Come nel regno animale s’incarna una specie dopo l’altra, come avviene una trasformazione della specie, una reincarnazione della specie, nell’uomo ha analogamente luogo una trasformazione dell’anima. Non è lecito collegare qualcos’altro a questo pensiero, a quella che, nella psicologia della Scienza dello Spirito, è chiamata teoria della reincarnazione. Non è un pensiero che proviene da un’immaginazione non controllata, è un pensiero chiaro come un cristallo che scaturisce necessariamente dai presupposti della natura. Il pensiero della reincarnazione dell’individualità è altrettanto necessario che il pensiero della reincarnazione delle specie, della trasformazione delle specie nel regno degli animali. Abbiamo la reincarnazione della specie a livello dell’animalità, abbiamo la reincarnazione dell’individualità a livello dell’umanità.
Ma se le cose stanno cosí, il nostro sguardo si allarga dalla singola anima umana personale che si trova là davanti a noi, inspiegabile con la sua propria vita di piacere e di pena, fino a quella che l’ha preceduta e da questa a quelle ancora anteriori. Come comprendiamo una specie quando la studiamo risalendo fino agli antenati, cosí comprendiamo l’anima quando la studiamo in quanto individualità che si reincarna. Quello che agisce in me sotto forma di un destino inesplicabile, quello che era là alla mia nascita come disposizioni apparentemente non predisposte, tutto questo non deve essere considerato come un miracolo scaturito dal nulla: è un effetto, come nel mondo tutto è un effetto, ma un effetto derivante dai processi animici nel mio antenato animico.
Non possiamo ora occuparci dettagliatamente del modo in cui si producono queste reincarnazioni. Qui deve essere mostrato, in maniera analoga a quella scientifica, come il pensiero della filosofia teosofica sia del tutto conciliabile – e anche di piú – e come sia esattamente la stessa cosa, in campo spirituale, con la teoria moderna dell’evoluzione nel campo della vita animale. Il naturalista dovrebbe appunto elevarsi dalla sua teoria della reincarnazione fisica a quella animica. Il buddista, per cui questa teoria animica della reincarnazione è simile a quella che da noi è la teoria dell’evoluzione propria delle scienze naturali, non conosce, come fa l’Occidente, l’evoluzione enigmatica, il corso enigmatico del destino nella vita individuale. Il buddista si dice: quello di cui faccio esperienza è l’effetto della vita dell’anima dalla quale si è sviluppata la mia attuale; devo ammetterlo come effetto. E quello che io stesso compio oggi è una causa e non resterà senza effetto. La mia anima si reincarnerà una volta dopo l’altra, e questo determinerà il destino di quest’anima come apparirà, sarà tutt’uno con quest’anima. Cosí il destino e l’anima si combinano insieme in una catena. Le differenti tappe dell’evoluzione dell’anima della vita umana, di tutta la vita dell’uomo, appaiono come infilate in una collana di perle del destino. E quello che non si può spiegare in una sola vita dell’uomo, diventerà spiegabile se lo consideriamo non un miracolo in sé, ma se al contrario lo consideriamo nella ripetizione delle sue apparizioni successive.
Ma se allora consideriamo in questa maniera l’evoluzione dell’anima, andiamo oltre la calamità di Aristotele; è soltanto cosí che superiamo la calamità della sua psicologia. Colui che non dà la sua adesione alla teoria dell’evoluzione, deve darla all’atto di creazione che accompagna ogni singola nascita umana. Ad ogni nascita deve ammettere che si tratta di un particolare miracolo della creazione.
L’insegnamento scientifico della creazione è credere ai miracoli, è una superstizione. Ancora nel XVIII secolo è stato detto che esistono tante specie le une accanto alle altre quante quelle create all’origine. Anche nel campo della psicologia non esistono che queste due vie: l’atto miracoloso di creazione ad ogni nascita di un individuo umano, oppure l’evoluzione dell’anima. La prima ipotesi è impossibile. Esistono pertanto dei ricercatori integri che non possono convincersi dell’evoluzione dell’anima. Ma quando un tale ricercatore non può risolversi ad accettare l’evoluzione dell’anima, dovrà ancor oggi professare il suo accordo ad un atto di creazione ad ogni nascita umana individuale. Questo non è pensato scientificamente, ma ciononostante lo è onestamente.
