Massimo Scaligero e "Il Mondo della Tradizione"

Il Maestro e l'Opera

Massimo Scaligero e il Mondo della Tradizione2

Il modo migliore per introdurre (e per farci comprendere bene) l’argomento di cui tratterò è quello di raccontarvi una storia che mi riguarda personalmente. Nella Roma degli ultimi anni ’70 dello scorso secolo, come diversi giovani della Roma degli “anni di piombo”, militavo nel­l’estrema destra. L’estrema destra di allora era assai piú “culturizzata”, passatemi il termine di quanto non lo sia l’attuale, ammesso che di “destra” e “sinistra” si possa ancora parlare.

In effetti era assai molto piú “culturizzata” anche l’estrema sinistra, ed infatti frequentavo da un paio d’anni delle particolari riunioni che si tenevano a Monteverde Vecchio, e che non avevano nulla a che fare con la politica. Avevo avuto modo di conoscere e di parlare con qualche giovane piú o meno della mia età che militava nell’estrema sinistra, e dopo alcune reciproche diffidenze iniziali (“fasci” e “zecche” erano le prime parole gentili da rivolgere all’epoca a chi militava su fronti opposti), sia io che quei giovani ci eravamo resi conto che dicevamo, in pratica, quasi le stesse cose: bastava sostituire il termine “dittatura del proletariato” con il termine “oligarchie spirituali”, e tutto il nostro modo di pensare, di sentire e di sperare era sorprendentemente simile!

Rivoluzione Discorso ai giovaniEravamo dunque animati da uno stesso impulso, e si trattava di un impulso autenticamente spirituale, come Massimo Scaligero spiega perfettamente in Rivoluzione discorso ai giovani e in Lotta di Classe e Karma. Un pomeriggio di ottobre, avevo allora 18 anni, mi recai in Corso Vittorio, nella casa dove aveva abitato fino a pochissimi anni prima Julius Evola, ovvero l’incontrastato “Nume” del Tradizionalismo italiano, il “Guénon italiano”, in fondo potremmo definirlo cosí, anche se Massimo ha spesso spiegato che quei due pensatori erano animati da un impulso assai differente. 

Lotta di classe e karmaLa casa di Evola era divenuta la sede della Fondazione Julius Evola, ed ero andato a trovare uno dei suoi animatori: Renato Annibali, che as­sieme a Gianfranco De Turris, Placido Procesi e Mario Cohen Belifanti, aveva dato vita a quella Fondazione rendendo operativa una precisa volontà testamentaria dello stesso Evola. Mi erano molto simpatici sia Annibali che Cohen Belifanti, anche perché li avevo incontrati qualche volta alle riunioni del mercoledí e del sabato a Monteverde (in via Barrili per la precisione) e avevo visto che erano in grandi rapporti di amicizia personale con Colui che dirigeva quelle riunioni. Dopo aver parlato un po’ con Annibali e aver dato un’occhiata agli ultimi Quaderni della Fondazione Evola freschi di stampa, avevo chiesto e ottenuto il permesso di andare un po’ in giro per la casa.

Ad un certo punto mi ero trovato a percorrere un corridoio al termine del quale la mia attenzione era stata attirata da un quadro avente per soggetto un volto trasfigurato (seppi subito dopo che l’autore del quadro era lo stesso Evola) appeso al muro sopra una carrozzina a rotelle, che era quella su cui lo stesso Evola era stato costretto negli ultimi trent’anni della propria vita, dopo il tragico incidente di cui era rimasto vittima a Vienna. Avvertii una stretta al cuore e percepii una sorta di morsa a livello della gola; era come se una mano mi stringesse il collo, quasi fino a strangolarlo. Iniziai a sudare freddo e le gambe mi tremavano. Fu una sensazione veramente orribile che durò alcuni minuti; quindi mi riscossi da quello stato, allontanandomi. Salutai sbrigativamente Annibali, dicendogli che mi ero improvvisamente ricordato di una commissione, e ritornai a casa mia, o meglio a casa dei miei nonni con cui abitavo, all’Aurelio.

La Via della Volontà SolareQualche giorno dopo incontrai Colui che da un paio di anni consideravo il mio Maestro, che appunto dirigeva le riunioni di via Barrili. Non senza una certa riluttanza, gli raccontai del­l’esperienza avuta nella casa di Corso Vittorio. Massimo si fece molto attento, accese il sigaro, aspirò un paio di boccate, rimase in silenzio per qualche istante e poi disse: «Hai avuto una esperienza interiore molto importante, perché, vedi, tu hai provato per alcuni minuti la stessa tremenda sensazione che Evola ha avvertito continuamente negli ultimi anni della sua vita».

