La diversità è questo unico e sacrosanto diritto
a legittimarsi nell’incomprensibilità
Nicola Gelo
Scopo di questo articolo, dal titolo solo apparentemente provocatorio, è parlare di quella categoria di bambini solitamente rientranti nel quadro del disturbo ADHD (ed in particolare della sua variante iperattiva-impulsiva) e osservarne le connessioni con l’ambiente sociale che li circonda. Molti comportamenti “disturbati” dei bambini sono espressioni di altrettanti comportamenti realmente disturbati dello spazio sociale ruotante attorno ad essi. Molti disturbi del comportamento sono stili di danza con cui i bambini ci comunicano di essere pronti ad attuare nel nostro tessuto sociale un’autentica operazione di inversione culturale. Siamo pronti a riconoscerli?
Nessuno medico o educatore potrà mai penetrare l’essenza della comunità infantile. La società dei bambini possiede un suo codice che sempre rimarrà sconosciuto. Tale codice resta sconosciuto perché non può essere segnato: il codice della comunità infantile appartiene a quel tempo ancestrale in cui si conosceva ancora la motilità delle parole: si sapeva che la codificazione di un sistema di leggi scritte avrebbe rappresentato il primo passo del declino di una civiltà. Molte persone credono di signoreggiare tale codice in virtù di un certo esercizio professionale o per via di un determinato percorso di studi; ciò vuol dire collocarsi di là dalla possibilità della manifestazione di tale comunità. Ogni qualvolta l’educatore proverà ad analizzare il comportamento atipico del bambino, l’essere infantile fuggirà lontano e lascerà gli esperti a confrontarsi con una serie di parametri che poco o nulla avranno a che vedere con il bambino in questione. Questa è una delle prime regole: l’infanzia difende se stessa dalle ferree leggi di peso e misura, che sono poi quelle con cui, in virtù di un incomprensibile criterio di normalità, si vorrebbe normalizzare la manifestazione della comunità infantile, esprimendola nel paradigma di leggi scientifiche espresse una sola volta e per tutti.
Il metodo scientifico è il metodo di indagine con cui poter studiare il mondo fisico inanimato; esso risulta già inadatto per lo studio del mondo vegetale. L’essere umano quotidianamente supera se stesso, e mai dovrebbe essere confinato ad una serie di rappresentazioni passate.
Il mondo animale è realmente formato per specie, ed ogni specie è l’espressione di un istinto. Un lupo non diventerà mai vegetariano (se non per un ammaestramento impartito dall’uomo) ed un coniglio non potrà decidere di apprendere la tecnica predatoria del lupo. Nella sublime espressione di tali istinti l’animale vive e si conforma.
Ogni essere umano è una specie a sé, e lo è in quanto studia e impara: in quanto è posto nella condizione di sopravanzare se stesso mediante il superamento di istinti e brame che, pur legandolo al mondo animale, non lo conformano ad esso. Ciò che permette all’essere umano di studiare, imparare e sopravanzare continuamente se stesso, è la manifestazione di una forza che nell’animale manca: la forza dell’Io. L’individualità umana si esprime attraverso l’Io; quali individualità, siamo portatori di una storia che è innanzitutto la nostra (ossia scelta da noi) e che poi, a poco a poco, abbraccia gli ambienti che l’accolgono. L’individualità umana possiede una sua estrema saggezza e sceglie autonomamente il suo destino, cosí come mirabilmente espresso da Platone nel mito di Er (Repubblica, libro X) e successivamente ripreso da James Hillman ne Il codice dell’Anima.
È interessante notare come i grandi pedagogisti di inizio Novecento (si pensi a Maria Montessori, a Janusz Korczak e soprattutto a Rudolf Steiner) abbiano marcato l’importanza di riconoscere il bambino quale essere umano (precedentemente le cose non stavano proprio cosí) e di attribuire ad esso, ancor prima della nascita, la decisione di “scendere sul piano fisico”. Senza l’idea di individualità l’essere umano sarebbe un essere plasmato dagli influssi dell’ambiente circostante e/o programmato dal suo patrimonio genetico (che a questo punto sarebbe una sorta di “istinto genetico”).