Coloro che vogliono però pensare scientificamente, e che sono in grado di considerare la vita dell’anima secondo lo spirito delle scienze naturali, arrivano da soli, dal punto di vista della ricerca attuale, a questa teoria della reincarnazione dell’anima, come ci è arrivato un filosofo moderno, il professor Baumann, a Göttingen. In un chiaro pensare, saranno le due vie che dobbiamo seguire: la creazione dell’anima come un miracolo ad ogni nascita oppure l’evoluzione ed il ritorno dell’anima secondo il pensiero delle scienze naturali.
Partendo da questa teoria dell’evoluzione dell’anima, una chiara luce è proiettata sulla grande questione che ha particolarmente preoccupato la filosofia ed il modo di pensare moderni in generale, cioè la questione del valore della vita. Come sapete, questa questione ha ottenuto una risposta negativa da parte dei filosofi moderni: Schopenhauer, Eduard Hartmann ed altri. È stato rifiutato che la vita abbia un valore per la semplice ragione che la vita offre molti piú dispiaceri che piaceri. Se la vita esistesse esclusivamente nella singola personalità fra la nascita e la morte, la questione del valore della vita sarebbe giustificata nella misura in cui si dovrebbe valutare questo valore della vita secondo il dispiacere e il piacere.
In questo caso i filosofi dicono semplicemente che l’esperienza ci mostra, in ogni singolo caso, che il dispiacere ha di parecchio il sopravvento sul piacere, che la vita è piena di dolore e di sofferenza. Già per questa ragione, Schopenhauer stima che dobbiamo aderire a una tale visione pessimistica delle cose. Accettiamo in effetti come un’evidenza che il piacere sia qualcosa che ci spetta. Chi non considera dunque – e Schopenhauer ha ragione su questo punto – il piacere come qualcosa per noi evidente? Non basta forse un semplice fastidio senza grande importanza perché l’uomo lo risenta come un dolore, mentre invece prende ogni piacere piú o meno come un’evidenza? I pessimisti dicono che sarebbe dunque naturale che gli uomini non sentano il piacere nello stesso modo in cui sentono la diminuzione del piacere come un dolore e un dispiacere. I pessimisti fanno cosí quello che si chiama il bilancio del piacere della vita, e dichiarano che il dispiacere governa la vita molto di piú del piacere.
Senza alcun dubbio, se si vuole risolvere questo enigma nell’interiorità singola della vita umana, non si arriverà ad alcun’altra soluzione. Perché colui che abbraccia con lo sguardo una vita umana nella sua particolarità personale si dirà: è vero, per quanto sia minima la quantità di dispiacere raggiunta in questa vita, essa resta presente come qualcosa che è stata, per cosí dire, imposta all’uomo. Se alla morte di un uomo si cercherà di fare obbiettivamente questo bilancio di piacere/dispiacere, è vero che, quando lo si farà, si otterrà, nel senso di Hartmann, il valore di piacere della vita nella parte negativa. Quando la vita termina con la morte, allora questa vita termina con un fattore di valore negativo, una cifra negativa. Ma allora questa vita individuale appare completamente inspiegabile.
