Cosa ci sorprende di piú nella vita, stupire continuamente di molte cose o non riuscire a farlo nemmeno per una?
«M’illumino d’immenso» è un verso sublime, racconta un’esperienza meravigliosa. Ma io non mi stupisco piú di nulla; anzi, posso dire che non c’è niente al mondo che mi stupisca. Perché dovrei? Sí, certo, dicono che una particolarità dell’anima è quella di stupire per ciò che inaspettatamente la avvince e viene quindi colta dalla sorpresa, però alla mia età non mi avvince ormai nulla. Sarebbe bello diventare vecchi e poter gioire ancora, esaltarsi per un qualcosa. I piccoli non gioiscono forse di cose piccole? E i grandi? Gli adulti? Che fanno? Dovrebbero gioire solo per cose grandi e vecchie? No, no, non va bene; le cose troppo grandi non stupiscono, sono ingombranti, fanno paura… E quelle vecchie poi, chi le vuole piú!
C’era però quel tale, quello che trovava la conoscenza dell’universo stupefacente per il suo continuo prodursi in aspetti nuovi e meravigliosi, che non cessavano mai di stupirlo; beato lui! Forse perché aveva gli occhi azzurri e la lingua facile… ma chi le ha provate veramente tutte, nella vita e nel mondo, non prova stupore neppure di fronte all’incredibile. Perché è questo che succede: la caduta della tensione emotiva vanifica anche i misteri cosmici.
Fatte queste considerazioni, che nella loro elementarità aspirano al Premio Mondiale dell’Inconsistenza (sempre che esista, ma sono sicuro di sí, anche se lo chiamiamo con altro nome), resta da chiedersi: e adesso come la mettiamo?
Dall’insieme delle affermazioni positive e negative addotte e adducende, si ricava come minimo che l’essere è caratterizzato da un profondo senso d’incoerenza. Un’abulia endemica tende a destabilizzarlo, togliendogli anche i piaceri semplici e genuini tipici della natura umana. Probabilmente sa quel che vuole, cosa fare e dove arrivare, ma lo sa per un tempo talmente breve che, rispetto ad esso, la vita di una farfalla è un’eternità. Le premesse volitive hanno durata corta; dopo averle avute e gestite per un po’, vengono dimenticate, si abbandona ogni proposito, e l’uomo ricomincia daccapo a macinare altri progetti, ad appassionarsi a cose diverse da prima. Da novello Sisifo, gli capita molto spesso di non portare a termine niente, in cambio di perdere quel poco che ha racimolato a fatica. Che Albert Camus abbia poi voluto vedere nelle fatiche del figlio di Eolo, di contro ai vani risultati del mitico sudore, il piacere dello sforzo e dell’impegno civile, appaga solo pochi autolesionisti.
Non credo e non desidero appartenere a tale cerchia; però indago sullo stupore, sulla stupefacenza, o sul sorprendente che dir si voglia. È un tema che risveglia la mia attenzione. Perciò non mi arrendo: riuscirò a scoprire il meccanismo segreto che induce le anime a buttarsi ora dalla parte delle meraviglie, ora ad arenarsi nelle secche dello scetticismo e dell’indifferenza? Non me ne stupirei.
Mi sono costruito un resoconto per cominciare a capire meglio la questione, analizzando fatti, eventi, obiettivamente accaduti che abbiano comportato per la pubblica opinione (mia compresa) uno sbandamento, nel senso che, colti all’insorgenza, hanno provocato un’immediata reazione, alla quale è seguita subito una valutazione di merito e quindi una conseguente presa di posizione. In tale settore la scelta è pressoché illimitata.
Fin qui, oltre a descriverli, su quei fatti ci sarebbe poco da dire, sembrerebbero normali; ma invece, rivisitati con una coscienza indagatrice, aiutati dal senno del poi, ascoltati pareri di altri, ritenuti autorevoli e affidabili, hanno svelato una parte di sé del tutto nascosta; e, in molti casi, se non cambiato parere, hanno modificato sostanzialmente il precedente punto di vista.
