A molti di voi è senz’altro noto che quando si pronuncia la parola “Teosofia” si può solo suscitare un sorriso in molti dei nostri contemporanei. Molti non ignorano anche che proprio coloro che pretendono attualmente di avere un’attitudine scientifica o una cultura filosofica considerano la Teosofia come qualcosa da designare con un termine del tipo “occupazione dilettantesca”, o credenze derivate da una fervida immaginazione. Particolarmente in certi cerchi di letterati, si può trovare che il teosofo è considerato come una specie di sognatore dall’immaginazione sfrenata, che è un adepto dei suoi mondi singolari di rappresentazione, soltanto perché non si è mai informato su quello che è il fondamento della conoscenza. Proprio nei circoli scientifici troverete chi presume senza alcun dubbio che la Teosofia, in fondo, non abbia alcuna cultura filosofica, e anche se ne ha acquisita una, o ne parla, lo fa da dilettante, alla bell’e meglio.
Queste conferenze non sono direttamente consacrate alla Teosofia. Ce ne sono altre a sufficienza. Ma devono essere un confronto con la cultura filosofica occidentale, un confronto con il comportamento del mondo scientifico riguardo alla Teosofia e con ciò che potrebbe invece accadere in realtà. Devono essere una confutazione del pregiudizio secondo cui il teosofo sarebbe necessariamente un essere senza cultura, incompetente per quanto concerne la scienza. Chi di noi non ha sentito spesso che filosofi delle piú svariate scuole – e si sa che ne esistono in abbondanza – affermano che il misticismo sarebbe una rappresentazione non chiara e impregnata di ogni specie di allegorie e di elementi del sentimento, e che la Teosofia non è nata per coltivare un pensare strettamente metodico, e che se lo facesse capirebbe allora quali vie poco chiare imbocca? Egli capirebbe allora che il misticismo può radicarsi solo nelle teste di uomini malati. Questo è un pregiudizio molto diffuso.
Ma non voglio cominciare con un biasimo. Non perché questo non corrisponderebbe alla convinzione teosofica, ma perché per la mia propria cultura filosofica non considero la Teosofia come figlia del dilettantismo, e pertanto parlo essendone profondamente convinto. Posso però capire perfettamente che chi ha assorbito la filosofia occidentale, e che è dunque munito di tutto l’equipaggiamento scientifico, abbia difficoltà a vedere nella Teosofia qualcos’altro che ciò che appunto se ne sa. Oggi, per chi proviene dalla filosofia e dalla scienza, è proprio infinitamente piú difficile ritrovarsi nella Teosofia rispetto a colui che la abborda con l’umano ingenuo buon senso, con un sentimento naturale, forse religioso, e con un bisogno di risolvere certi enigmi della vita. Perché questa filosofia occidentale mette sul cammino del suo discepolo talmente tanti ostacoli, gli propone tanti pregiudizi che sembrano contraddire la Teosofia, da rendere in apparenza impossibile interessarsene.
È effettivamente vero che la letteratura teosofica non è molto fornita di contributi che si possano confrontare con la nostra scienza contemporanea e che si potrebbero definire filosofici. Ecco perché mi sono deciso a fare una serie di conferenze su questo argomento. Esse sono destinate ad essere il fondamento epistemologico della Teosofia. Nel corso di queste conferenze imparerete dei concetti della filosofia contemporanea e il suo contenuto. E se li considererete in maniera autentica, vera e profonda fino all’ultimo – ma dovrete effettivamente aspettare fino alla fine – vedrete sorgere da questa filosofia occidentale il fondamento della conoscenza teosofica. Ciò non avverrà però grazie a una specie di abile proiezione dialettica di concetti, ma al contrario avverrà, per quanto si può fare in qualche conferenza, con tutto il bagaglio che ci fornisce la conoscenza dei nostri contemporanei; avverrà con tutto quanto è in grado di dare quel poco che può essere accessibile di una visione del mondo superiore persino a quelli che non vogliono saperne.