Zen e LogosFu in quella occasione che appresi alcune notizie rilevanti (e poco note negli “ambiti tradizionali”) su Evola, Guénon e il cosiddetto “Mondo della Tradizione”, notizie che avrei poi avuto modo di approfondire leggendo La Via della Volontà Solare, Zen e Logos e soprattutto Iniziazione e Tradizione, un piccolo volume di appena 45 pagine ma estremamente denso di concetti illuminanti, direi una sorta di “libro concentrato” che dovrebbe essere imparato a memoria soprattutto da coloro che provengono da “studi tradizionali”.

Da quegli studi in realtà proveniva anche Massimo, il quale in gioventú era stato discepolo dello stesso Evola, al quale era rimasto legato da un profondo affetto e in un certo senso da un debito di gratitudine nei suoi confronti, dato che fu proprio tramite Evola (amico dello zio di Massimo, Pietro Sgabelloni, il padre di Amleto e di Mimma) che Scaligero conobbe il Suo Maestro Giovanni Colazza, i cui articoli, firmati “Leo”, Massimo aveva letto con grande ammirazione nei fascicoli del Gruppo di Ur.

Dallo Yoga alla RosacroceRiferendosi ad Evola, qualche tempo dopo l’incontro del quale ho parlato prima, Massimo ebbe a dire: «Ho fatto di tutto per salvarlo, ma temo di non esserci riuscito, perché il suo titanismo gli ha impedito di aprirsi al Principio-Christo», affermazione, questa, che peraltro Massimo approfondisce nel capitolo dedicato a Evola nella Sua autobiogra­fia Dallo Yoga alla Rosacroce.

Dell'Amore immortaleRicorderete che in quel capitolo egli avvicina la figura di Evola a quella dell’imperatore Flavio Giuliano Augusto, detto “l’Apostata”. Massimo raccontò anche, con la sua abituale garbata ironia, che quando uscí Dell’Amore Immortale, egli ne aveva inviato una copia in dono a Evola con la seguente dedica: «A Julius Evola, maestro in molte cose ma non certo di ciò che viene trattato nel presente libro». Evola, che era dotato di un ottimo “sense of humour”, e che a sua volta era molto affezionato a Scaligero, gli telefonò chiedendogli se per caso, attraverso quel libro, egli avrebbe potuto riprendere una determinata “attività”, molto praticata da lui in gioventú, forse dovremmo dire piú che “molto praticata”, “abusata”, che la frattura della colonna vertebrale e la conseguente paralisi sensitiva e motoria gli aveva inibito. Massimo rise e gli rispose testualmente: «Sí, Giulio, ma non nel senso a cui tu stai pensando ora».

Il cosiddetto “Tradizionalismo Integrale” è stato estremamente importante nella cultura italiana del XX secolo: personalità come quella di René Guénon, Frithjof Schuon, Georges Dumézil, Arturo Reghini, Mircea Eliade e, appunto, Julius Evola, hanno fortemente influenzato il pensiero e l’azione di diverse generazioni.

Andrea Mantegna Parnaso

Andrea Mantegna  «Parnaso»  (ispirazione per imitazioni)

Ancora oggi è riscontrabile un notevole interesse da parte di giovani e giovanissimi per la Tradizione e per il Paganesimo, interesse che si estrinseca anche in vere e proprie car­nevalate con ragazzini e ra­gazzine vestite da Flamini e Vestali che celebrano riti pa­gani, a imitazione di scene arcadiche di celebri quadri, salmodiando, in un improbabile latino, formule “evocatorie” la cui origine appare ignota.

Qui dovrei anche dire qualcosa su quanto Massimo spiegò a Franco Mazzi, che lo aveva contattato tramite Pio Filippani Ronconi, e che fu il fondatore del gruppo noto con il nome di Dioscuri. Mi limito a sintetizzare il lungo discorso di Massimo in una lapidaria battuta romanesca: «A Fra’, lassa perde!». Ma quello non lasciò perdere, purtroppo, et de hoc satis!

Il “Mondo della Tradizione”, che suscita una nostalgia quasi crepuscolare (ben poco “virile” e “solare”, ma piuttosto “femminile” e “crepuscolare”, mi verrebbe da dire parafrasando il linguaggio di Evola) per quel mondo perduto della Tradizione, l’antica India, l’Ellade, Roma, induce l’uomo moderno a ritenere che esista una Tradizione che sta davanti all’essere umano come una “cosa” da cui si può essere “fuori” o “dentro” secondo la sua “regolarità”, ovvero identificando il bene con la conformità alla stessa Tradizione e il male con la non conformità ad essa.

