Il 2019 si è chiuso con una preoccupante recrudescenza degli incidenti stradali con vittime, spesso donne. Il 21 dicembre notte, al famigerato viadotto di Corso Francia, a Roma, Gaia e Camilla, non ancora ventenni, sono state investite e uccise da Pietro, un loro coetaneo, alla guida di un SUV. Alcol, droga, si è ipotizzato, o colpa, a detta di un quotidiano di prestigio, dell’età spavalda, di adolescenti inconsapevoli. Lo stesso foglio informa che nel 2019 c’è stato un aumento del 25% degli incidenti stradali con esito mortale, e per convalidare la statistica riporta il caso della giovane che a Foggia si era schiantata contro un albero, dopo aver ricevuto dal fidanzato la proposta di nozze, e della ragazza di Frosinone travolta da un’auto, il 24 sera, mentre si recava con il padre alla messa di Natale.
La falcidia stradale è diventata parte dell’horror quotidiano, un horror che viene ormai persino ricercato per fornire emozioni a una piatta vita di routine, di cui si occupano sempre piú cinema, televisione e libri, che s’ingegnano di divenire sempre piú cruenti. Ecco infatti quanto promette l’annuncio editoriale per l’uscita in edicola di un nuovo libro: «Emozione noir. Una giungla di terrore. Un mistero ricco di suspense e colpi di scena lontano dai luoghi comuni. Un romanzo che vi porterà al centro del mistero, nel Mato Grosso, tra l’oscurità e il silenzio della notte, gli sguardi delle bestie selvagge e il fascino velenoso della giungla di cui un autore francese, ingannato da un falso editore, diventerà preda senza sapere perché».
Per contro sappiamo tutti con matematica certezza che non sarà il surriscaldamento del pianeta a sterminare il genere umano. I falsi, o folli, profeti che lo predicano quale eminente ed esclusivo responsabile della strinatura globale che metterà fine alla civiltà antropomorfa, sono degli ingenui o figurano sul libro paga delle Sette Sorelle, il trust apolide che detiene il possesso o la gestione dei carburanti fossili, bruciando i quali l’intero parco macchine mondiale viene usato per il trasporto, lo svago e il lavoro dell’homo sapiens, il quale è tale solo quando cammina con le sue gambe, ma diventa imprevedibile se sfrutta un motore, ossia un marchingegno che, bruciando una miscela di ossidi, produce quello che i Greci chiamavano Χάος, Cháos.
Ma l’umanità di questo caos non può fare a meno. Le serve per lavorare, viaggiare e anche divertirsi. Tra gli svaghi, seppur perversi, dell’uomo c’è, da Caino in poi, la guerra, ossia la messa in campo di strumenti, tattiche e strategie per l’eliminazione fisica, materiale, definitiva, irreversibile del nemico. La storia delle imprese belliche umane, fino all’invenzione del motore a scoppio – vale a dire fino alla sua invenzione (inizio ‘800) e successiva utilizzazione quale energia motoria veicolare – è un immane dispiegare e marciare di eserciti appiedati, falangi e coorti ansimanti sotto il peso di armature e macchine offensive, di cui sono tramandate, all’uso devozionale espiatorio e folklorico, alcune forme di macchinari commemorativi di prodigi, come la Macchina di Santa Rosa a Viterbo. La sopportazione e trazione di questa è affidata alla vigoria muscolare dei trainanti e al loro sincronismo di passi e movimenti coordinati da un vademecum secolare espresso in comandi gridati, esortazioni a reggere lo sforzo per l’onore della Santa, come usava per le testuggini e gli arieti negli antichi assedi.
Il motore a scoppio ha eliminato la fatica dei militi pezeteri, sostituendo ai carri stridenti e ai cavalli nitrenti il rombo a quattro tempi dei cilindri, in cui una scintilla di fuoco ignisce e brucia il caos tellurico: un liquido oleoso, una percolazione di materia che l’oscurità, il giacere oppressa da titaniche energie e forme rocciose, muta in carburante, un derivato inerte, amorfo capace di creare, a suo modo, vita. Una magia. E quando, su richiesta umana, lo fa, produce un fremito, emette un suono, quasi un grido di liberazione dai ceppi di una prigionia tantalica, un rombo: wrooooooom!