In un altro secolo, non sarebbe stato possibile esporre nella stessa maniera quello che ho da dire. Alla nostra epoca, forse giustamente, è stato necessario fare un giro di ricognizione da Kant, Locke, Schopenhauer ad altri scrittori dei tempi presenti, diciamo Eduard von Hartmann e il suo allievo Arthur Drews, oppure il geniale teorico della conoscenza Volkelt, Otto Liebmann o l’alquanto convenzionale Euken, che però non è meno rigoroso dal punto di vista razionale. Chi fa qui un giro d’orizzonte, chi ha preso nota di tale o talaltra delle sfumature ricavate dalle concezioni scientifico-filosofiche dei tempi presenti e del passato piú recente, capirà e afferrerà – questa è la mia piú profonda convinzione – che una reale ed autentica comprensione di questa evoluzione filosofica non deve allontanare dalla Teosofia, ma al contrario condurre a lei. Proprio chi si è confrontato in modo fondamentale con le teorie filosofiche deve giungere alla Teosofia.
Forse non avrei avuto bisogno di tenere questo discorso se tutto il pensare della nostra epoca non fosse precisamente sotto l’influenza di un solo filosofo. Si dice che con il grande atto spirituale di Immanuel Kant è stato dato alla filosofia un fondamento scientifico. Si dice che il lavoro che ha compiuto per determinare il problema della conoscenza è qualcosa d’incrollabile. Sentirete dire che cxhi non si è confrontato con Kant non ha alcun diritto di dare il suo parere in filosofia. Potete passare in rivista le differenti correnti: Herbart, Fichte, Schelling, Hegel, la corrente che va da Schopenhauer a Eduard von Hartmann, in tutti questi approcci di pensiero può ritrovarsi solo colui che si è orientato su Kant. In filosofia, dopo che diversi tentativi sono stati fatti nel XIX secolo, alla metà degli anni 1870 ecco quest’appello di Zeller, poi di Liebmann e di Friedrich Albert Lange: torniamo a Kant! I professori di filosofia sono d’avviso che ci si debba orientare secondo Kant e che solo chi lo fa ha il diritto di avere voce in capitolo in materia di filosofia.
Kant ha messo il suo marchio su tutta l’attività filosofica del XIX secolo e del tempo presente. Ma ha anche suscitato cose diverse da quelle che lui stesso voleva. Lo ha espresso in questi termini: diceva di credere di aver compiuto un atto simile a quello di Copernico. In astronomia Copernico ha operato un capovolgimento di tutta la visione del mondo. Ha tolto alla Terra la sua posizione di centro e ha messo al suo posto un tutt’altro corpo, il Sole, che prima si rappresentava in movimento. Kant fa dell’uomo con la sua facoltà di conoscenza il centro dell’osservazione del mondo fisico. Opera decisamente un capovolgimento di tutta l’osservazione del mondo fisico. L’opinione della maggior parte dei filosofi del XIX secolo è che tale capovolgimento si dovesse fare. Si può comprendere questa filosofia solo se la si afferra partendo dai suoi presupposti. Si può capire quello che è derivato dalla filosofia di Kant solo se lo si afferra partendo dalle sue basi. Chi capisce come Kant sia arrivato alla sua convinzione che, in fondo, noi non possiamo mai comprendere le cose “in sé”, perché tutto quello che conosciamo sono solo fenomeni, chi lo capisce comprende anche il corso dell’evoluzione della filosofia del XIX secolo, capisce anche le obiezioni che possono essere fatte alla Teosofia e anche come ci si deve sempre comportare nei suoi confronti. Sapete certamente che la Teosofia si basa su un’esperienza superiore. Il teosofo dice che la fonte della sua conoscenza è un’esperienza che va oltre quella dei sensi. Potete vedere che questa esperienza del teosofo ha lo stesso valore di quella dei sensi, che quanto narra il teosofo riguardo