Perciò la Tradizione diventa un mondo a sé, dotato di leggi, norme, prescrizioni ecc. che escluderanno qualsiasi atto spirituale che dette leggi, norme, prescrizioni ecc. non prevedono. Giustamente Massimo paragona questa distorsione di pensiero a quella dei naturalisti che guardano alla Natura come ad uno spettacolo che stia davanti a loro, uno spettacolo necessario nella sua presunta e fallace obiettività, senza che tali naturalisti si rendano minimamente conto che tale spettacolo esiste non in quanto si è spettatori di esso ma in quanto in esso si è attivi. Dunque la Tradizione diventa in realtà non piú qualcosa di vivo, di sorgente, di immediato e di percepito fin nel proprio essere fisico (come avveniva per l’uomo antico sia d’Oriente che d’Occi­dente) in grado di stabilire un contatto con quelle Forze Trascendenti cui egli dava il nome di Agni, Indra, Ahura Mazda, Amon, Rà, Atum, Zeus ecc., ma null’altro che una dialettica della Tradizione, un inutile pallido “ricordo nostalgico”, riflesso di quell’epoca eroica in cui gli Arjuna, i Mithra, gli Ercole, i Romolo, i Teseo calcavano le scene del mondo. Da qui la tendenza al titanismo, al magismo, alla illusione della realizzazione di un “tipo umano differenziato”, che tale è unicamente nella finzione e nella recita, in una parola in quelli che Massimo definiva, con ironica e felicissima espressione, “i serpeggiamenti kundalinici”.

Perciò l’immedesimazione del “difensore della Tradizione” con dottrine, riti, testi, consuetudini, costumi, trasforma la Tradizione stessa in un oggetto dotato di una realtà a sé stante, la quale, indipendentemente dal soggetto conoscente, appare dotata di una virtú suscitatrice, e in quanto realtà ideale diviene qualcosa di diverso dall’attività interiore per cui sorge nella coscienza. Né viene minimamente compreso dall’esegeta della Tradizione che l’essere umano doveva, in virtú dell’evoluzione che le Gerarchie hanno progettato per lui, sprofondare completamente nella materia, perdendo il ricordo della sua primitiva condizione di comunione con il Divino, affinché conquistasse la piena libertà e la totale consapevolezza di sé, onde gli fosse consentito ripercorrere liberamente e a ritroso quello stesso cammino che lo ha del tutto terrestrizzato.

Pietro da Cortona Età dell'Oro ed Età del Ferro

Pietro da Cortona «Età dell’Oro ed Età del Ferro»

Si crea dunque, nel pensiero tradizionalista, una dicotomia tra “mondo antico” giusto, bello, ordi­nato, conforme al Fas e al Dharma, ovvero alla Legge divina, e “mondo moderno” degenerato, corrotto, caduto, governato dalle forze del caos: contrapposizione dunque tra un satya yuga “buono” e un kali yuga “cattivo”. Inutile dire che si tratta di un tragico errore di pensiero, perché l’uomo della Tradizione non avrebbe mai inventato né la stampa né l’elettricità, né la locomotiva né la penicillina! Le conseguenze funeste di questi fraintendimenti mi toccano in profondità, dato che alcuni dei miei amici di gioventú sono morti, o si sono irrimediabilmente rovinati la vita, a causa di tali errori di pensiero, postulando che il compito dell’“uomo della Tradizione” consistesse anche e soprattutto nell’ab­battimento del mondo dell’anti-tradizione con ogni mezzo, lecito o meno.

Massimo, nella Sua infinità bontà e consapevole del ruolo che doveva incarnare nell’Italia dell’epoca, si prodigò moltissimo per canalizzare nella giusta direzione le forze di ribellione dei giovani dell’“età di piombo”. Egli ben conosceva quegli ambienti tradizionalisti e sapeva a quali tragiche conseguenze conducono certi errori di pensiero, perciò mantenne sempre un dialogo, aperto e costruttivo, con gli esponenti del “mondo della Tradizione”, cercando di rettificare e di correggere. Un mio vecchio amico, piú anziano di me, e che è stato particolarmente vicino a Massimo, mi disse, una sera d’estate di molti anni fa mentre passeggiavamo al Gianicolo: «Vedi caro amico, fin quando tutti coloro che presumono di occuparsi di esoterismo e di spiritualità non realizzeranno, noi per primi ovviamente, che non solo non siamo migliori degli altri ma in qualche caso siamo persino peggiori, l’evoluzione dell’umanità non potrà procedere».

