Permettetemi oggi di parlarvi di Aristotele che molti secoli prima della nascita del Cristo, in quanto erudito e scientifico, ha portato a termine quello che è stato poi trovato per tutt’altre vie. Possiamo dire che nella psicologia di Aristotele c’è quello che erano in grado di dare gli spiriti migliori nel campo della psicologia. E poiché Aristotele ci trasmette il meglio, bisogna prima di tutto parlare di Aristotele. Eppure, questo gigantesco spirito del suo tempo – i suoi scritti sono un tesoro rispetto al sapere del tempo antico e colui che s’immerge in Aristotele sa quello che è stato realizzato prima della sua epoca – questo spirito gigantesco non era un chiaroveggente come Platone, era uno scienziato. Colui che vuole considerare l’anima in campo scientifico deve farlo seguendo Aristotele. È una personalità che, se si tiene conto dell’epoca, soddisfa in tutto le esigenze del pensiero della natura. Salvo, come vedremo, in un unico punto. E questo unico punto, nel quale troveremo Aristotele insoddisfacente per la psicologia, è diventato la grande calamità di tutte le psicologie scientifiche dell’Occidente.
Aristotele era maestro in materia di evoluzione nella scienza della natura. Adottava completamente il punto di vista della teoria dell’evoluzione. Ammetteva che tutti gli esseri si siano evoluti secondo una necessità strettamente conforme alla scienza della natura. Faceva perfino nascere le entità piú imperfette da una generazione originaria, dal semplice incontro di sostanze naturali inanimate, in maniera puramente naturale. Questa ipotesi è una mela della discordia in campo scientifico, ma Haeckel la condivide con Aristotele. E Haeckel condivide con lui anche la convinzione che una scala graduata conduce in cima direttamente all’uomo. Aristotele include anche ogni evoluzione dell’anima in questa evoluzione, ed è persuaso che fra l’anima e il corpo non c’è una differenza radicale, ma soltanto dei gradi. Aristotele è cioè convinto che nell’evoluzione che va dall’imperfetto al perfetto, interviene il momento in cui è raggiunto il grado nel quale tutto l’inanimato ha raggiunto la propria forma e in cui quindi appare del tutto da sola la possibilità che l’animico si elevi e si sviluppi partendo dall’inanimato. Distingue allora per gradi quello che definisce un’anima vegetale, che vive in tutto il mondo delle piante, un’anima animale, che vive nel regno animale, e finalmente distingue un grado superiore di quest’anima animale, che vive nell’essere umano. Vedete, compreso in modo giusto, Aristotele è totalmente in accordo con quello che insegna la scienza moderna della natura. Prendete adesso le prime pagine de Le meraviglie della vita – Complemento ai problemi dell’universo di Ernst Haeckel, là dove parla delle leggi esatte della natura, e confrontatele con la scienza della natura e la psicologia di Aristotele, e troverete allora, se fate astrazione dalla differenza dovuta all’epoca, che non c’è veramente differenza.
Arriva adesso quello per cui Aristotele va oltre la scienza dell’anima alla quale la scienza della natura attuale crede di arrivare. Qui Aristotele mostra di essere in grado di osservare una vera vita interiore. Perché colui che studia con comprensione profonda quello che in seguito Aristotele costruisce su questa teoria della conoscenza conforme alle leggi della natura, vede che tutti coloro che hanno un’obiezione contro questa visione del mondo di Aristotele non l’hanno semplicemente capita nel vero senso del termine.
È infinitamente facile percepire che dall’anima animale a quella umana dobbiamo fare un passo, un passo enorme. È facilissimo pensarlo. Niente impedisce di fare questo passo con Aristotele, se non le abitudini di pensieri che si sono formati durante il percorso mentale moderno. Perché Aristotele ha ben chiaro il fatto che in seno all’anima umana appare qualcosa che si distingue essenzialmente da ogni psichismo che si trova all’esterno. Del resto, già gli antichi pitagorici dicevano che colui che percepisce realmente la verità – cioè che l’uomo è il solo essere che possa imparare a contare – sa in cosa egli si distingue dall’animale.