ai mondi astrali e cosí via è altrettanto reale delle cose che percepiamo intorno a noi con i nostri sensi come esperienza del mondo sensibile. Quello che il teosofo crede di avere come fonte della conoscenza superiore è un’esperienza superiore. Leggete Il piano astrale di Leadbeater e troverete che nel mondo astrale le cose sono reali come le carrozze e i cavalli nelle strade di Londra. Questo per dire a che punto questo mondo è reale per colui che lo conosce. Il filosofo di oggi obietterà subito: sí, ma ti sbagli credendo che sia una realtà effettiva. La filosofia del XIX secolo non ha forse provato che quello che chiamiamo nostra esperienza non è altro che la nostra rappresentazione? Che perfino il cielo stellato è in noi solo la nostra rappresentazione? Considera tutto ciò come la piú sicura conoscenza che possa esistere. Eduard von Hartmann considera come la piú evidente verità che si tratta della mia rappresentazione e che non si può sapere cosa possa essere altrimenti. Se credi di poter chiamare “reale” l’esperienza, sei qualcuno che può essere definito un realista ingenuo. Puoi decidere, molto in generale, qualcosa sul valore che ha un’esperienza quando sei di fronte al mondo in questo modo? È il grande risultato al quale è arrivato il kantismo: il mondo che ci circonda deve essere la nostra rappresentazione.
Com’è arrivata a questo la visione del mondo di Kant? Essa è derivata dalle filosofie dei suoi predecessori. A quell’epoca, quando Kant era ancora giovane, in tutte le scuole regnava la filosofia di Christian Wolff. Essa distingueva quella che si chiamava conoscenza grazie all’esperienza che acquistiamo con le impressioni dei sensi, e quello che è ottenuto dalla ragione pura. Mentre noi possiamo avere un certo sapere delle cose della vita di tutti i giorni grazie all’esperienza, con la ragione pura, secondo lui, abbiamo delle cose che sono degli altissimi oggetti della conoscenza. Queste cose sono le anime umane, la libera volontà dell’uomo, questioni che riguardano l’immortalità e l’essere divino.
Le scienze chiamate empiriche si occupano di quanto concerne la scienza naturale, la fisica, la storia e cosí via. Con quale mezzo l’astronomo si procura la sua conoscenza? Per il fatto che dirige i suoi occhi verso le stelle, che determina le leggi secondo le osservazioni. Impariamo per il fatto che apriamo i nostri sensi al mondo esterno. Nessuno può dire che questo derivi dalla ragione pura. L’uomo sa queste cose perché le vede. Sono delle conoscenze empiriche che raccogliamo in noi a partire dalla vita, dall’esperienza, ed è indifferente che ne facciamo o meno un sistema scientifico: si tratta di conoscenza derivata dall’esperienza. Nessuno può descrivere un leone partendo dalla sola ragione. Invece Wolff suppone che si possa attingere quello che si è dalla ragione pura. Wolff suppone che abbiamo una scienza dello Spirito partendo dalla ragione pura, e anche che l’anima deve avere una volontà libera, che deve avere la ragione, e cosí di seguito. Per questa ragione Wolff chiama psicologia razionale le scienze che si occupano della parte piú elevata della scienza dell’anima. Sapere se il mondo ha avuto un inizio e avrà una fine è una questione sulla quale non si può decidere che partendo dalla ragione pura. Chiama questa questione un oggetto di cosmologia razionale. Nessuno può decidere alcunché in merito alla finalità del mondo partendo dall’esperienza; nessuno può esaminarlo con l’osservazione. Sono tutte questioni di cosmologia razionale. Esiste poi una scienza di Dio, un piano divino. Si tratta di una scienza che attinge ugualmente dalla ragione. È quella che è chiamata teologia razionale, è quella che è definitametafisica.