È tutt’altra cosa se quello che rimane come risultato di una singola vita lo riteniamo causa per la vita successiva, se lo consideriamo come qualcosa che possiamo trapiantare, ricollocare in un altro livello d’esistenza. Allora, quello che nella vita appare come un dolore, un dispiacere, si presenta come qualcosa che può avere un effetto favorevole nella vita successiva. E per quale ragione? Per la semplicissima ragione che allora l’impressione di dispiacere che abbiamo in questa singola vita non è il solo elemento determinante, ma che al contrario l’effetto che nasce dal dispiacere è ugualmente determinante. Se oggi provo un dispiacere, quest’ultimo iscriverà per oggi nella mia vita un segno negativo. Ma domani, questo dispiacere potrà essere della piú grande importanza. Per il fatto che oggi, per effetto di un qualsiasi avvenimento, ho provato un dispiacere, un dolore, posso imparare per l’avvenire. Posso imparare ad evitare questo dispiacere, questo dolore in una occasione simile; posso imparare a considerare questo dispiacere, questo dolore, come una lezione per rendere piú perfette le attività che mi hanno procurato il dispiacere.
Da questo punto di vista, un torto subíto ci apparirà in un contesto che ha una grande importanza. Supponete che un bambino debba imparare a camminare. Cade di continuo e si fa male, infliggendosi dolore con la sua azione. Non sarebbe tuttavia giusto se la mamma mettesse tutto intorno al suo bambino delle protezioni di gomma, affinché non si faccia male quando cade. Perché cosí il bambino non imparerà mai a camminare. Il dolore rappresenta la lezione. Esso ci prepara a un livello superiore di evoluzione. È soltanto per il fatto che la vita dell’individuo fra la nascita e la morte non consiste unicamente in piaceri, che essa ci prepara. È soltanto attraverso il dolore che deriva dalle nostre attività imperfette, e la sofferenza che ne consegue, che noi impariamo. Se la vita termina con un bilancio di sofferenza, essa finisce allo stesso tempo con una causa che avrà un effetto sulle vite ulteriori. Grazie alla sofferenza in una vita, raggiungeremo un livello superiore in quella successiva.
In questo modo, quando consideriamo la vita dell’uomo di là dalla nascita e dalla morte, il nostro sguardo si amplia. Il bilancio di piacere e sofferenza si presenta come qualcosa che deve esistere affinché impariamo dalla singola vita per poterne riportare il risultato in un’altra vita. Se non provassimo dolore, sarebbe per noi come quel bambino che non può imparare a camminare se gli si impedisce il dolore della caduta. Con questo arriviamo a considerare il bilancio della sofferenza, come lo menziona il pessimista, come un fattore d’evoluzione. Come un motore, spinge avanti l’evoluzione. Diventa allora per noi prezioso questo principio spesso espresso: il dolore acquista un senso superiore, perché è un fattore di evoluzione. Comprendiamo cosí la singola vita come un effetto, come un risultato di cause precedenti. E se la comprendiamo cosí, come un effetto, capiremo i livelli di perfezione che coesistono fra gli uomini come quelli fra le specie animali. Come, secondo la teoria dell’evoluzione, non ci sembra strano che il perfetto leone viva accanto all’imperfetta ameba, come questa forma imperfetta sia comprensibile secondo la teoria dell’evoluzione, nello stesso modo il grado d’evoluzione dell’anima che va dal piú elevato genio fino al basso livello del selvaggio non evoluto, ci sembrerà comprensibile a partire dalla legge dell’evoluzione dell’anima. Perché, sotto quale forma ci si presenta il genio? Si presenta come qualcuno a un livello superiore, come ad un grado di perfezione piú elevato dell’anima che vive nel selvaggio a un livello di formazione inferiore. Come in campo fisico per gli animali la specie superiore si distingue dalle forme inferiori, cosí in campo interiore l’anima del genio si distingue dall’anima dell’ottentotto.
Con questo ci viene spiegato che il dono geniale non è in fondo niente di radicalmente differente dal dono abituale dell’uomo, ma è soltanto un grado ulteriore di evoluzione.
