Il bambino piccolo è totalmente esposto alle impressioni del mondo. Il processo imitativo ancestrale è un processo individualizzante consistente nell’esperire le cose dall’interno, attraverso un modalità fenomenica che potremmo definire poetica. Il bambino non è in grado di chiudersi alle impressioni del mondo: esse agiscono in lui in modo strutturante, contribuendo – secondo relazione mediata dalle correnti di libertà e destino – alla conformazione della propria corporeità. Anche l’Io possiede una sua corporeità – si parla infatti di corpo dell’Io – un suo involucro in grado di contenerlo e dargli forma (ossia di permettergli di abitare le forme). Il corpo dell’Io, se risultasse danneggiato da una qualsivoglia incidenza ad extra, non permetterebbe all’Io di compenetrare – secondo il destino prescelto – l’organizzazione fisica: l’Io non sarebbe piú libero di aderire al proprio destino. Non può essere una scelta del karma individuale quella di deviare dalla scelta del destino assunto. La scelta del destino – come precedentemente accennato – è immodificabile.
Le rare individualità in grado di riscattare le miserie dei destini umani hanno assunto nel loro karma il compito di prendere su di sé l’altrui destino e riscattarlo. L’Io sceglie il proprio destino, ma può essere iscritto in esso il compito di prendere su di sé il destino altrui: è il compito degli aiutatori dell’umanità e – per dirla con Dostojevskij – degli Idioti.
Quando Fëdor Dostoevskij volle rappresentare un «uomo positivamente buono, un Cristo del XIX secolo», lasciò che fosse il principe Myskin a rappresentarlo. Il principe Myskin è l’Idiota proprio nell’accezione etimologica idios, peculiare. Un uomo positivamente buono che vede attraverso i pensieri di tutti quelli che gli sono intorno. Il principe Myskin è idiota proprio perché incapace di chiudersi alle impressioni del mondo.
L’innocenza rivela il suo reale carattere, la sua inconsapevolezza nei confronti del male, proprio in quelle individualità che non possono chiudersi alle impressioni del mondo contrapponendo loro il proprio ego, la cui riflessità, in questi ambiti, assume valore igienico.
L’attacco al “corpo dell’Io”
Il pedagogista polacco Janusz Korczak riteneva che tre fossero i diritti fondamentali del bambino: il diritto alla morte, il diritto alla sua vita presente e il diritto (del bambino) ad essere quel che è.
Essendo un poeta prima ancora che medico e pedagogista, Janusz Korczak non si preoccupò mai di chiarire l’affermazione riguardante il diritto alla morte.
A tentare di dipanare l’enigmaticità del pensiero di Janusz ci aiuta il pedagogista curativo Henning Köhler che nel suo libro Il miracolo di essere bambini cosí scrive: «Korczak nutriva un profondo rispetto per il destino. Cosí profondo, da arrischiarsi in questa affermazione: “Ogni bambino ha il diritto alla propria morte”. È una delle espressioni piú enigmatiche di Korczak, della quale egli non ha mai dato spiegazione. Abbiamo cosí un argomento su cui meditare. …Egli voleva dire: in quanto educatori, dobbiamo sforzarci di comprendere che se il destino vuole che un essere umano lasci la vita anzitempo e non muoia serenamente di vecchiaia, è un fatto da rispettare e che non si può cambiare. E non si dovrebbe mai credere, come educatori, di poter influire su queste cose. Ogni vita ha la sua misura! …Non si deve pensare che l’idea della morte sensata sminuisca l’orrore dell’uccidere. È proprio uccidendo un essere umano che si infrange il “diritto alla propria morte”».
Il corpo dell’Io ospita il germe spirituale dell’individualità umana; essendo il libero portatore del karma individuale, esso non soggiace alla legge del karma: ciò che gli accade – in termini di incidenza esterna – non è ascrivibile al karma individuale. Occultamente il corpo dell’Io veniva chiamato anche stanzetta o tempio. Si aggredisce il corpo dell’Io quando si vuol colpire l’Io e il senso ultimo del suo libero destino: questo è il dolore innocente di cui la strage degli innocenti è archetipo.
L’attuale strage degli innocenti mira alla distruzione dell’idea stessa d’infanzia, della sua etica, arrivando ad annullare, entro la costituzione umana, ogni disposizione infantile: disposizione alla meraviglia, all’entusiasmo, allo stupore. Si aggredisce, in ultima istanza, l’Io – espressione delle forze del Logos in noi – ed il corpo dell’Io.