Una tigre nel motore. L’uomo si è illuso di poter dominare quel portentoso mezzo, ma per l’abuso che ne fa, finisce con l’esserne divorato. Ci chiediamo: chi ha creato la tigre? Mostri simili non nascono per partenogenesi. Troppo sofisticato è il processo generativo e il proposito esecutivo perché venga lasciato al caso. Riguardo al mostro a quattro ruote, divoratore di ottani e ferodi, alitante fumi pestilenziali che intossicano le creature e l’ambiente, per idearlo scientificamente e realizzarlo materialmente si sono messi all’opera individui e imprese il cui solo proposito era di renderlo una necessità coadiuvante l’uomo nella sua dimensione operativa.
Il 17 settembre 1928 Henry Deterting, responsabile della società petrolifera anglo-olandese Shell, invitò nel suo castello di Achnacarry, nella Scozia del Nord, Walter Teagle, dell’americana Esso e John Cadman, della British Petroleum, per mettere fine alla guerra dei prezzi che stava sconvolgendo il mercato mondiale degli idrocarburi. In quel meeting segreto vennero stabilite le zone di influenza e le quote di partecipazione delle compagnie operanti in Medio Oriente e nell’America Latina, e cioè, oltre alle società già citate Shell, Esso e BP, la Standard California, la Mobil Oil, La Gulf e la Texaco, tutte multinazionali USA. Da quel meeting scozzese queste compagnie assunsero il nome convenzionale di “Sette Sorelle”.
Nel 1953, il cartello formato da queste sette società, escludendo l’area comunista, controllava i due terzi della flotta di petroliere, l’ottantatré per cento delle riserve accertate di greggio, il cinquantasei per cento delle raffinerie, oltre alla quasi totalità dei pozzi estrattivi e alle catene di distribuzione ad esse collegate.
Per quanto invece riguardava il prezzo del petrolio, si stabilí che dovesse essere uguale indipendentemente dalla compagnia produttrice, dal luogo di estrazione e di produzione, e doveva essere calcolato in base ai costi massimi di estrazione di una qualunque società produttrice USA, aggiungendovi il costo del trasporto dal Golfo del Messico ai porti della Manica. Una condizione che avvantaggiava il petrolio nord-americano, che aveva i costi di estrazione fino a quattro volte maggiori di quelli del Medio Oriente. I membri del cartello si assicurarono cosí il quasi monopolio del petrolio estratto sia negli USA sia nel Golfo Persico, dove i minori costi di estrazione davano utili stratosferici.
Il petrolio costituisce la materia prima indispensabile per un grande numero di prodotti fondamentali per l’economia globale: materie plastiche, vernici, lubrificanti, collanti, gomme, tessuti. Il suo costo e la sua fornitura, opportunamente controllati e fissati, spesso in modo arbitrario, consentono di influire in modo determinante sulle varie economie nazionali.
Un esempio è la metropolitana di Los Angeles. Sí, proprio quella città che sorge, sconfinata, lungo le sponde del Pacifico, che i film, i media e la letteratura ci hanno mostrato e tuttora ci mostrano come una metropoli trafficatissima, con milioni di automobili che la intasano in ogni ora del giorno e anche di notte. Un flusso di vetture di ogni cilindrata e uso che percorrono le larghe avenue, la litoranea, le vertiginose sopraelevate che si intersecano in nodi e sovrapposizioni, insomma una città che ha sposato l’automobile per la vita: una insonne e rumorosa comunità di milioni di uomini e donne, che stanno ore negli uffici e quando hanno finito stanno ore in macchina per ritornare a casa nella zona urbana che è estesissima lungo l’oceano, tanto che ingloba nel tessuto metropolitano cittadine satelliti come Santa Barbara, Santa Monica, Pasadena, Hollywood, San Bernardino, oppure per raggiungere località piú distanti a monte della città, oltre le colline che separano Los Angeles dal deserto. Prevedendo l’estensione futura della città, nel 1925 le autorità avevano dato inizio al progetto di una ferrovia sotterranea che si estendesse sotto il complesso urbano, come si stava facendo a New York e nelle grandi metropoli europee come Londra e Parigi stavano facendo già da anni. Vennero cosí scavati tunnel e gallerie, impiantati binari per circa duemila chilometri di rete ferroviaria, che entrò in attività gradatamente e funzionò per diversi anni. Banchine, piattaforme, scale mobili, uffici di biglietteria e assistenza utenti.