Facciamo un paragone con la psicologia di Franz Brentano. Essa sottolinea che il genio non si distingue per l’essenza del livello d’evoluzione dell’anima imperfetta, ma soltanto per il grado. Prendiamo un genio come Mozart. Già quand’era un bambino, mostrò un dono che sembrava veramente straordinario. Dopo averla ascoltata una sola volta, trascrisse di getto un’intera messa, che non aveva mai potuto studiare prima perché non si aveva diritto a registrarla per iscritto. Che capacità di memoria! Quell’anima di Mozart poteva abbracciare con un solo sguardo una grande serie di rappresentazioni, mentre un’anima imperfetta può afferrarne soltanto una dopo l’altra. È solo un particolare sviluppo di questa facoltà dell’anima che collega e riallaccia le rappresentazioni le une alle altre. Tale facoltà dell’anima può essere cosí debole da non rendere possibile di avere una visione d’insieme di cinque o sei rappresentazioni in un certo tempo. Ma con l’esercizio, l’uomo può migliorare la sua facoltà di rappresentazione, ampliare la sua visione d’insieme. Ora, se vediamo che il genio appare con delle grandi disposizioni, che possono però essere gradualmente acquisite con l’esercizio, non dobbiamo tuttavia considerare il genio come un miracolo. Dobbiamo considerarlo come un effetto. E siccome il genio è già nato con queste facoltà, dovremo cercarne la causa in un livello anteriore di evoluzione dell’anima, in una vita precedente. È soltanto cosí che arriveremo ad una spiegazione delle disposizioni geniali.
Potete con questo considerare dal punto di vista animico ogni grado di evoluzione umana. Potete studiare l’essere umano dalle piú elevate facoltà geniali fino in basso, ai fenomeni piú tristi della vita umana, che qualifichiamo ritardo mentale, demenza.
Qui bisogna però fare astrazione dal modo di considerare delle scienze naturali: è soltanto dal punto di vista dello psicologo che possono essere etichettate queste persone. Sappiamo che esistono esseri deformi, atrofizzati. Se estendiamo i concetti del campo delle scienze naturali al campo della psicologia, al campo della vita dell’anima, arriviamo ai fenomeni anormali della vita psichica.
In questa maniera ci è mostrato in modo chiaro e facilmente comprensibile che la vita dell’anima forma un tutto nel tempo, come la vita fisica all’esterno, nello spazio. Chi dice che questi pensieri contraddicono quelli delle scienze naturali, non ha certamente portato a coscienza fino in fondo tutta la portata delle idee sia delle scienze naturali sia di quelle dell’anima. Non ha sviluppato abbastanza la propria osservazione, per aver imparato ad utilizzare i metodi della psicologia come i naturalisti utilizzano quelli delle scienze della natura esterna.
Ma quando si afferma che le teorie che abbiamo esposto sembrano dovute ad una sfrenata immaginazione, abbiamo il diritto di porre la domanda: cosa dicono in proposito coloro che hanno posto le basi delle scienze naturali? Devono certo aver riconosciuto la portata delle idee di queste scienze naturali, cosí come coloro che sono stati i primissimi ad esplorare un paese personalmente lo conoscono meglio di coloro che ne hanno avuto solo una comunicazione o una descrizione. Nella stessa maniera, il naturalista che trova le basi delle verità delle scienze naturali a partire dalle profondità della sua ricerca, sarà piú qualificato del pedissequo imitatore, che a posteriori vuol farci credere che gli psicologi parlano di entità animiche e spirituali separate.
Ecco adesso ancora qualche esempio su come alcuni autorevoli naturalisti hanno pensato in merito a coloro che fanno delle ricerche sull’anima e sullo Spirito. Una volta dopo l’altra si sottolinea che una psicologia come quella che è stata esposta adesso contraddice la legge della conservazione dell’energia. È la grande legge che regola tutti i fenomeni fisici per colui che vuole spiegarli. Questa legge dice che nella natura non nasce alcuna forza, ma che al contrario ogni forza deriva da un’altra per evoluzione, e che possiamo misurare la quantità di una forza dalla forza che ne è la causa.