Sicché alla meraviglia della sorpresa iniziale, volta in un senso, è seguita a poca distanza un’altra, ribaltata e in netto contrasto con la prima. Con la probabilità che la cosa abbia a ripetersi.
Esempio: una mattina leggi sul giornale, nella pagina della cronaca cittadina: «Ignoti hanno rubato la bicicletta del sindaco mentre riceveva una delegazione straniera». La reazione: “In che mondo viviamo! Non se ne può piú! Dove finiremo? Nessuno controlla, nessuno protesta! Continuiamo a dar libero accesso a tutti. Chissà quanti malintenzionati s’infiltrano cosí!».
Tre giorni dopo: «La bicicletta del sindaco non era stata rubata. Un giovane turista aveva creduto fosse una di quelle messe a disposizione dal Comune per agevolare i visitatori, e l’aveva presa a prestito per farci un giretto». Risultato: «Lo dicevo io! Era impossibile! Avevo subito capito che non si trattava di un furto. Ma figurati, la stampa! Quelli, per poter scrivere due righe in piú, vedono furti e rapine da per tutto! Se questo è giornalismo!…».
Passano alcuni giorni: «Il ragazzo che si era approfittato della bicicletta del Sindaco, è un tedesco di nome Kurt». Al che: «Ah questi tedeschi! Credono di farla da padroni da qualsiasi parte vadano! Fosse accaduto ad un italiano in Germania, a quest’ora la Farnesina avrebbe già dovuto istituire una Unità di Crisi».
Un po’ di tempo dopo: «Il tedesco Kurt ecc. ecc. risulta di origine turca». Commento spontaneo: «Ecco là! Lo sapevo, lo sapevo! Un extracomunitario, un mediorientale, un balcanico, immigrato forse di seconda generazione, ma sempre immigrato. Si fanno passare per tedeschi e poi vengono qua a fare cose turche!».
Come si può vedere, una sorpresina, nata dal niente e confezionata da news raffazzonate e assunte in modo logicamente scomposto, può via via trasformarsi in una serie di sorpresone sempre piú mordaci e pungenti, tutte riflessi speculari della causa originaria, ma neppure mezza che possa definirsi stabile.
È capitato a me, e anche se nel riferire ho esasperato gli accenti, può capitare a chiunque: hai una notizia, te ne fai una prima idea con tanto di sentimenti e impulsi volitivi, poi ascolti in merito Tizio, che ne sa piú di te, Sempronio che – è noto – ne sa piú di Tizio; poi ascolti alla TV Caio, che pontifica riproponendo l’intera problematica sotto un punto di vista cosí evidente, che ti senti un Cretinetti per non averci pensato da solo. Allora consulti qualche giornale, magari un articolo ispirato, o navighi in rete per cercare nuove opinioni, sempre piú acute e cerebrali, e alla fine, stremato dal viaggio conoscitivo, mandi al diavolo tutto, perché in quel gran lavorío tu non sei stato presente nemmeno un istante, sei passato da un giudizio altrui ad un altro giudizio altrui, trascinato in una folle, iniqua giostra, in una parata di passioni, rabbie, indignazioni, fobie, superficialità, frustrazioni e malignità, tutte rivestite, alla bell’e meglio, da pensieri sentenziali e ponderosi. Hai dato il tuo affidamento alla vox populi, presupponendo una sua onorabilità. Potevi farne a meno; sei caduto dentro in una pozza di fanghiglia ignominiosa, e ora pensi di potertene sbarazzare scrollandotela di dosso come fanno i cani appena usciti dall’acqua. Ma era proprio questo che si voleva da te. Nel tentativo di liberarti dal grosso della sporcizia, la fai schizzare in tutte le direzioni, inzaccherando e contagiando quelli che (per scelta o per karma?) ti sono vicini.
Sono queste le cose che fanno sorridere i demoni. Sanno di aver avuto buon gioco e di aver sottomesso il tuo volere al loro senza che tu abbia beatamente rilevato alcunché di sospetto o di preoccupante. Accorgersene potrebbe essere una sorpresa.