Ma non è cosí facile percepire cosa significhi effettivamente che solo l’uomo può imparare a contare. Il saggio greco Platone dichiarava maturo per la sua scuola filosofica solo colui che aveva dapprima imparato la matematica, almeno i rudimenti. Ciò significa che Platone non voleva altro che questo: coloro che egli iniziava alla scienza dell’anima dovevano sapere qualcosa sulla natura della matematica, sapere qualcosa sulla natura di quest’attività specifica dello Spirito che l’uomo esercita quando pratica la matematica.
Ma questo è chiaro anche per Aristotele: non si tratta di praticare la matematica, ma piuttosto di comprendere che è possibile all’uomo di farlo. Questo significa soltanto che l’uomo è in grado di scoprire delle leggi, rigorosamente fondate su se stesse, che nessun mondo esteriore può dargli. Solo chi non si è esercitato nel pensare, solo chi non sa raggiungere l’osservazione di sé, non è cosciente che mai, neppure il piú facile teorema matematico potrà essere ottenuto con la semplice osservazione.
Nella natura non c’è da nessuna parte un vero cerchio, da nessuna parte una vera linea diritta, da nessuna parte un’elissi, ma in matematica facciamo di tutto questo l’oggetto di ricerca, e il mondo che abbiamo acquisito nel nostro essere interiore l’applichiamo all’esterno. È un fatto, e se non ci si pensa fino in fondo non si può arrivare a una vera visione dell’essenza dell’anima. Per questo la Scienza dello Spirito esige, dai suoi discepoli che vogliono immergervisi profondamente, una stretta disciplina di pensiero. Non il pensare come il fuoco fatuo della filosofia occidentale, ma al contrario un pensare che eserciti l’osservazione di sé in un’attitudine di profondità interiore.
Un tale pensare fa conoscere la portata di questo principio. Coloro che con la loro formazione matematica hanno registrato le piú grandi conquiste in campo astronomico, vedono ed esprimono questa portata. Leggete gli scritti di Keplero, il grande astronomo. Leggete interamente ciò che egli dice di questo elemento fondamentale dell’osservazione di se stesso da parte dell’essere umano. Vedrete allora cosa esprime a tale soggetto quella personalità. Egli sapeva qual è la portata del pensiero matematico fino nei piú lontani spazi celesti. Egli dice questo: è meraviglioso vedere la concordanza che troviamo quando siamo soli, seduti nella nostra stanza da lavoro, e abbiamo riflettuto su dei cerchi e delle elissi, unicamente a partire dal nostro pensare, e in seguito alziamo lo sguardo verso il cielo e troviamo la concordanza con le sfere celesti. Non si tratta di ricerche esteriori per tali teorie, ma dell’approfondimento di nozioni di tal genere.
Già dal propileo doveva apparire, a coloro che volevano essere ammessi alla scuola dei filosofi, chi fra loro poteva essere accettato. Perché allora si sapeva che, come colui che ha i cinque sensi può esplorare il mondo esterno, si può altrettanto bene esplorare con il pensiero l’essenza dell’anima. Questo non era possibile prima.
Ma si esigeva ancora qualcos’altro. Il pensare matematico non bastava: è il primo grado nel quale viviamo interamente in noi stessi, dove lo spirito del mondo si sviluppa per noi a partire dalla nostra interiorità. È il grado piú comune, il piú subordinato, che deve dapprima essere percorso, ma di là dal quale dobbiamo andare. È precisamente quello che esigeva lo psicologo dei tempi piú antichi: trarre dalle profondità dell’anima i campi piú elevati della conoscenza umana nella stessa maniera in cui i matematici traggono dalle profondità dell’anima le verità del cielo stellato. Era l’esigenza che Platone celava in questo principio: ogni candidato che vuole entrare nella mia scuola deve dapprima aver seguito gli insegnamenti di matematica. Non è la matematica ad essere necessaria, bensí la conoscenza che possiede l’indipendenza del pensare matematico. E se si vede che l’uomo ha in lui una vita che è indipendente da quella esteriore della natura, che può trarre da se stesso le verità piú elevate, si vede anche che l’attività piú efficace dell’uomo si estende a qualcosa che è oltre ogni attività della natura.