Permettetemi di richiamare ancora una volta Henning Köhler: «In questo campo di forze …si compie quella che potrei definire la triplice perdita di creatività: irrigidimento della fantasia (morte del pensiero), meccanizzazione dei rapporti (morte del sentire), subordinazione dell’agire ad uno scopo (morte della volontà). …La triplice perdita di creatività produce il clima in cui il mostruoso può affermarsi come realtà terribilmente banale».
La triplice perdita della creatività è un’Iniziazione.
I due templi
I Greci avevano tre aggettivi per dire santo: hierós, hagios, hosios. Hierós poteva indicare un ambiente santo, ad esempio un santuario, un tempio. Hierós è aggettivo per tutto quanto è sancito come spazio di pertinenza della divinità. e quindi anche del “sacro in noi”. Al termine Hierós si contrappone Nàos, la “cella ove abita il dio”, la parte interna del tempio greco ospitante la rappresentazione, la statua, il simulacro della divinità. Potremmo vedere in Nàos una rappresentazione fisica dello spazio sacro Hierós: Nàos è lo spazio ospitante il sacro in noi.
«Il corpo umano è un tempio» pare abbia detto Ippocrate. Ma è anche «Il luogo dello Spirito Santo che è in voi» – come invece scrive San Paolo. Mettersi sulle tracce del corpo dell’Io vuol dire ricercare la divinità nella divinità.
Il “tempio esteriore” in cui è immesso il bambino – lo spazio toccatogli in sorte – è la rappresentazione delle immagini dell’individualità del bambino, non l’immagine della sua individualità. Chiamo “rappresentazione metamorfosata” la somma delle precedenti immagini biografiche che dalle passate incarnazioni assurgono a sostrato fondante per l’incarnazione attuale dell’individualità. L’immagine vera dell’individualità poggia su un sostrato rappresentativo che diventa fattore fondante. L’individualità è sempre collocata di là dalla somma delle sue rappresentazioni.
Nàos è la rappresentazione metamorfosata delle passate immagini biografiche dell’individualità esprimentesi attraverso lo spazio (lo spazio corporeo ossia la corporeità e lo spazio ambientale toccatoci in sorte). Hierós è l’essere puro dell’individualità, il germe spirituale contenuto nel corpo dell’Io. Il destino opera dalla serie di rappresentazioni metamorfosate che divengono Nàos.
Poiché ogni bambino scende dal mondo spirituale per abitare il mondo fisico (e dunque abita le forme entrando nel tempio della corporeità) allo stesso modo una parte del suo tempio fisico – come vedremo – diventerà luogo di connessione con quel mondo originario. In un modo piú completo si è dato cenno a certi processi di metamorfosi nell’articolo “Il rimpianto del paradiso”.
I fanciulli in noi e l’ammonimento di Cristo riguardante chi scandalizza i fanciulli e chi riceve i fanciulli.
Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare [Matteo 18:6].
Chiunque riceve uno di tali piccoli fanciulli nel nome mio, riceve me; e chiunque riceve me, non riceve me, ma Colui che mi ha mandato [Marco 9:37].
Occultamente i tre arti spirituali umani (Sé spirituale, Spirito Vitale e Uomo Spirito) vengono detti anche “fanciulli”, poiché la loro gestazione e nascita avviene entro una regione eterica del cuore umano a seguito delle rispettive trasformazioni del corpo astrale, del corpo eterico e del corpo fisico. La loro nascita presuppone il matrimonio interiore e successive gestazione e nascita dei fanciulli. In alcun modo tale processo dovrebbe venir turbato o scandalizzato. I fanciulli vivono in stretta relazione con l’etere di calore. Attentare ai fanciulli, vuol anche dire attentare alla possibilità che l’umanità porti frutto divenendo arida, fredda, sterile; obnubilando la possibilità che essa mantenga connessione con la «patria originaria» e con la comunità umana. La triplice perdita della creatività attenta in primis all’essere infantile, al “fanciullino” che abita in ognuno di noi.