C’è la pubblicità di un dentifricio che offre una bella garanzia: «Usando il nostro prodotto – dice – hai la possibilità di eliminare il 100 % di placca in piú».
Uno slogan per la vendita di materassi e reti a molle informa gli interessati che per ottenere lo sconto integrativo di un ulteriore 40% sull’80% già compreso nell’incentivo di base, devi acquistare entro “domenica prossima”. Lo va dicendo da quattro o cinque anni (con qualche intervallo, lo ammetto).
Una ditta di detersivi assicura che se compri quel prodotto e sei tra i primi mille a fare la telefonata di adesione, te ne verranno inviati a domicilio due quantitativi al prezzo di uno.
Facciamo un piccolo ragionamento: sul dentifricio, lasciamo perdere; la quantificazione matematica del 100% della placca in piú, si presenta come equazione di primo grado, ove placca = X, e quindi ha un suo grado di difficoltà intrinseco; lasciamo perdere anche i materassi, in cui il calcolo di un futuro formato da infinite domeniche, si complica vieppiú con i mitici vantaggi della somma degli sconti. E mettiamo pure da parte la storiella detersiveggiante del “2 x 1” che, se risolta legittimamente, darebbe sempre e comunque il risultato di due anche nel prezzo. A vantaggio di chi? Indovina un po’…
Seguiamo una pista un pochino piú eccentrica; questi studi pubblicitari, le varie aziende produttrici delle réclame, fatturano profumatamente i loro servigi. Le imprese, gli sponsor investono fior di quattrini in pubblicità, al punto che gli ideatori e i registi delle programmazioni medie cercano di far rendere al massimo le loro trovate, per cosí dire “artistiche”, non tanto per la gloria, per la fama o il piacere di firmare qualcosa di buono, ma solo per convogliare sulle riproduzioni il maggior indice d’ascolto della massa teleutente; sí che, all’interno delle trasmissioni piú gettonate, incombano di continuo blocchi pubblicitari e propagandistici a costo di spezzare film, riviste, fiction, reportage, notiziari e talkshow, riducendoli a brandelli e in tronconi senza senso (non è che prima ne avessero molto, ma cosí facendo annientano pure il poco che c’era), tanto inutili quanto insopportabili; eppure servono da trampolino di lancio alle sozzerie con le quali i top manager delle grandi industrie hanno deciso di bombardare il popolo dei customer fino a renderlo incapace di facoltà pensante, di avvertire il baratro verso cui viene sospinto, e di premere, eventualmente – massimo apice di protesta e ritorsione – lo stop del telecomando.
La considerazione finale è però un’altra. Dal momento che c’è questo florido mercato di domanda e offerta tra stampa, telecomunicazioni e pubblicità, e dal momento che quest’ultima si presenta di livello infimo per l’umana coscienza, destabilizzandola e, ove possibile, peggiorandola sotto ogni punto di vista, tutto questo sta a significare qualcosa o si può continuare a credere in una serie sfortunata di cause accidentali?
L’analisi svolta mi porta a ritenere che gli studi psicologici e comportamentali eseguiti sul grosso pubblico (teleutenti, consumatori, acquirenti, cavie, scimmie ammaestrate ecc.) abbiano scoperto questa debolezza intrinseca dell’umano, una zona d’ansia priva di ripari, impossibilitata a difendersi di fronte all’allettanza subliminare del “trattamento” pubblicitario, e ben lungi da porvi un minimo riparo (per esempio, sparendo nel nulla, che sarebbe un’opera pia) se ne approfittano alla grande, riducendo il potenziale cliente da creatura pensante ad automa pilotato all’acquisto di beni, prodotti e servizi, che, in stato in lucidità, probabilmente mai avrebbe voluto e cercato.
C’è un legame tra la situazione descritta e l’instabilità smaniosa e nevrastenica della pubblica opinione?
Come già in meteorologia i campi di bassa pressione sono attratti là dove l’alta pressione si sposta, non diversamente le anime degli uomini, rigonfie di tutto fuorché di qualità dello Spirito, divengono facile preda di forze ostacolatrici, che se ne impossessano con estrema facilità.