Se in una caldaia trasformiamo il calore in vapore d’acqua, abbiamo davanti a noi la causa e l’effetto, e misuriamo l’effetto dopo averne misurato la causa. Ora, gli avversari della psicologia in campo spirituale dicono: questa legge contraddice effettivamente l’ipotesi che dei processi animici particolari si svolgano all’interno. Misurate dunque le impressioni esteriori che l’uomo riceve, misurate quello che accade in lui, misurate quello che accade nel cervello e non si potrà affermare che si possa, per esempio, decidere che esiste una forza dell’anima. Questa sarebbe allora nata dal nulla e questo contraddice la legge fondamentale della trasformazione della forza.
Julius Robert Mayer è l’inventore di quella fondamentale legge della conservazione della forza, di cui ci viene detto che contraddice la psicologia. Ascoltiamo l’inventore di questa legge, uno dei piú grandi naturalisti e pensatori di tutti i tempi. Nel 1842, all’epoca delle investigazioni sulla natura, ha scoperto la piú importante delle leggi del XIX secolo. Coloro che sono dei naturalisti materialisti – potete studiarlo nei loro libri – dicono, e vogliono farci credere, che questa legge escluderebbe ogni teoria dello Spirito e dell’anima. Sentiamo questi naturalisti dire che colui che continua ad ammettere una psicologia interiore, non capisce le scienze naturali espresse nella Legge della conservazione della forza. Julius Robert Mayer dice tuttavia: se dei cervelli superficiali, che immaginano essere dei geni, non vogliono ammettere nient’altro di piú elevato, una simile pretesa non può essere addebitata alla scienza, né può portarle vantaggio o profitto.
Ecco cosa dice l’inventore di questa legge: domandatevi se i seguaci hanno il diritto d’invocare la sua legge contro quello che lui stesso ha riconosciuto.
Lyell, il grande geologo inglese, un altro ricercatore fondamentale della nostra scienza moderna della natura, con le sue ricerche geologiche sulla metamorfosi delle forme degli strati della nostra crosta terrestre ha posto le basi per il mondo degli esseri viventi e ha compiuto dei lavori preliminari a quelli di Darwin. In rapporto alla geologia è stato il primo ad esprimere il principio che noi non procediamo scientificamente se ammettiamo che in periodi anteriori si sono prodotti degli sconvolgimenti che non sarebbero ancor oggi spiegabili come provocati da una forza esterna. Questo ricercatore, Lyell, al quale si riferisce la ricerca materialista sulla natura, dice la seguente cosa : in qualsiasi direzione intraprendiamo le nostre ricerche, troviamo ovunque un’intelligenza creatrice, una provvidenza, una potenza e una saggezza.
Ma alcuni ricercatori materialisti ci dicono: da quando la legge di quella che è chiamata “forza vitale” è stata superata, da quando si è in grado di fabbricare in laboratorio sostanze che si credeva non potessero nascere dall’uomo, non si ha piú il diritto di dire che in un laboratorio chimico non si fanno le stesse cose che esistono in natura. Jöns Jacob Barzelius, amico di Frederich Wöhler, dice: «La conoscenza della natura è la base della ricerca. Coloro che non vi si attengono non sfuggono alle influenze che li inducono in errore».
Wilhelm Preyer ha scritto sul fenomeno della morte. È lui che dice con determinazione che la morte non può essere concepita come fine dell’individualità incarnata in un corpo, che la morte non può essere concepita in questo modo nell’uomo, perché essa non può neppure essere cosí concepita nel mondo inferiore. Preyer dice che il corpo muore ma non la materia, non la forza, non il movimento, non la vita.