Kant era cresciuto in un’epoca nella quale la filosofia era insegnata cosí. Nei suoi primi scritti, troverete in lui un adepto della filosofia di Wolff. Lo troverete persuaso che esiste una psicologia razionale, una teologia razionale e cosí via. Fornisce una prova che egli definisce la sola prova possibile dell’esistenza di Dio. Conobbe in seguito una corrente filosofica che fece su di lui un’impressione sconvolgente: conobbe la filosofia di David Hume. Egli disse che essa lo risvegliò dal suo sonno dogmatico. Cosa propone questa filosofia? Hume dice questo: vediamo che il sole si alza al mattino e tramonta la sera. L’abbiamo visto da molto tempo. Sappiamo anche che tutti i popoli hanno visto il sorgere e il tramontare del sole, che hanno fatto la stessa esperienza, e ci abituiamo a credere che ciò deve aver luogo cosí per sempre.
Ora un altro esempio: vediamo che il calore del sole cade su una pietra. Siamo del parere che è il calore del sole a scaldare la pietra. Cosa vediamo? Percepiamo prima di tutto il calore del sole e in seguito la pietra riscaldata. Cosa percepiamo? Soltanto che un fatto segue l’altro. E quando facciamo l’esperienza che i raggi del sole scaldano la pietra, abbiamo già formulato il giudizio che il calore del sole sia la causa del fatto che la pietra diventi calda. Cosí Hume dice che non esiste assolutamente nulla che ci dimostri qualcosa, piú di una successione di fatti. Ci abituiamo cosí a credere che vi sia un legame tra causa ed effetto. Ma questa convinzione è solo un’abitudine che abbiamo acquisito, e tutto ciò che l’uomo inventa come concetti di causalità, riguarda in effetti questa esperienza. L’uomo vede che una palla ne colpirà un’altra, vede che ne risulta un movimento e si abitua a dirsi allora che in questo esiste una legge. In verità, non abbiamo a che fare con alcuna visione veritiera delle cose.
Cos’è dunque quello che l’uomo considera come una conoscenza derivata dalla ragione pura? Nient’altro, dice Hume, che un insieme di fatti. Dobbiamo mettere i fatti del mondo in un nesso d’insieme. Questo corrisponde a un’abitudine di pensiero dell’essere umano, a una tendenza del pensare umano. E non abbiamo alcun diritto di andare oltre questo pensare. Non siamo autorizzati a dire che nelle cose esiste una realtà che ha dato loro una legalità. Possiamo soltanto dire che le cose e gli avvenimenti scorrono intorno a noi. Ma per le cose in sé, non possiamo parlare di un legame coerente.
Come possiamo adesso dire che nelle cose si manifesta a noi qualunque elemento che vada oltre l’esperienza? Come possiamo parlare di un legame coerente nell’esperienza che sia derivato da un essere divino, che vada oltre l’esperienza, se non siamo disposti a regolarci secondo qualcosa di diverso dalle nostre abitudini di pensare?
Questa concezione agí su Kant in modo tale da svegliarlo dal suo sonno dogmatico. Essa pone la seguente domanda: può dunque esistere qualcosa che vada oltre l’esperienza? Che specie di conoscenza ci dà dunque l’esperienza? Quest’ultima ci dà una conoscenza sicura? Naturalmente Kant ha subito risposto negativamente a questa domanda. Egli dice: anche se avete visto il sole alzarsi centomila volte, non potete dedurne che domani si alzerà di nuovo. Potrebbe anche avvenire diversamente. Se avete ricavatole vostre deduzioni solo dall’esperienza, una volta potrebbe accadere che l’esperienza vi convinca anche di qualcos’altro. L’esperienza non può dare mai la sicura conoscenza, necessaria.