L’inavveduto processo che ci induce a pensare e a parlare a vanvera, senza costrutto e senza prendersi la responsabilità di quanto detto poco prima, non solo mortifica la condizione in cui ci si è posti, ma crea un serio pregiudizio sull’intero andamento evolutivo. In questa ottica si distinguono le alternative che in sé evidenziano i tratti essenziali dell’atteggiamento generale del tempo; atteggiamento che, è bene ricordare, rappresenta il rapporto tra l’essere umano e la sua situazione esistenziale.
Una parte dell’umanità non è in grado di attribuire a sé la capacità di collegarsi con quanto accade; sono gli uomini della “fatalità”, del caos, delle probabilità legate al “plerumque accidit”; ritengono di potersela cavare in qualche modo senza chiamare in causa valori trascendenti, e spiegano a se stessi il senso della vita e le problematiche connesse mediante condensazioni illazionarie.
Un’altra parte invece, non meno numerosa, si affida ai vari culti, alle religioni o alle ideologie, a volte presentate pure con un certo garbo, ovvero a costrutti mentali filosofico-speculativi, dai quali trarre indicazioni, teorie, ipotesi e – perché no? – anche conforto e sollievo.
Poter credere è una gran bella cosa; fino ad un certo punto appaga. Fino ad un certo punto però. Dopo cominciano i guai. Per quanti abbiano scelto questa via, l’importante sarà non spingersi mai oltre “quel certo punto”.
Rimane nascosta una terza possibilità, alla faccia del tertium non datur, ma evidentemente dai tempi della Scolastica fino ai nostri giorni, la specializzazione in dividendum si è moltiplicata. Una ulteriore categoria molto vasta si è imposta, non in aggiunta alle precedenti, ma attingendo, temporaneamente, dall’una e dall’altra, aderenti e sostenitori, sul cui grado di consapevolezza è però meglio sorvolare.
Si tratta dei “promiscui”, mixerati, disomogenei, o provvisoriamente alternativi, o se vogliamo scendere nel populismo di consumo, dei “Bastian-Contrari a tempo determinato”; il vocabolo per definirli non importa. Anche perché essi sono – per natura – indefinibili. Passano da una corrente o da un movimento all’altro, alla ricerca di qualcuno che garantisca loro protezione, soccorso e dialettica di sostegno e magari qualche euro in piú. Mi riferisco a quella specifica moltitudine, trasversale e piú volatile di una Blue Chip in tempo di spreading up, in cui ogni membro pensa, dice o fa qualcosa di contrario (momentaneamente contrario) alla matrice che gli fu originale, connaturata, e dal medesimo dichiarata incontrovertibile.
Per cui si può avere l’ateo, materialista, indurito nell’anima, che all’improvviso “s’illumina d’immenso” e tira fuori (chissà da dove) un pensiero, un’ipotesi, una teoria rilucente di spiritualità. Come si trova, con meno facilità ma si trova, un seguace dello Spirito, tutto zelo, devozione e apertura nei confronti delle verità metafisiche, che improvvisamente compie qualcosa, o afferma un’opinione, lontana mille miglia da ogni principio sovrasensibile conosciuto e meditato.
Si dice: «Beh, può succedere, no?». Ho capito che può succedere, a chiunque e in qualsiasi momento. Tuttavia l’insieme di queste persone va considerato come una categoria a sé stante, estremamente labile e di alta instabilità.
Si potrà opinare che questa esemplificazione rappresenti il massimo della povertà interiore, dello stato di una coscienza riflessa che piú riflessa non si può, che purtroppo è diffuso, non tanto ancora da essere il peggiore, ma comunque sufficientemente avviato per diventarlo, giacché nella sua immarcescibile miopia, nella sua incancrenita voluttà di sparare opinioni ad alzo zero, almeno è una coscienza sincera, non ha retroscena (a parte il vuoto assoluto). Se uno dice delle cavolate, ma le dice in piena innocente spontaneità, spendendosi senza riserve, cosa gli vuoi fare?
