I leontini, gli abitanti di San Leo, vivono da piú di duemila anni sulla cima di un masso erratico, con la consapevolezza che la “Rocca”, questo il nome del castello fortificato dei Montefeltro, scivolando sul letto d’argilla che la incolla al monte, finisca a mollo nell’Adriatico.
Due gli episodi scaramantici riguardanti il destino di San Leo. Il primo, buono, ricorda la visita, nel maggio del 1213, di Francesco d’Assisi, che vi tenne una predica in occasione dell’investitura a cavaliere di Montefeltrano II, di nobiltà ghibellina amica degli Hohenstaufen. Il “Giullare di Dio” diede alle sue parole il titolo del celebre motto cavalleresco: «Tanto è il bene che mi aspetto, che ogni pena m’è diletto».
La benedizione del Poverello d’Assisi ha forse esorcizzato la maledizione che Cagliostro lanciò contro la fortezza nobiliare, diventata prigione nel 1791, con il governo del Papa. Secondo il Grande Cofto, un sisma avrebbe cancellato, dopo la sua morte, la rocca di San Leo dalla faccia della terra. Il terremoto ci fu, ma non procurò danni alla Rocca né al territorio.
Il masso erratico, alto 637 metri, con un perimetro di 3 chilometri e pareti a strapiombo, aveva ispirato Dante nell’ideare la montagna del Purgatorio per la Divina Commedia. Una strada scavata nella montagna conduce alla Rocca, dove convengono ogni anno molti visitatori e devoti per commemorare la morte di Cagliostro, avvenuta il 26 agosto 1795. Ogni anno, a quella data, una mano ignota depone una rosa rossa sul duro giaciglio nella cella del “Pozzetto”, dove si sono consumati gli ultimi, terribili anni del prigioniero, al quale la Santa Inquisizione, per comodità, aveva attribuito anche gli imbrogli, gli intrighi e i raggiri di un avventuriero di Palermo, tale Giuseppe Balsamo.
Oggi a San Leo, nel giardino antistante la cattedrale, i visitatori possono ammirare l’olmo sotto cui il Poverello d’Assisi sostò per annunciare che nella fatica del vivere è il bene supremo dello Spirito. E affacciandosi al “Pozzetto” in cui fu calato il grande Iniziato, e in cui passò gli ultimi quattro anni della sua vita, possono scoprire che al culmine del dolore e della sopportazione del male, la cella piú buia e squallida può aprirsi a squarci di cielo liberatori dell’anima. Accadde questo al prigioniero di San Leo, il 26 agosto 1795. Il suo corpo risultò introvabile, un mistero da aggiungere ai tanti che hanno costruito la sua leggenda.
Elideo Tolliani