Che il sole riscaldi la pietra, lo so per esperienza. Ma che debba riscaldarla, non ho il diritto di affermarlo. Se tutte le cose che conosciamo derivano dall’esperienza, queste non potranno mai superare lo stadio dell’incertezza; allora, non può esistere alcuna conoscenza empirica essenziale. Kant cerca ora di chiarire la cosa. Cerca un’uscita. Durante tutta la sua giovinezza si era abituato a credere alla conoscenza. Dovette farsi convincere dalla filosofia di Hume che non esiste nulla di certo. Da qualche parte, non esiste qualcosa di cui si possa parlare di una conoscenza sicura, necessaria? Sí, afferma, esistono dei giudizi certi. Sono quelli matematici. Il giudizio matematico è forse come quello secondo il quale il sole si alza al mattino e tramonta la sera?
Ho il risultato che i tre angoli di un triangolo fanno 180°. Una volta che l’ho provato per un solo triangolo, questo sarà sufficiente per tutti i triangoli. Dalla natura della prova vedo che essa è valida per tutti i casi possibili. È la caratteristica delle prove matematiche. È chiaro per tutti che queste devono essere valide anche per gli abitanti di Giove e di Marte, supponendo che abbiano dei triangoli, che anche là la somma degli angoli di un triangolo deve essere uguale a 180°. Cosí di seguito, due volte due non possono dare altro risultato che quattro. Questo è sempre vero. Con questo abbiamo una prova che esistono conoscenze assolutamente sicure. La domanda non può dunque essere formulata cosí: abbiamo una simile conoscenza? Dobbiamo invece riflettere al modo in cui è possibile avere simili giudizi.
Viene adesso la grande domanda di Kant: come sono possibili simili giudizi assolutamente necessari? Com’è possibile la conoscenza matematica? Ora, Kant chiama i giudizi e le conoscenze che sono attinti dall’esperienza, giudizi e conoscenze “a posteriori”. Ma il giudizio: la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°, è un giudizio che precede ogni esperienza, un giudizio “a priori”. Semplicemente posso rappresentarmi nella mia testa un triangolo e farne la prova, poi, quando vedo un triangolo che non ho ancora mai visto da vicino, posso dire che la somma dei suoi angoli deve essere uguale a 180°. Ogni sapere superiore dipende dal fatto che io possa portare dei giudizi partendo dalla ragione pura. Come sono possibili tali giudizi a priori? Abbiamo visto che un tale giudizio: la somma degli angoli di un triangolo è uguale a 180°, concerne tutti i triangoli. L’esperienza deve piegarsi al mio giudizio. Se disegno un’elissi e poi guardo nello spazio cosmico, trovo che un pianeta descrive una simile elisse. Il pianeta segue il mio giudizio formato da una pura conoscenza. Affronto dunque l’esperienza con il mio giudizio formato puramente nell’attività ideale. Ho attinto questo giudizio dall’esperienza? domanda ancora Kant. Quando formuliamo dei tali giudizi puramente ideali, non abbiamo senza dubbio in effetti fatto alcuna esperienza reale. L’elisse, il triangolo, non hanno alcuna realtà d’esperienza, ma la realtà si piega ad una simile conoscenza. Se voglio avere una vera realtà, devo ricorrere all’esperienza. Ma quando so quali specie di leggi vi agiscono, ho una conoscenza prima di ogni sperimentazione. La legge dell’elisse non è derivata dall’esperienza. La creo da me stesso nel mio Spirito. Cosí, in Kant, un passaggio comincia con la seguente frase: «Anche se ogni nostra conoscenza comincia con l’esperienza, e nondimeno essa non è tutta derivata dall’esperienza». Introduco nell’esperienza quello che ho come conoscenza. Lo Spirito umano è costituito in modo tale che tutto nella sua esperienza non corrisponde che alle leggi che ha. Lo Spirito umano è costituito in maniera tale che egli deve necessariamente creare quelle leggi. Quando affronta l’esperienza, quest’ultima deve piegarsi a quelle leggi.