Unica soluzione è aspettare, tra i mille cambiamenti di giudizio che seguiranno senza sosta, come gli sciami sismici dopo la prima scossa. Cosí forse, per la legge dei grandi numeri, gli arriverà presto o tardi un pensiero giusto, e magari, riconosciutolo per tale, saprà esprimerlo. A quel punto potrai alzarti da dove ti eri seduto, mettergli una mano sulla spalla e dirgli: «Bravo; adesso andiamo a prenderci un caffè!». Chissà se ne resterebbe sorpreso!
Quando per la prima volta sentii la frase «Questi migranti che sbarcano qui, vengono a rubare il lavoro a noi italiani», non sapevo come replicare; sentivo che l’idea era perentoria e capziosa, ma c’era in essa una parvenza di veridicità, cui non potevo sottrarmi.
Poi ne sentii un’altra: «No, vengono qui da noi per fare quei lavori che noi ci rifiutiamo di fare». E anche questa stava in qualche modo in piedi; malamente, ma stava in piedi.
Ne seguí una terza: «Se vogliamo essere sinceri, e dircela in tutta franchezza, “quelli là” sono costretti ad accettare lavori a condizioni talmente degradanti che i nostri lavoratori, o aspiranti lavoratori, non possono accettare, in quanto oltretutto illegali e inumane» E questa affermazione conteneva essa pure un grado di realismo, ancora piú tosto, che non potevo in alcun modo trascurare. Mi pareva la piú qualificata per centrare l’argomento.
Avevo tuttavia, strada facendo, afferrato una cosa importante: stiamo percorrendo una catena di pensieri, e ad ogni tratto, ad ogni anello, le opinioni si rinsaldano, diventano sempre piú “forti”, sempre piú presenti dentro la situazione che stanno indagando. A quel terzo parere, citato or ora, seguiranno altri, e saranno via via ficcanti, precisi, di maggior portata e ampiezza di vedute. Si aprono le porte ad ulteriori puntualizzazioni; e potrebbero essercene infinite.
Resta certamente da chiedersi se mentre facciamo questo sforzo di cervelli, tesi a rendere aggiornati e solutivi i nostri parti concettuali (non è da sottovalutare che questi brainstorm forse richiederanno generazioni di tentativi e quindi tempi biblici) cosa succederà nel frattempo a quanti si aspettano dal mondo civile una decisione definitiva che consenta loro di poter (sopra)vivere in modo dignitoso?
Forse i cervelli non bastano. Forse tutte le affermazioni riportate sin qui, relative al supposto furto di una bicicletta comunale, e al problema di lavoro sottratto ad un popolo di lavoratori consci solo dei propri diritti, si fermano qui. Non portano soluzioni vere, definitive. Non le abbiamo mai volute, né cercate.
Sono opinioni, queste nostre, che nascono da matrici parziali, faziose, connaturate ad egoismi che sanno ragionare solo in difesa dei propri interessi. Per cui sono considerazioni finte, vergognosamente di parte; anche se espresse ex cathedra da emeriti tromboni, canuti, onusti di lauree, diplomi e onorificenze, armati di retorica vanesia e di ampollosa prosopopea.
Essi, e quanti seguono i messaggi di esaltazione elitaria, non possono comprendere le ragioni del diverso, di quello che può avere la pelle, la maglietta o la tessera differente nel colore, non avendo neppure idea di quello che il karma della collettività li chiama a fare. Credono in un sistema di sviluppo storico della società non inquinato, senza corrotti e senza corruttori, fatto su misura per l’uomo, per come loro vedono l’uomo.