Sono parole di autentici fondamentali naturalisti, non dei filosofi dilettanti che credono, non dico di poter negare i fenomeni animici a partire dalle scienze naturali, ma essere autorizzati a spiegare i fenomeni dell’anima come delle semplici funzioni di processi puramente minerali. Quando vediamo dunque che proprio coloro che hanno fatto molto per la ricerca sul corso dell’evoluzione della natura non vedono in quest’ultima alcuna contraddizione con la visione dell’evoluzione dell’anima nell’interiorità, dobbiamo trovarci d’accordo con tutti loro. E sappiamo che tutti coloro che negano l’evoluzione interiore dell’anima sono toccati dalle parole di Hamerling, il quale dice che colui che cerca l’anima, ha l’impressione di essere come un cane che cerca di afferrarsi la coda e non può raggiungerla. È una psicologia nel senso della Scienza dello Spirito, una psicologia in senso moderno delle scienze naturali, non certo per dover applicare il suo metodo, ma partire dallo Spirito. La legge del destino si mostra allora a noi come una grande legge dell’evoluzione. Allo stesso modo che la specie è inserita nell’evoluzione animale, e appare come un’onda sullo specchio del mare, sollevata dall’evoluzione portando i suoi flutti verso terre lontane, cosí la vita umana individuale appare come un’onda, e le singole vite che si susseguono una dopo l’altra appaiono come singole onde dello stesso destino umano.
Considereremo nella prossima conferenza quali siano le ragioni profonde di queste onde, quando avremo capito cos’è il destino umano a partire dall’essere eterno. Oggi ho mostrato come coloro che vedono nel destino la grande legge dell’evoluzione lo vedono come qualcosa che agisce, che solleva delle onde e che ogni singola onda è, nella forma con la quale appare, un’immagine dell’essere umano. È in questo modo che tutti coloro che si sono immersi in tale questione vedono la vita dell’anima nella sua evoluzione. Per questo Goethe dice che la singola anima è come un’onda che si alza, una volta dopo l’altra, e che il vento è il destino che spinge, solleva queste onde fuori dall’acqua. In questo modo, partendo dalla conoscenza teosofica, paragona l’anima al gioco delle onde ed il destino al vento, perché Goethe era d’accordo con questa psicologia nel suo senso piú profondo.
Gesang der Geister über den Wassern
Des Menschen Seele
Gleicht dem Wasser:
Vom Himmel kommt es,
Zum Himmel steigt es,
Und wieder nieder
Zur Erde muß es,
Ewig wechselnd.
Strömt von der hohen,
Steilen Felswand
Der reine Strahl,
Dann stäubt er lieblich
In Wolkenwellen
Zum glatten Fels,
Und leicht empfangen
Wallt er verschleiernd,
Leisrauschend
Zur Tiefe nieder.
Ragen Klippen
Dem Sturz entgegen,
Schäumt er unmutig
Stufenweise
Zum Abgrund.
Im flachen Bette
Schleicht er das Wiesental hin.
Und in dem glatten See
Weiden ihr Antlitz
Alle Gestirne.
Wind ist der Welle
Lieblicher Buhler;
Wind mischt vom Grund aus
Schäumende Wogen.
Seele des Menschen,
Wie gleichst du dem Wasser!
Schicksal des Menschen,
Wie gleichst du dem Wind!
Johan Wolfgang von Goethe
Canto degli spiriti sulle acque
Dell’uomo l’anima
simile è all’acqua:
dal cielo viene,
al cielo sale,
e poi di nuovo
in terra deve
sempre tornare.
Sgorga dall’alto
d’erto dirupo
il raggio puro,
poi sfuma lieve
in nubi ondose
su liscia roccia,
e lieve è accolto
in dolce grembo,
tra veli e murmuri,
fin nel profondo.
Scogli fronteggiano
l’erta caduta;
spumeggia iroso
giú pei gradini
verso l’abisso.
Dal vacuo letto
si volge al prato,
fa specchio al lago,
il volto mira
tutte le stelle.
Dell’onda il vento
è dolce amante;
dal fondo suscita
di spuma i flutti.
Anima umana,
somigli all’acqua!
Destino umano
somigli al vento!
Johan Wolfgang von Goethe
Con queste belle parole Goethe ha sviluppato il suo paragone del vento e delle onde, dell’anima e del destino.
Rudolf Steiner
Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 23 marzo 1904 ‒ O.O. N° 52. Traduzione di Angiola Lagarde.