Un esempio: supponiamo che abbiate degli occhiali blu. Vedrete tutto in una luce blu; gli oggetti vi appariranno in una luce blu. Per il momento non importa per nulla quale sia all’esterno la composizionedegli oggetti. Al momento in cui le leggi elaborate dal mio Spirito si allargano sul mondo intero dell’esperienza, bisogna che il mondo intero dell’esperienza vi si adegui. Non è vero che il giudizio “due per due fa quattro” sia derivato dall’esperienza. È la costituzione del mio Spirito che fa che due volte due deve sempre fare quattro. Il mio Spirito è tale che la somma dei tre angoli del triangolo è sempre 180°. Cosí Kant ricava dall’essere umano stesso la giustificazione delle leggi. Il sole riscalda la pietra. Ogni effetto ha una causa. È una legge del mio Spirito. E se il mondo è un caos, allora lo investo con la legalità del mio Spirito. Prendo il mondo come una collana di perle. Sono colui che fa del mondo un meccanismo di conoscenza. Ora vedete anche come Kant arrivò a trovare un metodo per la conoscenza cosí preciso. Finché l’essere umano è organizzato cosí, tutto deve piegarsi a questa organizzazione, anche se la realtà si trasformasse in una notte. Per me, essa non può trasformarsi se le leggi del mio Spirito sono le stesse. Il mondo può dunque ben essere come vuole; noi lo conosciamo come deve apparirci conformemente alle leggi del nostro Spirito.
Vedete dunque qual è il senso dell’affermazione: Kant ha operato il capovolgimento di tutta la teoria della conoscenza. Prima, era ammesso che l’uomo estraesse tutto dalla natura. Ma dopo, egli fa in modo che lo Spirito umano prescriva le leggi alla natura. Impernia tutto attorno allo Spirito umano, come Copernico fa girare la terra attorno al Sole.
Ma esiste poi ancora qualcos’altro che mostra che l’uomo non può mai andare oltre l’esperienza. Certo, questo pare essere una contraddizione, ma vedrete che è precisamente in accordo con la filosofia di Kant. Kant dimostra che i concetti sono vuoti. “Due volte due fa quattro” è un giudizio vuoto, se non riguarda piselli o fagioli. “Ogni effetto ha una causa” è un giudizio puramente formale, se non è riempito di un concetto preciso di esperienza. I giudizi sono preformati in me per essere applicati alla visione del mondo. “Delle visioni senza concetti sono cieche – dei concetti senza visioni sono vuoti” . Possiamo pensare milioni di elissi, esse non corrispondono ad alcuna realtà se non le vediamo nel movimento dei pianeti. Dobbiamo provare tutto con l’esperienza. Possiamo acquistare dei giudizi a priori, ma abbiamo il diritto di applicarli solo se coincidono con l’esperienza.
Ma Dio, la libertà e l’immortalità sono cose sulle quali possiamo riflettere quanto a lungo vogliamo, a proposito delle quali non possiamo acquistare conoscenza con alcuna esperienza. Per questa ragione è del tutto vano voler determinare qualcosa riguardo a loro con la nostra ragione. I concetti che valgono a priori sono validi solo per quanto si estende la nostra esperienza. Abbiamo perciò certo una scienza a priori, ma questa ci dice soltanto come dev’essere l’esperienza una volta che questa è presente. Possiamo, per cosí dire, acchiappare l’esperienza come si farebbe con una rete, ma non possiamo affatto determinare come dev’essere la legge dell’esperienza. Della “cosa in sé” non ne sappiamo nulla, e siccome Dio, la libertà e l’immortalità dovrebbero avere la loro origine nella “cosa in sé”, non possiamo determinare niente a loro proposito. Non vediamo le cose come sono, ma come dobbiamo vederle conformemente alla nostra organizzazione.