Come? In che modo ottenere uno sviluppo del genere? Non lo dicono apertamente, ma lo si consegue per forza di concatenazione meccanica: comprando i loro prodotti, dal dentifricio, al materasso, al detersivo, all’abbonamento informatico o telefonico; tesserandosi a qualche associazione di tifoseria calcistica o quant’altro; in qualunque modo aderendo a una delle tante proposte di consumismo voluttuario tutelate per legge (dalla loro legge) o anche poste figurativamente al bando (dal loro bando); estorcendo all’ignavia popolare il consenso ad amministrare, a gestire, a proseguire l’infamante corruttela ludocratica celata nei parametri di un moralismo democratico tanto malato quanto perverso.
Non è facile fare il punto della situazione; c’è sempre qualcosa che sfugge, qualche elemento che non quadra, una certezza corrosa dal dubbio in una nuvola di dubbi che vorrebbero convogliare verso una concezione stabile formata da cicliche instabilità. Ma per la percezione comune dello stato di normalità una tale visione del mondo non può venire accolta; non rientra nel politically correct.
E allora non rimane che fingere; fingere di amare, fingere di credere, fingere di essere vivi; desiderare il bene degli altri, nel senso che vorremmo appropriarcene. Cioè nell’unico senso che non ha senso.
Si può partire da vicino, mettersi a pensare seriamente al problema delle migrazioni e ai drammi impliciti; o a quello delle vaccinazioni obbligatoriamente facoltative; o ai paesi terremotati ancora da ricostruire, nel mentre crolla il viadotto di Genova e con esso si sfascia un miracolo dell’architettura moderna, divorato dall’incuria, dal superficialismo tecnocratico, o magari aiutato da un po’ di nano-termite… Ma servirebbe a qualcosa, oltre ad aumentare il salottino dei talk show, dove gli invitati al parterre vengono a sfoggiare se stessi e gareggiano nel dire, con plausibile foga, quel che sono stati mandati a dire? No, proprio no.
Sembra che nemmeno il Pontefice sappia bene quel che accade nella sua Chiesa. Tuttavia io non posso accontentare la mia coscienza con un: «Giudicate voi». Non me la sento. Una parte di me vorrebbe poterlo fare ancora una volta e lasciare che il mondo vada cosí come sta andando, ma, come ebbe a dire un condottiero il giorno prima della grande battaglia: «Sarebbe una risposta troppo amara da contemplare». E io sono già a corto di zuccheri.
Mi rifugio pertanto in tre spunti riflessivi, avvertendo però l’incauto lettore che si tratta di “spuntoni macroscopici”, ai quali sarebbe mio dovere (e per chi ne provi bisogno, anche suo) ricavare una precisazione, se non del tutto definitiva, almeno duratura per lo stato di coscienza che la esprime. Li considero delle “Cartine di Tornasole” da calare nell’anima, verificando il degrado in corso.
Per meglio chiarire l’esperimento, diciamo che la prova è riservata a quelli che seguono la Via dello Spirito, e di conseguenza se ne rendono attivi nel pensare-sentire-volere. Con questo non voglio escludere nessuno; ma mi pare giusto eseguire la verifica su quanti si sono assunti la maggior responsabilità esistenziale.
Il primo punto riguarda l’ingegneria genetica, che ha condotto l’umanità alle soglie della clonazione. sono già stati eseguiti i primi esperimenti, e sembrano riusciti; cosa dobbiamo pensarne? È giusto proseguire in questa direzione? Dobbiamo attendere tempi in cui l’uomo si dimostri piú maturo per affrontare un tema scientifico e biologico di tale portata? Oppure è doveroso fermarci e dire onestamente di non volerci inoltrare nel merito, perché la vita è sacra, e nessuno – né oggi né mai – può arrogarsi il diritto di manipolarla?
Il secondo punto riguarda i dirigenti di un’associazione spirituale molto nota, i quali hanno deciso di costituirsi in società commerciale per poter amministrare e gestire al meglio i beni del patrimonio. Dobbiamo chiederci: hanno fatto bene? Oppure una simile decisione è stata presa sotto influssi malefici di entità che, odiando lo Spirito, hanno, con grande maestria e abilità, “persuaso” chi di dovere a compiere un atto di cosí grave portata? Chi lavora per Dio può lavorare per Mammona?