Considerate l’animale: la sua attività si svolge in modo puramente conforme alla specie. Ogni animale fa quello che hanno fatto anche i suoi innumerevoli antenati. Il concetto di specie regola interamente l’animale. Domani, farà la stessa cosa che ha fatto ieri. La formica lavora alla sua ammirabile costruzione, il castoro alla sua, tra dieci, cento, mille anni lo faranno nello stesso modo di oggi. Anche in loro c’è una evoluzione, ma non evoluzione della storia. Colui che prende chiaramente coscienza del fatto che l’evoluzione umana non è soltanto un’evoluzione, bensí lo è della storia, può aver chiaro il metodo dell’osservazione dell’anima in modo simile a chi ha preso coscienza delle verità matematiche.
Esistono ancora dei popoli selvaggi. Sono certo in via d’estinzione, ma ne esistono ancora che non possono conoscere il legame fra l’oggi e il domani. Se la sera incomincia a far freddo, accade che si coprano con le foglie degli alberi. Al mattino, le buttano via e la sera devono nuovamente cercarle. Non sono capaci di trasportare l’esperienza da ieri all’oggi e al domani. Cos’è necessario se vogliamo traportare l’esperienza da ieri all’oggi ed al domani? Quando sappiamo oggi quello che abbiamo fatto ieri, possiamo dire che faremo anche domani quello che abbiamo fatto ieri. Ma la caratteristica dell’anima animale è tale che può progredire, nel corso del tempo può diventare un poco diversa, ma questo diventare diversa non è un elemento di storia.
Un elemento di storia consiste nel fatto che l’individuo-uomo trae profitto dall’esperienza che ha avuto, per poter trarre una conclusione per il domani, concernente l’esperienza che ha fatto. Imparo il senso, lo spirito del vissuto di ieri, e vi costruisco sopra, in modo che le leggi tratte dalla mia anima grazie all’osservazione, emergeranno in quello che non ho ancora osservato, quindi nell’avvenire.
Alcuni viaggiatori hanno raccontato che degli escursionisti avevano acceso un fuoco in regioni abitate da scimmie. Sono poi partiti lasciando bruciare il fuoco e del legno sul posto. Le scimmie si sono allora avvicinate per scaldarsi accanto al fuoco. Ma non sapevano alimentarlo. Gli animali non sanno rendersi indipendenti dalle osservazioni e dalle esperienze, non sanno trarne conclusioni. L’uomo tira delle conclusioni dalle sue osservazioni e dalle sue esperienze, e diventa cosí colui che decide sovranamente del proprio avvenire. Proietta le sue esperienze nel domani, trasforma l’evoluzione in storia. Come trasforma l’esperienza in teoria, allo stesso modo trae dalla natura le verità dello Spirito, e similmente trae dal passato le regole dell’avvenire, con ciò divenendo colui che edifica l’avvenire.
Colui che pensa in profondità e totalmente queste due cose, cioè che l’essere umano può rendersi indipendente in due modi, che può non soltanto osservare ma anche stabilire delle teorie, che non ha soltanto, come l’animale, un’evoluzione ma anche una storia, colui che ha pienamente coscienza di queste due cose, capisce cosa intendevo quando ho detto che nell’uomo non vive soltanto l’anima animale, ma che al contrario l’anima animale è evoluta verso l’alto fino al punto in cui essa ha potuto ricevere quello che si denomina il Nous, lo Spirito cosmico.