Kant ha fondato con ciò l’idealismo critico e ha superato il realismo ingenuo. Ciò che si conforma alla causalità non è “la cosa in sé”. Ciò che si conforma al mio occhio o al mio orecchio deve dapprima fare un’impressione sul mio occhio, sul mio orecchio. Queste sono le percezioni, le sensazioni. Sono gli effetti di qualunque “cosa in sé”, di cose che mi sono completamente sconosciute. Queste producono molti di effetti ed io li ordino in un mondo regolato da leggi. Mi creo un organismo di sensazioni. Ma quello che c’è dietro, quello non posso saperlo. Non è nient’altro che la legalità che il mio Spirito ha introdotto nelle sensazioni. Quello che c’è dietro le sensazioni, di quello non posso sapere nulla. Per questa ragione il mondo che mi circonda è solo soggettivo. È soltanto quello che io stesso costruisco.
Ora, l’evoluzione della fisiologia del XIX secolo ha in apparenza dato interamente ragione a Kant. Prendete l’importante scienza del grande fisiologo Johannes Müller. Ha stabilito la legge delle energie sensoriali specifiche. Essa consiste nel fatto che ogni organo risponde a modo suo. Fate entrare una luce nell’occhio, avrete un barlume; date un colpo all’occhio, avrete ugualmente una sensazione di luce. Müller ne ricava la conclusione che quello che percepisco non è dovuto alle cose all’esterno, bensí dipende dal mio occhio. L’occhio risponde a un processo che mi è sconosciuto per la qualità del colore, per esempio per il blu. Il blu non esiste da nessuna parte all’esterno, nello spazio. Un processo agisce su di noi e produce la sensazione di “blu”. Quello che credete essere davanti a voi non è altro che l’effetto di processi qualsiasi sconosciuti su di un organo dei sensi. Tutta la fisiologia del XIX secolo ha dato in apparenza una conferma di questa legge delle energie sensoriali specifiche. E con questo, anche l’idea di Kant sembra confortata.
Questa visione del mondo può essere chiamata illusionismo nel piú ampio senso del termine. Nessun essere sa nulla di quanto agisce all’esterno, di quello che produce le sue sensazioni. Partendo da se stesso, egli tesse tutto il suo mondo di esperienze e l’organizza secondo le leggi del suo Spirito. Nient’altro potrà mai avvicinarsi a lui finché la sua organizzazione sarà costituita com’è. Questa è la teoria di Kant, che ha preso i suoi argomenti dalla fisiologia. Con essa ci è dato quello che Kant chiama idealismo critico. È anche quello che Schopenhauer sviluppò nella sua filosofia: gli uomini credono che tutto il cielo stellato e il sole li circondino. Ma è solo la loro propria rappresentazione. Voi inventate il mondo intero. Eduard von Hartmann dice: è la verità piú sicura che possa esistere. Nessuna potenza potrà mai sconvolgere questo principio. Questo è ciò che dice la filosofia occidentale. In fondo, essa non ha mai riflettuto su come certe esperienze hanno avuto luogo. Può attenersi fermamente al realismo solo colui che sa come hanno avuto luogo le esperienze e arriva allora al vero idealismo critico. La visione di Kant è l’idealismo trascendentale, cioè egli non sa nulla di una vera realtà, nulla di una cosa in sé, ma ha soltanto un sapere di un mondo di rappresentazione. In fondo egli dice: devo rapportare il mondo delle mie rappresentazioni a qualcosa che mi è sconosciuto. Questa visione è presunta passare per qualcosa di incrollabile.
Questo idealismo trascendentale è effettivamente incrollabile? La “cosa in sé” è inconoscibile? Se fosse cosí non si potrebbe parlare di alcuna esperienza superiore. Perché se “la cosa in sé” fosse soltanto un’illusione, non saremmo autorizzati a parlare di alcun essere superiore. Ed è d’altronde una delle obiezioni che è spesso fatta alla Teosofia: voi vi create gli esseri superiori di cui parlate.
Vedremo la prossima volta in che maniera queste concezioni devono essere approfondite.
Rudolf Steiner
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 27 novembre 1903 ‒ O.O. N° 52. Traduzione di Angiola Lagarde.