri organi sconfina a tal punto da rendere sonnambolico il nostro abituale stato di veglia-sognante. Questa è l’attuale condizione in cui l’uomo tragicamente giace immerso nello stato di veglia.

La vita dell’organo, quando la si vuol cogliere, dev’essere cercata al di là dello specchio: non nella rappresentazione che l’organo imprime di sé entro lo stato di veglia, bensí muovendosi di coscienza entro il cosmo: questo lavoro è attualmente disciplina ascetica. Si tratta di essere desti nel sonno, coscienti nel sogno. In tal modo ci si avvicina alla coscienza d’organo che è coscienza musicale. La vita dell’organo è posta oltre lo specchio della vita rappresentativo-zodiacale, e si esprime mediante il suono.

La sostanza caduta entro la sfera dialettica è solo risonanza di una grande espressione musicale. Il pensare dialettico si esprime mediante un pensato mediato da forze organiche. L’immagine della ventriloquía è rappresentazione di tale processo. In questo senso i piú fini dialettici sono come ventriloqui cui manca la coscienza dell’organo parlante.

L’osservazione poetica è espressione, nel poeta, di uno stato di continuità con esseri ed enti: un preludio allo stato di coscienza del Sé Spirituale. Il fenomenologo che faccia di questo stato fusionale con il mondo una metodologia, non lascerà all’ars poetica la possibilità di agire sul proprio respiro. Il fenomenologo tornerà ad essere architetto, avvocato, pedagogo… il suo respiro tornerà a regolarizzarsi mediante l’alterno ritmo simpatia-antipatia. Si cercherebbe nell’osserva­zione poetica ciò che in essa è – giacente quale elemento superno – ma che in essa non consiste.

L’arte dell’osservazione poetica opera mediante trasfondimento dell’Io. La scaturigine di tale trasfundere può essere compresa esclusivamente da chi abbia sviluppato almeno una rappresentazione del quinto gradino di Iniziazione cristiana.

L’elemento di continuità (il poeta è “condannato” alla perennità della sua visione) alla base del principio di osservazione poetica, verrà esercitato entro un elemento di discontinuità della coscienza. Ma è proprio entro questa continuità, lo si vedrà di seguito, che il poeta trasforma il contenuto della propria osservazione in “atto poetico”: questo è il processo fondante la terapia poetica.

Il vero canto nascerà da parole superne che l’attuale laringe non è in grado di pronunciare. La vera parola è canto. Le attuali parole sono tegumenti, nascondimenti di quello stato connessivo che è sempre anteposto alle autentiche manifestazioni artistiche. Il poeta è pervaso dalla musica, poiché le sue parole hanno risolto la prova del pensiero dialettico.

L’arte è la levità del pensiero. Il pensiero manifestante la forza connessiva occultata nel pensiero dialettico.

Commuove una sinfonia di Beethoven, indipendentemente dal fatto che il fruitore ne abbia inteso o meno la forma. Non commuove la lettura di Hegel, se non dopo averne eventualmente afferrato l’elemento connessivo posto tra le parole. La musica di Hegel è silenziosamente collocata tra parola e parola. Lo spazio tra le parole ospita la musica di Hegel. Questa era la realtà musicale di cui Wittgenstein diede comunicazione.

L’arte effonde generosamente lo stato connessivo, occultando la forma. La disciplina del pensiero obbliga a signoreggiare le forme, onde poterne estrarre l’essenziale connessivo. L’arte è il divenire del pensiero.

L’Io – per l’esoterismo cristiano – agisce sul corpo eterico, trasformandolo attraverso l’arte e la religione. Il poeta incorpora lo Spirito vitale, la buddhi, il Logos. Epperò è poeta solo in quanto l’Io, agendo sul suo corpo eterico, ne abbia spiritualizzato il corpo fisico operando nel processo respiratorio.

LeopardiNello sguardo del poeta si manifesta la presa trasmutatrice dell’Io sul corpo fisico umano operante attraverso il processo di una novella respirazione. L’osservazione poetica del fenomenologo opera attraverso una discontinuità ritmico-respiratoria. Lo sguardo del poeta è sguardo tragico, disincantato, gestante l’arto spirituale dell’atto poetico. L’osserva­zione poetica, nel poeta, genera atti poetici.

La fenomenologia deve essere ricondotta all’asce­si, poiché da sola non può sopravanzare se stessa. Il suo altero esercizio è la pastoia che educa il sentire e il pensare al proprio perimetro. La forza con cui la fenomenologia sopravanza se stessa all’interno della collegialità clinico-terapeutica, è la forza del punto-cerchio in grado di preparare le comunità all’incontro con il Paracleto.

Il sentire è originariamente puro, sprovvisto cioè di kama. Il desiderio è da ascriversi al secondo livello di esistenza dell’ umanità, il livello kama-rupico. Anche qui il fenomeno della riflessità porta l’uomo a confondere, non avendone esperienza diretta, il fenomeno della risonanza con quello della sonorità. Questo sentire due diverse anime serra (Goethe, Faust).

