Il fango non edifica, mortifica:
dalla melma scambiata, un desiderio
di seppellirci l’avversario nasce,
e questi non ha pace finché incombe,
su di lui o di lei, l’improrogabile
dovere di rifarsi e spiattellare
ai quattro venti le magagne che
il nemico di turno sa nascondere,
complici la famiglia, il clan, la lobby,
il partito, l’accolita, il cenobio.
Il detto confuciano ribadisce
l’importanza di sciorinare poco
o niente i panni sporchi nonché intimi
testimoni di riti innominabili,
di tare, vizi e colpe inconfessabili.
Altrimenti l’estraneo che rimira
tanto lordume esposto pensa che
sia lercia in fondo tutta la famiglia,
e non ci fa gli affari, non dà credito
a chi ne faccia parte, sia di destra,
di sinistra, di centro o un cane sciolto.
Ed ecco allora la necessità
e la saggezza unita a convenienza
che suggerisce ai litiganti in blocco,
se non di esagerare in baci e abbracci
e complimenti sperticati, almeno
la decenza formale del rispetto.
Ché tutti siamo nella stessa barca
impegnati a guadare la palude
del vivere soggetto alla materia.
E chi batte la voga, chi fatica
ai remi sa che il rischio è di finire,
eroi fasulli di una guerra idiota,
tutti affogati nella stessa mota:
rossi, neri, turchini o paonazzi.
La nave incontrollabile dei pazzi.
Il cronista