A parole e con le migliori intenzioni, siamo tutti dei sinceri democratici. La democrazia, come forma di gestione sociale è un’etica perseguita dall’umanità, da tempo immemorabile. La nazione che piú incarna oggi gli ideali democratici è rappresentata dagli Stati Uniti. Eppure, lo storico John Galbraith, nel suo L’età dell’incertezza, osserva che: «l’annuale migrazione estiva di decine di migliaia di americani risolutamente democratici, in viaggio per ammirare le meraviglie del Mondo, si concentra in modo esclusivo sui monumemti eretti dal dispotismo: Roma, Persepoli, Angkor, Costantinopoli, Parigi, Versailles, San Pietroburgo, Vienna». È la parata del potere assoluto, una iattura se incarnato da regimi guerrafondai e predatori, ma un dono del cielo se a governare è Pietro il Grande a San Pietroburgo (1672-1725), lo zar che fece della città alla foce della Neva un gioiello urbanistico, o da Akbar il Grande (1542-1605), che costruí la città di Fatehpur Sikri, per sciogliere il voto fatto al santo eremita Salim Chishti, al cui intervento miracoloso doveva la nascita dell’erede, Jahangir, cui venne dato il nome del santo anacoreta, Salim.
Costruita con arenaria rosa, sorse, nel giro di un anno, una città fantastica. I visitatori che venivano dall’Europa potevano ammirare la capitale del regno di Akbar, una città che nulla aveva da invidiare a Londra per l’eleganza del palazzo imperiale e degli edifici pubblici. Il prodigio durò quattordici anni. Un bel giorno, inspiegabilmente, Akbar e la sua corte, i dignitari, l’esercito, lo abbandonarono, si trasferirono, sparendo nel deserto del Rajasthan con l’intera popolazione. Nasceva il mito-mistero di Fatekpur Sirki, definita la città fantasma meglio conservata. Chi la visita oggi, può infatti ammirare, come fossero ancora abitate, le case private, e intorno i negozi, la zecca, il tesoro, il caravanserraglio, e al centro il maestoso palazzo con gli alti edifici rosati. L’aria pulita e secca del deserto ha dato alla pietra la tenera consistenza del legno. Quasi a rivelarne la cedevolezza, una frase sul Portale della Vittoria, ammonisce: «Il mondo è un ponte, passaci sopra ma non costruirvi».
A 38 chilometri, il Taj Mahal di Agra, splendido intarsio di candido marmo e pietre dure, dedicato dall’imperatore moghul Shah Jahan alla memoria dell’amatissima moglie Mumtāz.
I devoti che visitano l’eremo del santo Shaikh Salim, per chiedere grazie annodano cordicelle intrecciate alle grate che proteggono la sua. Una delle spiegazioni date dagli esperti per l’improvviso abbandono di Fatehpur Sikri da parte di Akbar e della popolazione, è che si verificò, per moti sismici, un subitaneo, imprevedibile prosciugamento delle risorse idriche della regione. Oggi sappiamo, per piú evoluti monitoraggi del suolo, che il deserto del Rajasthan copre una delle più vaste e profonde falde acquifere del mondo. Acqua purissima, fresca, inesauribile, che è tornata a riempire le ampie vasche dell’antica reggia.
Elideo Tolliani