Finché la cosa non cominciò a impensierire le multinazionali del petrolio, tipo Shell, Chevron e altre, ma soprattutto mise in allarme le fabbriche di automobili e indotto, come la General Motors e la Firestone, la prima costruttrice di auto e la seconda di pneumatici. La ferrovia sotterranea rappresentava per queste come per altre imprese legate alla produzione automobilistica e al petrolio una seria minaccia concorrenziale. Il treno, che sia di superficie o sotterraneo, può trasportare migliaia di passeggeri con un solo conducente, senza intoppi di traffico, di eventi climatici avversi, usando energia spesso di produzione naturale come l’idroelettrica e quindi senza i costi di estrazione e di trasporto. Insomma, occorreva togliere di mezzo un cosí pericoloso concorrente. L’operazione venne condotta con procedimenti legali, impeccabili dal punto di vista amministrativo: la General Motors e la Firestone usarono il sistema della Borsa, acquistando azioni della nascente metropolitana, il che era del tutto nei termini di procedura finanziaria e giudiziaria. Divennero cioè per diritto proprietari della metropolitana. E cosa fecero? Essendo intervenuti anche altri soci azionari, divisero le quote di proprietà e non solo virtualmente, ma lo fecero sul campo, ossia materialmente, dividendo la rete in tante sezioni corrispondenti alle rispettive quote col cemento, erigendo muri solidissimi sui binari, per cui alla fine di questo gioco perverso tutta la rete della Los Angeles Subway era spezzata in tronconi a tenuta stagna, e naturalmente impercorribili. Era il 1955 quando ufficialmente la ferrovia sotterranea di oltre 2000 km di linee terminava di esistere e veniva abbandonata, anzi murata anche alle entrate. Veniva tombata, come si usa dire nel gergo dei lavori stradali. Ci vollero piú di trent’anni perché la Città degli Angeli tornasse a utilizzare un mezzo di trasporto veloce e funzionale, e soprattutto a respirare aria piú pulita. L’eccessivo sviluppo del traffico nella città degli Angeli ha infatti costretto l’amministrazione comunale, a partire dal 1990, al ripristino delle varie linee metropolitane.
Quello che su larga scala è avvenuto nella città di Los Angeles a cavallo degli anni Trenta e Quaranta, riguardante la ferrovia sotterranea, accade oggi in altre parti del mondo, con piú meno gli stessi sistemi occulti e trasversali: il trasporto su ferro viene penalizzato a favore di quello automobilistico sulle brevi e medie distanze, e quello aereo sui percorsi piú lunghi o dove il mare, il deserto, la giungla o le catene di montagne impediscono il trasporto su strada, o lo rendono problematico in termini logistici ed economici. Attraversare via terra la cordigliera andina o l’Himalaya in auto o come avveniva un tempo con cavalcature, sherpa e veicoli trainati, non può certo convenire rispetto a un Boeing 747 e simili. Anche quando i moderni sistemi ingegneristici possono in parte ovviare, ecco che la congiura petrolifera si attiva in via politica o finanziaria, o peggio intimidatoria, per impedire o rallentare la costruzione di ponti e gallerie, l’ammodernamento della ferrovia Roma-Pescara – tuttora per la maggior parte del tracciato su binario unico – o quella litoranea ionica da Reggio a Taranto. Per contro, si eseguono lavori portentosi dal punto di vista tecnico per scavare il tunnel del Monte Bianco e quello del Frejus, e in scala piú ridotta, ma con altrettante difficoltà costruttive, il tunnel sotto il Gran Sasso e i vertiginosi viadotti della A24 transappeninica Tirreno-Adriatico e quelli dell’A3 Salerno-Reggio, perché finalizzati a incentivare l’uso del trasporto su gomma, e quindi potenti catalizzatori del consumo di carburante, ovvero di petrolio.
Quando poi, sfidando la natura ostile della catena himalayana, dei grandi fiumi Giallo e Azzurro, i Cinesi costruiscono una ferrovia di settemila chilometri da Pechino a Lhasa in Tibet, il cui percorso tocca in alcuni punti del tragitto quota cinquemila, e dove ai passeggeri viene fatto respirare ossigeno per la rarefazione dell’aria, ebbene i media, specie quelli occidentali, hanno fatto circolare notizie denigratorie in merito alle prestazioni del Pechino-Lhasa Express, enfatizzandone i minimi inconvenienti di arredamento e stile delle carrozze.