Guenther Wachsmuth – lo scienziato di Dornach – scrisse nel 1948 il dramma teatrale Arche Noah, in cui preconizzava una ulteriore e imminente prova per l’umanità. In una nota biografica Giancarlo Roggero cosí scrive: «Ambientato sul monte Ararat intorno al 2000 d.C., offre la visione di una terza guerra mondiale con l’uso indiscriminato di armi nucleari, per le quali «la Terra geme strangolata a morte». Tuttavia «in mille arche sull’intera terra si azzarda un tentativo, e se si riesce, il diluvio non sarà stato invano: un patto nuovo tra uomini e dèi». L’arca è un “luogo per l’esercizio dell’anima”, dove si forgia “la spada di Michele” e si custodiscono “i nuovi rimedi contro l’intromissione delle forze nucleari nella vita. Tali rimedi derivano da un utilizzo delle forze della vita secondo criteri intelligibili solamente a coloro in cui è “volontà di edificare, non distruggere”».
L’arca – voglio sottolinearlo – è un luogo per l’esercizio dell’anima. Ed in questo senso possono risultare chiare le parole di Massimo Scaligero: «In tempi di diluvio, bisogna costruire l’arca».
Georg Kühlewind e i bambini delle stelle
Dobbiamo a Georg Kühlewind, nom de plume di György Székely, la concettualizzazione degli Stars Children, ossia dei Bambini delle Stelle.
Kühlewind fu un discusso discepolo di Massimo Scaligero e poi conferenziere, ricercatore antroposofico e maestro di meditazione. Fu “discusso” come discepolo non tanto da Massimo Scaligero – che mai si espresse pubblicamente a riguardo (si legga in proposito la sua lettera a un discepolo intitolata “Fedeltà alla Gratitudine” – quanto piuttosto da chi pensò di dover chiarire pubblicamente gli elementi di commistione, alla morte dei due.
Nulla è piú grande dello spazio che creiamo quando ospitiamo in noi i pensieri altrui. Attraverso la continuità con la quale pensiamo i pensieri di chi ci ha preceduti, opera il Cristo nel pensiero (poiché due sono uniti nel Suo nome, Mt 18:10), mentre attraverso la contiguità dialettica è l’ego ad operare.
Georg Kühlewind meditò a lungo sul racconto evangelico dei Re Magi, e arrivò alla conclusione secondo cui ogni essere umano possiederebbe una tale stella rappresentante la cristallizzazione della nostra parte innatale: quella componente spirituale che rimane sempre svincolata dai processi incarnatori. «La stella è una cristallizzazione di tutta la parte non incarnata del nostro essere – di quella parte che resta sempre nel Mondo spirituale. In altre parole: prima del concepimento e della nascita, l’anima spirituale di ogni individuo si estende atutto l’insieme del Mondo spirituale. Nel momento in cui una parte di quest’anima spirituale si unisce al corpo fisico ereditato dai genitori, la parte che resta nel Mondo spirituale, come una grossa nuvola informe, si raccoglie in una forma luminosa, che brilla di una luce piú o meno forte a seconda dell’individualità. La stella di un’individualità davvero grande è luminosissima. Questa stella rappresenta il nostro legame sovracosciente con il Mondo spirituale e la fonte particolare delle nostre facoltà umane».
Ecco dunque spiegata la stella che accompagna le nascite di alcuni santi, mistici e guaritori del nostro tempo. Fra gli ultimi giova ricordare Maître Philippe de Lyon.
Ognuno di noi ha comunque la sua stella: nel corso della vita il legame tra l’uomo e la “stella” – se non esercitato – si rarefà sempre piú. Questa rarefazione è coerente al principio di libertà individuale: da soli e in assoluta libertà dobbiamo ritrovare la connessione con il Mondo spirituale. L’elemento connettivo tra l’uomo e la sua stella è però mediato da un particolare sviluppo sottile. Siamo collegati alla nostra stella grazie alla formazione e conformazione di questo centro interiore in cui è concentrata l’atmosfera originaria della nostra patria celeste. Tale sviluppo ha proprio a che vedere con il divenire di quell’aureola di cui abbiamo parlato nella seconda parte di questa trattazione.
Metamorfosi del processo imitativo ancestrale e dell’aureola attorno al bambino
Il bambino piccolo è avvolto dunque da una sfera imitativa che gli permette di introiettare in sé le sostanze percepite. Il bambino piccolo sperimenterà “dall’interno” la conformazione di un quartiere, l’ordine di una stanza, la disposizione interiore di chi gli è attorno… tutte queste impressioni concorreranno a edificare – corroborando o indebolendo – la sua costituzione, sempre conformemente al principio di libertà individuale. Questa sfera contiene tutte le esperienze e il vissuto del piccino. Entro la circonferenza si deposita il benessere sperimentato sul proprio corpo, la comprensione, la cura, il sentirsi consolati, protetti e accuditi… Entro tale circonferenza si depositano anche i fantasmi della cura. Un bambino che segua, ad esempio, per otto anni il prescuola e il doposcuola a fronte di una giornata scolastica di otto ore (piú eventuali corsi extrascolastici di inglese, musica…) sarà un bambino che passerà solo poche ore serali accanto ai propri esausti genitori. Un bambino che venga lasciato d’abitudine a giocare con l’Ipod del papà perché “cosí sta tranquillo e non disturba”, sarà un bambino che instaurerà relazione e connessione con un ente irreale.