Dall’impatto che questi due problemi possono causare, rovistando con lealtà in noi stessi, si può giungere ad una prima conclusione temporanea: nello sforzo verso la conoscenza, l’uomo si assume dei rischi, sa che ciò che andrà a scoprire potrà venir impiegato sia nel modo migliore e costruttivo, sia in quello peggiore e distruttivo. Ma se per questo timore dovesse arrestare la sua marcia nella conoscenza, allora egli si porrebbe contro il proprio Spirito, contro l’avvento dell’IoSono, distruggendo la libertà che gli fu concessa per ricongiungersi con lo Spirito dell’Universo.
Vale altrettanto prospettarsi, in una visione che non sia moralisticamente ristretta, il ragionamento relativo alla società che “dovrebbe” occuparsi esclusivamente della propria concezione spirituale. Mi pongo una semplice domanda: un seguace dello Spirito può permettersi di avere un conto in banca, vendere e acquistare titoli o immobili? Perché ostentare amara sorpresa e sofferenza interiore quando a farlo sono gli altri? Temo che siamo un po’ tutti dei consumati recitanti. Potersi rappresentare agli occhi altrui come afflitti dall’inclemenza degli avvenimenti, mette in risalto il fatto che abbiamo ancora un lungo cammino da percorrere prima di sfornare giudizi che, non essendo conoscitivi, non possono neppure essere morali. Forse – grazie al Cielo! – alla fine di questo cammino non vorremo piú dare alcun giudizio, perché risulterà chiara l’infantile, egoica futilità che ci ha costretti fin qui a farlo.
Ma c’è un’ultima cosa di cui desidero parlare. Se lo scienziato è indotto ad eseguire esperimenti da dottor Frankenstein, la sua verità è che il mondo deve sapere. Chi è questo “mondo” di cui egli parla? L’altro, gli altri.
Se una società di intenti puri e nobili va a macchiarsi negli spin off immobiliari, o s’incarta da sola nei derivati di spazzatura borsistica, per chi lo fa? Per tutelare meglio addetti e consociati. Quindi in sostanza, lo fa – almeno dice di farlo – per gli “altri” .
Cosí siamo giunti al terzo punto. È ora di chiederci: chi sono questi “altri”? Perché i casi sono due: o ci sono o non ci sono. Se non ci sono, allora è inutile stare qui a dilungarci, illustrando con arabeschi il prolisso e il perditempo. Ma se invece ci sono, chi sono? Abbiamo a che fare con una realtà oggettiva oppure con una realtà soltanto percepita (soggettiva)?
Il problema viene da lontano e potrebbe proseguire all’infinito. Fintanto che il realista soggettivo non si percepisce protagonista della propria dinamica evolutiva, nulla potrà sapere di quella oggettiva, che infatti – per lui – non c’è. Cosí come il realista oggettivo (ammesso che esista) sarà portato a fare i conti con una prospettiva astratta dallo spazio e dal tempo, e perderà nel contempo la necessità dell’effimero e del caduco, che pure gli appartengono, e con la quale deve in qualche modo relazionarsi ogni giorno.
Quale catalizzatore potrebbe darci la forza di passare indenni da un aspetto della realtà all’altro? Perché alla fin fine è di questo che si tratta: attraversare la cruna e andare continuativamente dall’esperienza del percepire a quella del pensare e viceversa; cosa che avviene sempre e comunque, ma non con l’apporto di una consapevolezza matura a tale compito. Per lo meno non ancora.
«Voi non sapete chi sono perché non conoscete il Padre che mi ha mandato; mi chiedete se io sono il Cristo, il Messia: ma perché non lo chiedete a voi stessi? Se io vi dessi una risposta, allora dovrete credere o non credere, e saremmo al punto di prima. Io non sono venuto a sottrarvi la fatica di cercare liberamente una risposta dentro di voi; sono venuto a darvi la forza di cominciare a intraprendere la strada che vi porterà la risposta».