Affinché l’uomo possa creare la storia, per Aristotele è necessario che nell’anima animale venga ad immergersi lo Spirito cosmico. Secondo Aristotele, l’anima dell’uomo si distingue da quella animale per il fatto che essa è estratta da quello cui era arrivata in seno all’evoluzione animale, e si è elevata fino alle funzioni e attività per le quali è arrivata a possedere lo Spirito. E quando il grande Keplero dice che le leggi conquistate nella solitudine del laboratorio sono applicabili agli avvenimenti esteriori della natura, questo si spiega per il fatto che lo Spirito cosmico, il Nous, il Mahat, il terzo Logos, discende ed eleva l’anima umana ad un grado superiore. L’anima umana è per cosí dire estratta dall’esistenza animale ed elevata. È lo Spirito che l’estrae e l’eleva. Lo Spirito vive nell’anima. Si sviluppa a partire dall’anima. Si sviluppa nella stessa maniera in cui l’anima si estrae e si eleva per gradi.
Ma è proprio quest’ultimo punto che Aristotele non ha detto, o almeno non chiaramente. Lui si dice certo, e lo ripete continuamente, che l’anima evolve per gradi fino all’anima umana per una via del tutto naturale; ma che lo Spirito s’introduce dall’esterno in questa anima umana evoluta secondo natura. Il Nous, secondo Aristotele è qualcosa che è stato introdotto dall’esterno nell’anima umana da un’attività creatrice. E questa è stata la calamità della psicologia dell’Occidente. È stata una calamità che Aristotele – secondo il quale con l’introduzione del Nous che si è immerso nell’anima umana quest’ultima si è evoluta ed elevata – non sia stato in grado di fare del suo giusto punto di vista una teoria dello svolgimento della storia. Non è stato in grado di comprendere che con l’evoluzione conforme alla natura si deve capire l’evoluzione dell’anima.
È quello che hanno fatto alcuni saggi greci e indiani. Essi hanno compreso il corpo, l’anima e lo Spirito nella loro evoluzione naturale fino allo Spirito umano. In Aristotele c’è invece una rottura. Nella sua concezione interviene l’idea di creazione. Vedremo che la psicologia teosofica supera l’idea di creazione, cosí come il fatto che sia quella a portare effettivamente fino alle ultime conseguenze la visione scientifica del mondo, dal punto di vista spirituale.
Ma è soltanto per il fatto di prendere coscienza che dobbiamo ritornare all’antica divisione in corpo, anima e Spirito, è soltanto per mezzo di questo che comprendiamo realmente l’evoluzione dell’uomo conforme alla natura. Però non dobbiamo credere che l’accesso all’anima possa trovarsi sulla via coltivata dalla scienza moderna della natura, via in apparenza mai rifiutata con l’osservazione delle differenti parti del cervello. Dobbiamo vedere che le obiezioni del saggio indiano Nagasena sono altrettanto valide di fronte alla psicologia naturalista attuale. Prima di tutto dobbiamo vedere che una osservazione interiore piú profonda dell’Io, che una ricerca piú profonda dello Spirito sono necessarie per trovare l’accesso all’anima e allo Spirito.
Sarebbe un errore credere che le diverse confessioni religiose che ne sono derivate, nonché i loro diversi saggi rappresentanti, avrebbero detto quello che la moderna scienza della natura cerca di contestare. Non lo hanno mai detto, né tentato di farlo. Chi studia l’evoluzione della psicologia può chiaramente e nettamente vedere che coloro che hanno avuto qualche nozione dei metodi della psicologia non hanno mai applicato i metodi della scienza della natura, perché avrebbero dovuto confutarli. Non sono loro che possono trovare l’accesso all’anima. Proprio no! I ricercatori dell’anima che sapevano ancora che cos’è l’anima, non l’hanno mai cercata per quella via.
Vi parlerò di un uomo, il piú calunniato dagli uomini dell’Illuminismo, ma anche il meno conosciuto. Voglio parlare, in poche parole, della psicologia del XIII secolo, di Tommaso d’Aquino. Quello che questo Autore dice, fa parte delle caratteristiche di quella psicologia: ciò che lo Spirito dell’uomo porta con sé quando abbandona il corpo, quello che lo Spirito dell’uomo porta con sé nel mondo strettamente spirituale, non può essere confrontato con tutto quello di cui l’uomo vive l’esperienza quando è nel suo corpo.