Parliamo di un reiterarsi prolungato e continuo di determinate impressioni ma anche di traumi e shock.
Ad un certo punto dello sviluppo del bambino – siamo attorno al sesto-settimo anno – l’aureola inizia a ritrarsi, a rimpicciolirsi. Le forze che prima volgevano verso l’esterno delimitando l’aureola, adesso fanno dietrofront e dalla periferia iniziano a muovere non piú secondo forza centrifuga bensí secondo movimento centripeto. Tale aureola è pervasa essenzialmente di forze eteriche particolarissime, in grado di relazionarsi attraverso una speciale modalità con l’etere di luce: forze che non potrebbero esistere sulla Terra senza essere isolate entro un “involucro”. La sfera imitativa è, per cosí dire, la camera iperbarica in cui è immessa l’atmosfera originaria del piccolo. Entro quest’aureola sono presenti altresí forze astrali, ma esse sono comunque di pertinenza eterica, mentre l’“involucro” (la circonferenza dell’aureola) è essenzialmente formato da forze astrali che solo successivamente – dal secondo settennio fino all’arrivo della pubertà – costituiranno una “aureola astrale”, anch’essa concentrantesi in un centro: tale è il processo che definisco di “imitazione rappresentativa”.
Il movimento centrifugo ha inizialmente permesso di creare uno spazio sacro attorno al bambino, un’aura candida e immacolata. Le forze di questo “involucro” non sono forze completamente terrestri: esse accompagnano il bambino nel processo di incarnazione, permettendogli di abituarsi alla terrestrità.
Mano a mano che la circonferenza si concentrerà nel centro, il bambino potrà iniziare a regolarsi in modo del tutto nuovo nei confronti del mondo. Questo corpo eterico-imitativo, concentrandosi in un punto, creerà quel famoso tempio interiore in cui inverare il processo di connessione con il mondo originario. La connessione con la patria originaria si costituirà grazie alla processualità fin qui descritta.
Solo in questo momento il bambino sarà pronto a discriminarsi a livello neurosensoriale: epperò tale respirazione non sarà automatica, ma dovrà essere trasferita mediante esempio e imitazione, insegnata. «L’educazione può cominciare solamente dopo che il bambino si è veramente inserito nell’ordine cosmico del piano fisico, e cioè quando comincia a respirare l’aria esterna» (R. Steiner, Conferenze sull’Arte dell’educazione – I: Antropologia – O.O. N° 293).
In sempre in piú scuole primarie si attivano corsi di yoga per bimbi piccoli: inconsciamente si comprende l’importanza di insegnare ai bambini a respirare, ma non si comprende piú quale tipo di respirazione dovrebbe essere insegnata.
Ciò che regola la respirazione neurosensoriale è la formazione di un centro mediatore, ritmico, in cui vengono regolate tanto le forze provenienti dalle correnti che dall’alto e dal basso (corrente del capo e corrente del metabolismo) si incontrano verso il centro, quanto le forze che dalla periferia della sfera imitativa convergono verso il centro. Tale centro è il punto in cui l’ispirazione si inverte in espirazione e l’espirazione si inverte in ispirazione: un punto di scambio.
La particolare situazione in cui oggi versa l’infanzia porta al fatto che il centro ritmico risulti, sempre piú spesso, decentrato rispetto alla sua collocazione ideale. Tale condizione è dettata dal fatto che durante l’inversione di movimento delle forze strutturanti (da centrifugo a centripeto) esse trovino, in alcune zone, dei «blocchi»: zone in cui il corpo imitativo si è intasato, indurito, eccessivamente impressionato… A questo punto le forze strutturanti non potranno piú formare il centro attraverso un moto unitario e artistico (si pensi ad una coreografia), ma avanzeranno attraverso modalità sempre meno unitarie e raffinate. Il centro potrà allora acquisire le connotazioni della laminarità, dell’ispessimento, e potrà anche trovarsi a costituire un centro collocandosi in regioni di non pertinenza.
Nicola Gelo (3. continua)