Spesso, quando nello stato d’innamoramento l’uomo crede di ascoltare il suono della creatura amata (egli dice, infatti: «la sua voce è come musica»…) in realtà non ode che il risonare di se stesso. Allo stesso modo l’acufene confonde, nella sua evidenza, l’ammalato che ne abbia esperienza: non dal mondo proviene il sibilo.

Quando, ad un certo punto dello sviluppo embrionale, una serie di cellule migra in tale rocca petrosa per “mangiarsi” il midollo osseo, l’essere umano imprime in sé il sigillo della nostalgia. Tale sigillo si manifesta nell’immagine del processo di metabolizzazione del midollo contenuto entro la rocca petrosa.

L’atto restitutivo di tale metabolizzazione ci rende esseri pervasi di nostalgia: questo è il grande collegamento con l’orientamento, l’equilibrio. La cavità della rocca petrosa è l’abaton del tempio greco: luogo predisposto ad accogliere nell’uomo – premesso l’atto di trasformazione del proprio sentire – la possibilità di udire in spirito. Se l’uomo non avesse la rocca petrosa, non potrebbe muoversi in autonomia rispetto all’indagine spirituale, non avrebbe senso per lui la parola “nostalgia”.

È presso il sepolcro che si cerca «Colui che è tra i viventi».

Il pensiero umano si inabissa nella regione metabolica liberando i morti. È il pensiero che – liberandosi delle sue spoglie – assurge alla sua divinità solare. Tale divinità, in queste regioni, è un dono dello Spirito del Cristo perennemente legato alla Terra. L’opera transustanziante del pensiero, in tali regioni, è immagine mitica: sempre attuale e inavvertita, sempre collegata alla perennità del Mistero del Golgotha. Sprofondando nella regione sub-diaframmatica, il pensiero è partecipe di dolore, di processi di dolore, di un corpo di dolore che è cristallizzazione di un piú antico organo di luce. L’uomo sperimenta e cagiona il dolore, ma non lo risolve: la risoluzione del dolore è possibile grazie all’unione dell’Essere del Cristo con la Terra.

Il dolore umano, ogni dolore, scende nella Terra ed incontra l’Essere del Cristo. Sicché il dolore diviene, ritorna, organo di luce. L’uomo non avrebbe presa contro il dolore, la Terra si annienterebbe, sopraffatta da se stessa, senza l’opera trasmutatrice di Cristo. Il Crocefisso è posto nella profondità della Terra, e tutto il dolore passa per quella soglia. Ogni dolore, prima di varcare la soglia trasmutatrice del Cristo, risponde come alla frase di Dostoevskij: «Mi sai dire tu, fratello, il perché del dolore innocente?». Ogni dolore, a questo punto, è dolore innocente. Tale processo è inconscio, metabolico, inavvertito. Lo portiamo in noi.

La sofferenza non è dolore. Soffrire è produrre conoscenza. Attraverso l’atto conoscitivo puro, l’uomo produce una sostanza azzurrina, eterica, che volge letteralmente verso l’alto, divenendo alimento eucaristico per le Gerarchie spirituali. Le Gerarchie spirituali crescono grazie all’atto conoscitivo puro, alla sofferenza umana. Soffre l’innamorato che cerca le ragioni del proprio completamento nella creatura amata, soffre l’infante che piange prima di abbandonarsi al sonno.

Sagramora Fiore di lotoLe Gerarchie spirituali, mediante tale sofferenza, possono come abbracciare il pensare umano: «Ah, questo è l’amore degli uomini! Ah, questa è la stanchezza dei bambini!».

Dunque la sofferenza, quale processo di conoscenza, la ritroviamo essenzialmente nel pensiero, nei processi di pensiero, nei processi con cui il cervello si mortifica. Ed è qui che il pensiero può superare se stesso, può risorgere, divenire vivente. Il pensiero vivente è propriamente dono del Cristo Eterico, poiché il Cranio-Golgotha è scarno luogo di morte. Diviene dunque importante comprendere che il Cristo Eterico – in un certo senso – deve essere conosciuto, sofferto, pensato.

Ma l’incontro con tale Entità è l’incontro con il Risorto. Dolore e sofferenza sono le porte delle Iniziazioni cristiana e rosicruciana. Beninteso è che l’uomo può conoscere il dolore: questa è la via del Graal.

La materia viene cristianizzata nell’attività metabolica umana, poiché in essa «il Cristo in me» ne presiede i processi, quale donazione realizzata. In realtà il Cristo è in me, ma l’Io umano Lo rifugge, sperimentandone inconsciamente la potenza ma non desiderando conoscerla. Cosí viene ridata l’immagine del Logos, che addentro alla regione subdiaframmatica è posto al centro dell’attività organico-zodiacale: Signore del Kosmos. Questo è il Logos addentrato nella regione organica: non il pensiero legato alla corporeità.