Ecco, accettando l’idea dell’essere umano quale somma di fattori ambientali e di fattori genetici, trasformeremmo l’individuo in una pura terra di nessuno, poiché il caos sarebbe il principio ordinatore (o scompaginatore) di ogni evento. È bene scegliere cosa pensare dell’individualità umana. La scelta compiuta dall’individualità del bambino ancor prima di nascere (scelta con cui esso dovrebbe decidere il proprio destino) non preclude la possibilità di agire in modo libero, giacché per ogni evento programmato si potrà trovare una infinità di possibili soluzioni. Potremmo paragonare determinate scelte biografiche (crisi biografiche, incontri) a dei segnali stradali incontrati durante un viaggio in macchina. Essi sono là, fissati in un modo saggio e collocati al “posto giusto”: il modo di rispondere alle indicazioni sarà mio e mio soltanto. Come educatore potrei anche non comprendere il significato di “scelta del destino” ma non potrei disattendere al principio etico della cura: una individualità è stata a me affidata e da questa tensione Io-Tu nascerà una relazione. Quel che cura è la relazione.
I fattori ambientali – e questo lo si comprenderà meglio in seguito – sono scelti dal bambino ancora prima di “scendere” sulla Terra cosí come la “veste genetica” che l’individualità sceglierà di indossare. Accompagniamo i bambini senza avere la pretesa di “guarire” o di “redimere” l’individualità dal destino scelto. Dovremmo avere rispetto e comprensione anche quando la biografia umana assume i tratti manzoniani della “provvida sventura”.
Non tutto può essere compreso dai genitori e spesso ancor meno può essere compreso dagli educatori e maestri. Nelle forme in cui la biografia del bambino pervenga a noi attraverso tratti di assoluta enigmaticità, valga il rispetto e l’amore per l’incomprensibilità! Riconoscere il diritto all’incomprensibilità vuol dire inverare un alto processo di coscienza. Non dobbiamo capire ma accogliere, non definire ma accettare! Rispetto e amore per tutto ciò che si palesa con tratti di assoluta enigmaticità. Nessuno dovrebbe avere la pretesa di comprendere o inquadrare il comportamento inusuale di un genio. Quando lo si fa – si veda ad esempio la biografia di Van Gogh – i risultati sono semplicemente pietosi.
I poeti lasciano sulle proprie orme geroglifici familiari che nessuno decifra ma che tutti sanno leggere.
L’individualità del bambino deve essere accolta, non inquadrata. Il nostro studio, e l’esperienza professionale accumulata non dovranno servirci per valutare il grado di salute o patologia del bambino, ma per costruire quella “sfera di calore” in cui il bambino possa sentire accoglienza, conforto e protezione. Lo studio e la professionalità devono diventare qualità animiche, devono tradursi in calore e accoglienza. L’individualità del bambino si palesa quando cade ogni volontà di educare, istruire, formare. Ciò che leggiamo riguardo ai suoi “disturbi” è quanto attingiamo dalle nostre algide conoscenze, ma ciò che il bambino ha da rivelarci non è mai stato scritto in alcun libro.
Il geroglifico dovrà accompagnarci e ricondurci, nel corso del tempo (e non importa quanto tempo), alla poeticità e alla genialità del bambino. Spesso queste forme disturbanti, con cui l’individualità del bambino ci parla, non sono altro che le peculiarità o genialità non ancora indirizzate. Il geroglifico ci condurrà all’incontro vero e autentico con il bambino: fino ad allora dovremo continuare ad osservare, a raccogliere dati, ad elaborare pensieri sul bambino, ricordandoci che quelle operazioni saranno il castello di carte che verrà buttato giú non appena l’essere del bambino vorrà manifestarsi. Con queste parole si esprime a riguardo la poetessa toscana Beatrice Niccolai:
Quando anche gli alberi
pensarono ch’era cosa buona e giusta,
spostarono i rami
e liberarono le foglie
perché la vita
ci conducesse all’incontro.
C’è qualcosa di sacro
mentre t’osservo.
T’osservo,
mi basta saperti accanto.
E anche questa cosa
è buona e giusta.
(da: Coeup d’œil www.beatriceniccolai.it/blog/4462/).
Questa è la premessa, la disposizione interiore con cui incontrare il bambino.
Nicola Gelo (1. continua)