Sí, Tommaso d’Aquino dice che il compito della religione, nel suo senso piú ideale, consiste nell’educare l’uomo a poter portar con sé del proprio corpo qualcosa che non è sensibile, che non è legato all’esplorazione, all’osservazione e all’esperienza della natura esteriore. Finché viviamo in questo corpo, vediamo il sensibile attraverso il nostro occhio e udiamo il sensibile con le nostre orecchie. Percepiamo tutto ciò che è sensibile con i nostri organi dei sensi. Ma lo Spirito elabora questo sensibile. Lo Spirito è l’elemento attivo propriamente detto. Lo Spirito è ciò che è eterno.
Considerate adesso il profondo punto di vista che viene in questo caso acquisito sulla base di una millenaria psicologia che si esprime in questi termini: lo Spirito che durante questa vita ha raccolto poco di ciò che è indipendente dall’osservazione esterna sensoriale, indipendente dalla vita esteriore dei sensi, quando è privato del corpo non ne trae felicità. Tommaso d’Aquino dice: quello che vediamo nel nostro ambiente sensibile è costantemente impregnato di fantasmi sensoriali. Ma proprio lo Spirito, quello che ho descritto secondo la matematica, che ho descritto come il Nous che deriva dallo ieri e dall’oggi, questo Spirito, liberandosi, raccoglie dei frutti per l’eternità. Lo Spirito si sente infinitamente isolato e vuoto – tale è la teoria di Tommaso d’Aquino – quando entra nel paese degli Spiriti senza essere arrivato al punto di essersi liberato da tutti i fantasmi del mondo sensibile.
Il senso profondo del mito greco che evoca di bere al fiume Lete, si rivela a noi come il seguente pensiero: lo Spirito, nella sua esistenza puramente spirituale, evolverà elevandosi tanto piú in alto quanto piú si libererà di tutti i fantasmi sensibili. Colui che cerca dunque lo Spirito nel mondo sensibile non può trovarlo, perché lo Spirito, quando si è liberato da quanto è sensibile, non ha piú niente a che fare con il sensibile.
Per questa ragione Tommaso d’Aquino proibisce nel modo piú autorevole i metodi di ricerca dello Spirito con la via dei sensi. Questo Padre della Chiesa è un avversario di ogni esperimento e ogni tentativo che miri ad entrare in relazione, attraverso mezzi sensibili, con gli esseri privi di corpo e con i morti. Lo Spirito diviene piú puro quando è libero dai fantasmi legati al sensibile e anche dal legame troppo stretto con il sensibile. Se non lo è, allora si sente infinitamente isolato nel Mondo spirituale. Lo Spirito che è dipendente dall’osservazione sensibile, che si perde nelle osservazioni sensibili, vive nel Mondo spirituale come in un mondo sconosciuto. Questo isolamento è il suo destino, la sua sorte, perché non ha imparato ad essere libero dai fantasmi legati al sensibile. Lo capiremo completamente solo quando arriveremo alla prossima conferenza.
Vedete bene che l’anima era cercata esattamente dalla parte opposta al tempo in cui l’introspezione, l’osservazione di quello che vive nell’interiorità propria dell’uomo, era determinante per la scienza dell’anima. È quanto vive come errore fondamentale nella scienza moderna, e che ha condotto a diffondere a suon di trombe la scienza dell’anima senza anima come professione di fede del XIX secolo.
Questa scienza, che si occupa solo dei punti di vista esteriori, crede poter rifiutare gli antichi. Ma questa scienza non sa nulla delle vie sulle quali si cerca l’anima. Non sarà detto niente, neppure la piú piccola cosa, contro la scienza moderna. Vogliamo al contrario, proprio in quanto spiritualisti, fare delle ricerche nel campo dell’anima secondo questa scienza moderna, come questa scienza fa delle ricerche in campo della natura puramente spaziale, ma vogliamo tuttavia cercare l’anima non nella natura esteriore, ma nella nostra interiorità. Vogliamo cercare lo Spirito là dove esso si rivela percorrendo le vie dell’anima e arrivando, grazie alla conoscenza dell’anima, a quella dello Spirito. È la strada prescritta dagli insegnamenti millenari, e bisogna solo comprenderla per afferrarla nella sua verità e validità.