Negli USA, dove il treno negli anni della corsa all’Ovest dei pionieri contribuí allo sviluppo della storia e dell’economia nord-americana, correndo per montagne e praterie, sfidando ogni avversità ambientale, ebbene ha dovuto cedere negli anni e in maniera quasi assoluta il posto all’aereo, il che sarebbe ragionevole e giustificabile in termini di distanza e tempi di percorrenza, ma si è per contro incentivato l’uso di grandi camper e caravan sia per il turismo che per il trasporto sociale. Vaste aree sono state attrezzate per ospitare veri e propri insediamenti temporanei per brevi soste e per permanenze di lunga durata, e finanche per stanziamenti definitivi. Noi europei sappiamo poco di questi fenomeni sociali dei cittadini americani se non quanto ci viene fatto vedere dalle pellicole e quanto abbiamo letto nei libri di Kerouac e altri che hanno trattato il modo di vivere USA on the road.
In ogni caso, il petrolio è il vero protagonista di queste esistenze nomadi e dei traffici automobilistici sulle grandi distanze. Nel deserto dell’outback mancano chiese e ospedali, ma le pompe di benzina con annessi spaccio alimentare, drugstore e spesso sala giochi, marcano l’aridità lunare del paesaggio. E l’odore del gas fuoriuscente dai distributori si mischia a quello della sabbia portata dal vento, degli pneumatici stridenti dei lunghi e giganteschi camion in transito veloce o in manovra sul piazzale di parcheggio. Si respira ovunque e comunque petrolio, il grande spirito ctonio che ha sconfitto gli dèi celesti viventi di umori stellari, di essenze eteree che infondevano la vita. Questo feticcio la sopprime. Ma non riesce a smaltire le migliaia – forse, a vedere le immagini fornite dal web, milioni – di vetture abbandonate, soprattutto nuove invendute, che non possono neanche essere donate o sottoprezzate per evitare il dumping con veicoli uscenti dalla catena di montaggio. Insomma un fardello da maledizione biblica che non colpisce solo gli USA, dove i carapaci delle auto ripudiate o invendute ingombrano il deserto del Nevada e della California, immagini allucinanti che competono con quelle degli uragani e degli incendi, sempre piú ricorrenti. Ma se gli USA piangono, le altre nazioni ipermotorizzate del pianeta non hanno motivi per ridere. Su scala ridotta, i cimiteri di auto usate e invendute sono ovunque, a Pietroburgo come a Nairobi, denunciando un flop globale, causato dal culto del Kaos, il dio petrolio.
Una divinità esigente sacrifici cruenti per gli eccessi consumistici che lasciano, nei van-dumping americani e negli sfasci urbani un po’ ovunque nel mondo, carcasse e scorie metalliche, Queste, insieme ai residui di plastiche indistruttibili che formano il gyre, il vorticante pack semisommerso del Pacifico, covano gli incubi apocalittici di una civiltà che, non riuscendo a vivere, creare e muoversi usando le forze eteriche perenni, è costretta a bruciare, annullandola, la materia, vivente o inerte che sia, tuttavia esauribile e non rinnovabile. L’energia perenne, inesauribile, deriva da onde e vibrazioni, mentre il motore a scoppio funziona mediante percussioni, ustioni, ablazioni. Se mai l’umanità intendesse veramente e sinceramente prendere il percorso virtuoso della civiltà che aggiunge e non toglie valori al patrimonio naturale ricevuto in comodato d’uso dalle Gerarchie, questa è la soluzione, questa la filosofia, la disponibilità animica, la Via. Mentre l’anno 2019 si chiudeva, i missili solcavano i cieli di una regione del mondo per colpire obiettivi militari, uccidere vite, avere ragione del nemico. Follie che illudono l’uomo da millenni. Non esistono soluzioni finali, oltre quella attivata giorno dopo giorno per aggiungere vita alla vita. I missili sparati emettono un sibilo strano, come un lamento. Deriva dalla combustione del carburante che attiva le turbine, una miscela certamente segreta, che allunga la gittata. Per distinguerla dalla volgare benzina, la chiamano propellente: è il bruto petrolio, in ghingheri però. Un rito, la guerra, che osserva da sempre le stesse procedure, quasi un lugubre gioco di ruolo: mentre i razzi centrano gli obiettivi, provocando vittime e danni, soddisfatto, il petroliere gongola.
Leonida I. Elliot