Sagramora L'abbraccioIl pensiero che percorra la regione del cranio – e che dunque si faccia pensiero pensato, pensiero riflesso, pensiero rappresentativo – è il vero pensiero legato alla corporeità. Giacché lui solo può dare un nome alle cose: ma quel nome sempre affiorante è sempre afferrato dai processi di mortificazione cerebrale: obliato, e dunque rappresentato.

Ma è qui che il pensiero può vincere davvero la morte, poiché questa regione è una regione mortifera; il pensiero inabitando la cerebralità si riflette, ed è da questa riflessione che autenticamente nasce l’autocoscienza: da una discontinuità della coscienza prodotta tra la disidentificazione dell’essere che pensa e il veicolo pensante: questo attrito tra essere e veicolo è sempre sul punto di superare l’autocoscienza.

Il superamento dell’autocoscienza segna il ripristino della reale comunione con gli enti: qui il pensiero diviene sonorità, poiché l’Io non riflesso è autenticamente musica: musica delle sfere. Tale musica può essere colta solo nel silenzio della psiche. Quando la psiche tace – ossia muore in senso occulto – i fenomeni di rifrazione tacciono, elevando il senso dell’Io a coscienza dell’Io.

Ti sento in me – dice l’innamorato. Io sono in te – dice l’Io del­l’essere umano che abbia in sé la coscienza dell’Io. Da questo momento l’Io, trasfuso nella psiche, vive della sua piena realtà profondente: non stato fusionale con esseri ed enti (la “goccia che ritorna nel mare”, l’ebrietà dell’innamorato) ma Io moltiplicante la sua realtà, in quanto realtà del Logos, pensiero d’amore. Questo Io, allora, superando il dualismo Io-Tu, si legherà agli esseri, profondendo beatitudine. Questo Io si legherà alla pianta, all’ani­male, all’essere sofferente.

Sagramora Sospirata rivaQuesto è l’Io libero dall’esercizio pronominale: l’Io che dona, l’Io impersonale.

 

 

Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da ambo i lati del fiume, stava l’albero della vita, che dà dodici raccolti e porta il suo frutto ogni mese; e le foglie del­l’albero sono per la guarigione delle nazioni.

(Apocalisse 22:1-2)

 

La risonanza non è la sonorità, cosí come l’intuizione della potenza del pensiero vivente non già è pensiero vivente.

Nel XXII capitolo dell’Apocalisse di Giovanni è detto che l’Albero della Vita sta in mezzo alla piazza della città (la Nuova Gerusalemme) e sulle due rive del fiume. Da ciò si può comprendere che l’Albero della Vita dovrà essere nuovamente riunito, intrecciato a quello della Conoscenza.

La sonorità è la risultante di un accordo mediato tra le forze del sistema dei nervi e quelle del metabolismo che si incontrano nella regione ritmico-precordiale.

InsiemeNell’essere umano tre sono i sistemi funzionali: il sistema neurosensoriale (la cui sede fisica principale è la regione del capo), il sistema ritmico (la cui sede fisica principale è la regione toracica) e il sistema del ricambio e delle membra, detto anche metabolico (la cui sede fisica principale è la regione del ventre e delle membra). A ciascuno di detti sistemi corrisponde uno dei tre princípi base della sostanza vivente (sale, mercurio e zolfo) ed una delle tre forze dell’anima: pensare, sentire, volere. A questi tre sistemi funzionali corrispondono due correnti: una corrente superiore (nata dal polo del capo) ed una inferiore (nata dal polo del ricambio e delle membra). Tali correnti vengono mediate dal sistema ritmico.

Nella Genesi i due alberi dell’Eden sono separati: separati il polo della coscienza e quello della vita nell’uomo. L’Albero della Vita torna ad intrecciare quello della Conoscenza nel XXII capitolo dell’Apocalisse.

La corrente dei nervi (Albero della Conoscenza) incontra la corrente del metabolismo (Albero della Vita). I “due alberi”, le due correnti, si “intrecciano” nella regione ritmico-precor­diale. Il fiume è l’asse spinale.

Scrive Massimo Scaligero nel suo libro Graal: «Nella fusione dei due alberi è il simbolo dell’im­presa adamantina del Sacro Amore. I due si ricongiungono, se nell’anima è superata la dualità coscienza-vita: se la coscienza ritrova potere di vita, se il pensiero risorge vivente: se la coscienza si dischiude all’etere del cuore, se l’etere della luce nella coscienza si riunisce all’etere della vita. Allora la coscienza è pronta ad accogliere le originarie potenze del suono, o del Verbo: il Principio di Redenzione è pronto per l’uomo libero, che rechi le forze della coscienza al limite della razionalità, alle soglie della vita. Il vivente, infatti, è il vero sovrasensibile».

 

Nicola Gelo