Questo ci rende chiaro, e lo farà sempre di piú, quello di cui l’uomo rimpiangerà l’assenza proprio nella fredda scienza moderna, come Goethe lo ha fatto quando si è trovato di fronte alla freddezza di questa scienza nel Sistema della natura di Holbach. Certo nella natura esteriore possiamo studiare come l’uomo si è evoluto dal punto di vista della sua fisionomia esteriore, come è diventato, come la monade lavora nelle strutture piú sottili, come il sistema organico mediano può passare per un’espressione dell’anima, ma tutto questo non ci porta che alla conoscenza dell’apparenza esteriore. Resta infatti sempre la grande questione del destino dell’uomo. Anche se abbiamo compreso il meglio possibile l’uomo nella sua apparenza esteriore, non l’abbiamo capito sotto l’aspetto che ha, non abbiamo afferrato quale ruolo giochino il bene e il male, il perfetto e l’imperfetto. La scienza esteriore non può darci alcun chiarimento su quello che l’uomo vive nel suo essere interiore; solo la psicologia che è fondata sull’osservazione di sé può darci una risposta ponderata in merito.
Vengono in seguito le grandi domande: da dove veniamo? dove andiamo? qual è il nostro scopo? Queste sono le domande piú elevate di ogni religione. Tali domande, che possono elevare l’uomo a uno stato d’animo sublime, sono quelle che ci faranno passare dal mondo dell’anima allo Spirito, allo spirito di Dio che penetra ovunque il mondo con le sue correnti. Sarà il contenuto della prossima conferenza: verso lo Spirito attraverso l’anima. Ci mostrerà che è del tutto vero – non soltanto un’immagine – che anche l’anima animale perfetta, che lo è divenuta con un’evoluzione puramente esteriore, nell’uomo è anima umana soltanto per il fatto che essa costituisce oggi una realtà ancora superiore, piú perfetta, che porta in sé la prospettiva, il germe di qualcosa di ancora molto piú elevato, di infinitamente perfetto. Ma che questa anima umana, nel senso della stessa espressione, non deve essere considerata come qualcosa che produce lo Spirito e i fenomeni dell’anima a partire dall’animalità, ma al contrario che l’animale nell’uomo deve svilupparsi verso uno stato piú elevato per arrivare in tal modo alla sua destinazione, al suo compito ed anche al suo destino. La psicologia medievale esprime questo dicendo che conosce realmente la verità solo colui che non la considera come essa gli appare quando sente con l’orecchio fisico, quando guarda con l’occhio fisico, ma come appare quando la si vede nel riflesso del piú elevato Spirito.
Desidero terminare questa prima conferenza con le parole che Tommaso d’Aquino ha adoperato nella sua allocuzione: «L’anima dell’uomo assomiglia alla Luna, che brilla ma riceve la sua luce dal Sole. L’anima dell’uomo assomiglia all’acqua, che non è né calda né fredda in sé, ma che riceve il suo calore dal fuoco. L’anima umana assomiglia soltanto a un’anima animale superiore, ma è un’anima umana per il fatto che riceve la sua luce dallo Spirito dell’uomo».
D’accordo con questa convinzione medievale, Goethe dice:
Der Geister über den Wassern
Des Menschen Seele
gleicht dem Wasser,
vom Himmel kommt es,
zum Himmel steigt es,
und wieder nieder
zur Erde muß es,
ewig wechselnd.
Gli spiriti sulle acque
L’anima dell’uomo
è simile all’acqua,
dal cielo viene,
al cielo risale,
di nuovo scendere
deve alla Terra,
in perpetua vicenda.
Si capisce l’anima umana solo quando ci se ne appropria in questo senso, quando si coglie il senso che essa è come un riflesso della piú elevata entità che possiamo trovare nell’universo, come un riflesso dei mondi che penetrano l’universo con i loro flussi.
Rudolf Steiner (2. Fine)
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 16 marzo 1904 ‒ O.O. N° 52. Traduzione di Angiola Lagarde.