Al fiato acerbo della terra, ormai
nel risveglio dell’erba, il chiuso geme
di belati e singulti, il greve afrore
del sangue e latte che le partorienti
essudano nel dare vita al gregge.
Guatano, i lupi, il nascere, promessa
di feroci razzie. In quel dolore
si perpetuano i battiti del vivere,
sogno tenace d’ogni creatura.
E tu, cuore, che sogni, che speranze
nutri e difendi, preso nel sinibbio
del crudo inverno? Mediti sortite,
stretto nel gelo della galaverna,
sopravvivi imbastendo diversivi,
le tue feste voraci, senza freno,
la nuda corsa a fendere la calca.
Ecco, i luperci riddano, ti sferzano
col funicolo intriso della torbida
puerperale sostanza. Ridi, è segno
che non temi la sferza, non ti arrendi,
ché la vita continua, e tu con lei,
nei palpiti segnati alla cadenza
dell’ordine che regge la natura,
nella sorte che computa il tuo tempo
per quanto sostenibile è il tuo sogno.
Ma non cadere nel tranello se
ti offrono tre volte la corona
di re. Non accettarla, vivi docile,
un giorno dopo l’altro, le stagioni
nella loro sequenza inamovibile,
nel loro inarrestabile fluire:
estate, autunno, inverno, primavera.
Questo, il tuo premio, cuore, il tuo gioire.
Fulvio Di Lieto