Mi sono permesso di estrarre, in parafrasi non mia ma di un pensatore di tutto rispetto, alcuni versetti del Vangelo di Giovanni (cap. 8) laddove Gesú il Cristo affronta gli Ebrei, che ormai sono in grado di supporre Chi Egli sia, ma non riescono ad afferrarne la complessa identità totale, anche perché – allora come oggi – essa incute soggezione, forse paura; sicuramente terrore per l’inevitabile perdita di potere.
La dimensione cosmica del Figlio, dell’Unto del Signore, del Messia, dell’IoSono, dell’Essere del Sole, è davvero troppo grande per venir accolta dall’uomo, specie se quest’ultimo non si è ancora fatto un’idea della grandezza della propria anima e continua a considerarla confinata nei limiti angusti della sua corporeità. Il che, per un certo verso, fu vero, ma fino all’avvento del Cristo, non dopo. È questo il punto di cui bisogna rendersi conto. Se non nasce in noi, non soltanto per ipotesi mentale o intellettiva, ma se non attecchisce in tutto il nostro essere e non lo permea fino in fondo, compenetrandolo e rivoluzionando l’ordine costituito, la Verità del Cristo si perde, si nullifica, diventa fatto di cuore, di sentimento, di fede, oppure, peggio ancora, trova la via cerebrale per apparire come un’Ultra Essenza Metafisica, da conteggiare in Noumeni, in Bosoni, o in Quanti di Luce.
In casi come questo, la sola scienza o la sola fede sono altrettanto inutili quanto lo è una conoscenza priva di amore o un amore che non provi interesse per quel che lo suscita. Quante volte ho sentito uomini di scienza, atei e materialisti, parlare di Energia Cosmica, o Primaria o Primigenia, con lo stesso atteggiamento di rispetto e di adorazione, se cosí si può dire, di un fervente religioso mentre parla del suo Divino. E mi sono sempre chiesto il perché della mancata sintesi. Solo incontrando i pensieri di Rudolf Steiner e quelli di Massimo Scaligero ho avuto la prova che esiste una levatura umana capace di cogliere la relazione al livello che le spetta, e che, in definitiva, una siffatta levatura non ha in sé nulla di sovrumano, ma anzi, rientra perfettamente nel potenziale congenito e connaturato alla coscienza dei viventi.
Trovare l’altro, incontrare l’altro, capire l’altro, non si realizza mai. Solo parole, solo dialettica, solo aria fritta. Il massimo risultato ottenuto dai Pensatori dell’Io – parlo degli ultimi secoli e quindi del pensiero moderno – è il punto in cui l’Io e l’Altro-da-sé si congiungono nella microfrattura di un mistero senza soluzione; è questo mistero ad afferrare le anime e a coinvolgerle nelle relazioni piú incredibili. Ma è una congiunzione inspiegabile, le parti in gioco sono infinite e soprattutto non osservabili percettivamente.
Eppure duemila anni or sono, Gesú il Cristo, parlando alla folla di Gerusalemme dal Portico di Re Salomone, ha indicato la Via, questa Via: una via perfettamente umana, percorribile da esseri umani. C’è chi necessita del viatico della fede, chi ha bisogno del sostegno della scienza, ci sono anche alcuni che viaggiano con poco fardello. Nella Sua Parola riecheggia il Principio, ed è la Direzione per tutti.
La via dell’Altro è la via dell’Io; perché prima di essere Mistero dell’Altro abbiamo a che fare col Mistero di Noi Stessi. Si manifesta nella coscienza individuale e si realizza attraverso l’incontro col Figlio, che è l’incontro col Padre. Realizzato, cessano le annose e barbose dispute interrogative: Chi sono io? Chi sei tu? Sei il Messia? Sei un Altro-da-me? Sei diverso nella pigmentazione? O nel cuore? Da dove vieni? Cosa vuoi da me? Che sei venuto a fare?
Decadute collettivamente dal Paradiso Terrestre (amara sorpresa!), le nostre coscienze sono state condotte singolarmente sino al processo di Morte e Resurrezione (incredibile sorpresa!). Quale altro stupore ci attende adesso? Saremo ancora in grado di stupirci?
Angelo Lombroni