Ed è in effetti facilmente riscontrabile che l’illusione della “differenziazione” rispetto al “gregge umano” (come Evola lo definiva), il sentirsi migliori, piú evoluti, piú saggi, è assai facil­mente riscontrabile non soltanto nei cosiddetti “ambiti tradizionalisti”, ma piú in generale in tutti gli ambiti esoterici, compresi i nostri! Questo ci dimostra che l’accoglimento del Principio-Christo è ancora ben lungi dall’essere attuato, non solo da coloro che parlano con disprezzo del “sedizioso di Nazareth giustamente crocifisso dai Romani”, e che si proclamano a gran voce “pagani” (ma non lo aveva scritto già Plutarco che il Grande Pan era morto?), ma anche da chi a chiacchiere afferma di essere un discepolo della Scienza dello Spirito.

Io credo che ogni aggressione, ogni prevaricazione, ogni malevolenza, ogni presunzione, ogni assenza di amorevolezza verso il prossimo (e maxime verso i propri compagni di Via) rappresentino un palese tradimento degli insegnamenti di Steiner e di Massimo e, sia chiaro, lo sto dicendo in primis a me stesso, ma se qualche amico vorrà avere la gentilezza di soffermarsi un po’ su queste mie parole ne sarei davvero felice.

In fondo, la tragedia del “Mondo della Tradizione Integrale” è la stessa tragedia che riguarda tutta l’umanità, ivi compresi tanti presunti esoteristi: il non aver pienamente compreso che l’evento del Golgota, come sacrificio estremo del Verbo Incarnato, affinché “La Sua parola fosse alfine compiuta”, rappresenta l’evento centrale della evoluzione umana, poiché da quel momento nulla è piú stato come era prima e nostro compito è accogliere tale evento in noi, aprendoci intimamente, senza riserve e senza resistenze, alle Forze trasmutatrici del Riparatore.

Angelo Silesio

Angelo Silesio

La comprensione dell’evento del Golgota e lo Sposalizio interiore con il Christo-Logos non possono, ovviamente, come ahimè spesso accade, rimanere confinati unicamente ad un ambito intellettuale (e perciò riflesso), ma è necessario dare realmente corso alle massime del grande mistico tedesco Angelo Silesio: «Nascesse mille volte a Betlemme il Bam­bino Gesú, se Egli non nasce in te, tu non ti salvi piú; la Croce che sorge sul Golgota se non sorge in te pure non ti salverà dalle potenze oscure». Sembrano concetti scontati per chi segue (o presume di seguire) la Scien­za dello Spirito orientata antroposoficamente, ma non è affatto facile far nascere in sé il Divino Bambino, né far sorgere in se stessi la Croce: per me almeno è stato difficilissimo, ci sono voluti oltre quarant’anni di durissimo lavoro interiore e di disciplina spirituale indefettibile: ma può darsi che io fossi un caso particolarmente difficile, magari altri ci sono riusciti con molta piú facilità, però da quanto leggo nel web, nei forum o in talune riviste, non mi pare che sia cosí facile.

In conclusione il “Tradizionalismo Integrale” cosí come il misticismo cattolicheggiante, che rappresenta l’altra faccia della stessa medaglia delle forze della contro-iniziazione, attira l’essere umano nella sfera di Lucifero laddove il meccanicismo, lo scientismo, il materialismo e la tecnocrazia lo attirano nella sfera di Ahrimane. In una conferenza pubblicata in YouToube Massimo afferma che Lucifero è assai piú insidioso e perciò ben piú pericoloso di Ahrimane: l’astratta religiosità, la mistica incapace di uscire dai limiti imposti dallo psichismo e quel­l’esoterismo che, come nel caso del “Tradizionalismo Integrale”, addita ed interpreta come temi iniziatici attuali talune metafisiche tradizionali di Oriente e di Occidente (possibili unicamente all’interno di determinati e ristretti consessi e adatti unicamente a una determinata tipologia umana oggi rarissima, soprattutto in Occidente), appaiono all’autentico cercatore spirituale che segue la Via della liberazione del Pensiero dai sensi, come fantasmi necessari all’incate­namento dell’essere umano a quel limite che egli nel presente tempo dovrebbe invece superare. Tutto questo impedisce quella “conversione dell’immanenza” cui Massimo Scaligero dedica le pagine centrali del suo libro La Via della Volontà Solare, un libro che Massimo affermò di aver pensato e realizzato proprio per coloro che provengono dai cosiddetti ambienti tradizionalisti, un libro che per me è stato, in questi lunghi anni, di importanza non secondaria rispetto al Vangelo di Giovanni e all’Iniziazione di Rudolf Steiner.

 

Efesto