Fardelli d'Italia

Costume

Fardelli d'Italia

L’Italia è troppo antica, troppo ingombra

di cose belle e brutte, ricche e povere,

di fardelli, pur nobili, che opprimono.

È come una soffitta in cui si accumulano

oggetti di valore, altri soltanto

conservati per puro sentimento,

per nostalgia, pigrizia e quieto vivere.

Il magico potere del riordino

vorrebbe che facessimo un recupero

dei pezzi rari, restaurando gli altri

bisognosi di lima e pulitura,

per aggiornarli al tempo che viviamo.

Tanto per cominciare, si dovrebbe

mettere mano all’Inno di Mameli.

In toni alteri parla di Scipione

morto e sepolto col suo elmo, un vezzo

retorico che lotta col reale.

Infatti, non c’è piú chi voglia metterselo

in testa per difendere una Patria

gravata di fardelli, un coacervo

di gente d’ogni dove e d’ogni fede,

un melting pot, per cui non si distingue

l’amico dal nemico, è tutto un mare

agitato di anime che premono,

lottano per trovare in poco spazio

il necessario che non basta a tutti

e creano la guerra permanente.

Tocca cambiarlo, l’Inno nazionale,

ché Scipio è un calco d’uomo andato perso,

e l’elmo, se ci fosse, servirebbe

a cuocerci la pasta coi fagioli,

poiché l’Italia è tutto un Masterchef

con gli incubi del gran Cannavacciuolo.

Un guazzabuglio manzoniano, il Forno

delle Grucce in cui tutti senza remore

arraffano qualcosa, ma non fanno

come i Romani, che quando predavano

– ladri anch’essi ma amanti della Patria –

spendevano il maltolto in acquedotti,

strade, ponti, teatri e fattorie,

porti, officine, templi, e non portavano

i soldi a Montecarlo, o li investivano

in isole remote: un emorragico

salasso che spietato ci dissangua,

nonostante sgobbiamo come schiavi,

assumendo pasticche e sedativi,

fumando canne ormai legalizzate.

Cambiamolo, perciò, quest’Inno. È un falso

che non parla di poveri e sdentati,

dell’esodato che fa l’harakiri,

di pensionati a dieta non per scelta

volontaria, ma dato che non basta

ciò che concede l’INPS a fine mese.

E poi, perché Scipione è morto a Zama,

e i Fenici hanno invaso Roma e il mondo

con la menzogna e il culto del denaro.

Cambiamolo perciò l’Inno, altrimenti

può capitare che la discrepanza

tra il modello retorico e il reale

confonda i suonatori della banda

incaricata di suonare l’Inno

quando alzano in cielo il tricolore,

in occasione di una cerimonia

sportiva, per premiare il vincitore

di una gara di calcio o di ciclismo

e di ogni evento in cui l’Italia vinca.

Succede allora che per aderenza

alla sostanza della verità,

la banda, per un guizzo di coerenza,

suoni “Funiculí funiculà”.

 

                                                                   Il cronista