Nel senso che i testi sacri, cui l’umanità, quale che sia la religione praticata nel modo proprio di ciascun popolo e gruppo etnico, attribuisce da millenni la divina volontà, vanno interpretati equamente. Soprattutto, non forzandone il significato a proprio uso e consumo, per un vile, egoistico tornaconto.
Molte volte, nella storia dell’umanità, è risuonato il grido: «Dio lo vuole!» o anche «Dio è con noi», aggregando la divinità in imprese offensive e predatorie, col pretesto che esse avvenivano non per la volontà e il tornaconto di chi le promuoveva, ma per difendere ideali e princípi come dettati dall’Alto. Il «Non nobis domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam» dei Templari è l’eccezione alla regola, anche se, alla fine, scorreva lo stesso sangue umano a stabilire il torto o la ragione di una causa. Un prezzo troppo alto il sangue sparso perché una causa, quale che sia, solleciti l’uomo al divino. Dio infatti vuole che l’uomo lotti per promuovere e difendere la vita: «Crescete e moltiplicatevi» esortò. Il comandamento, per vizio umano, si presta all’equivoco. Normalmente si legge il detto divino nel modo che fa comodo ai libertini. «Hai visto – dicono – è Dio stesso che vuole il sesso libero: serve a incrementare il numero dei viventi. È sacro».
Forse, ma allora il buon credente deve ottemperare anche al primo dato dell’esortazione divina, ovvero far seguire all’atto la moltiplicazione carnale, senza sopprimere la vita nel grembo con la facilità che oggi è diventata un diritto, e con la dedizione poi a crescere il frutto che ne deriva in maniera degna e sana, senza scaricarlo in carne, ossa e gemiti d’abbandono, in uno dei reparti di neonatologia degli ospedali pubblici.
Questi hanno sostituito oggi le antiche ruote dei trovatelli, di cui una tuttora visibile a Roma, al Santo Spirito, Lungotevere in Sassia, create per lenire l’umana disperazione, lo smarrimento per una colpa che la rigida morale dei tempi rendeva inemendabile, ma che l’etica di quelli attuali, per eccesso di relativismo di coscienza, assegna al godimento dei diritti socio-naturali, tra cui primeggia il piacere e la “pursuit of happyness”, verbo libertario dell’Occidente, come scritto sulla Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. In questa ricerca della felicità ad ogni costo, al Sant’Orsola di Bologna, ogni anno, alcuni bambini vengono partoriti e abbandonati senza essere riconosciuti dai genitori. Al momento del distacco, riferiscono gli addetti al reparto di neonatologia, il bambino avverte il rifiuto, l’abbandono che lo penalizza e lo esclude, e piange in modo riconoscibile, diverso.
Il trovatello abbandonato alla ruota degli esposti di chiese e conventi poteva considerarsi fortunato rispetto a quelli che tuttora vengono abbandonati nei cassonetti o gettati a mo’ di stracci in forre e canali alla mercé del caso. Lui, l’esposto, sarebbe vissuto, e se la fortuna l’assisteva, sarebbe magari finito in una famiglia ricca e potente ma con difficoltà a procreare, che segretamente lo assumeva come frutto del proprio lignaggio. Il comandamento divino di crescere e moltiplicarsi veniva, in tal modo, osservato.
Al fine creazionale, la fusione dei due in un solo essere deve coinvolgere corpo, anima e Spirito. Questo fu rivelato all’uomo, che lo ha poi dimenticato. Quanto avanzata sia la dimenticanza, e forse ignoranza, del mistero che presiede a tale fusione, se n’è avuta prova al recente Festival della Canzone di Sanremo. La kermesse canora, trasmessa in mondovisione, sembrava languire tra maldestre declinazioni goliardiche dissacratorie, come la scimmiottatura della messa cattolica dell’apertura (la dissacrazione sembra riguardare in esclusiva la Chiesa di Roma, quasi fosse l’unica religione meritevole di critiche e oltraggi) e provocazioni ed effusioni plurigender. Per rinfocolare gli entusiasmi del pubblico si è rievocato il canto vintage, che ha svegliato gli animi e ha riportato un po’ di melodia in tante dissonanze.
Ma non si poteva indulgere a lungo nell’Amarcord. Occorreva riportare ad un presente spregiudicato e sulfureo il tono della kermesse, e per questo occorreva un diavoletto faustiano, un giullare di tutto rispetto: Roberto Benigni. Il quale ha ben risposto alle aspettative dell’ingaggio, con un commento esegetico di uno dei pilastri della letteratura sacra: il Cantico dei Cantici, dalla Bibbia, Vecchio Testamento.
Attraverso la lettura dei versi del poema, un osanna alla bellezza muliebre e alla vena di desiderio che essa suscita nell’uomo amante, Benigni intreccia allegorie di puro erotismo. In effetti, le immagini evocate dai versi del poema, di autore e datazione incerti, non lesinano in fantasie e seduzioni carnali, pur se sempre finora interpretate come simboliche, ma l’iperbole interpretativa del malizioso attore descrive il Cantico come esortazione divina all’amore in ogni sua declinazione e ampiezza esecutiva. Il lettore infervorato è giunto a suggerire che tutta la platea dell’Ariston, in obbedienza al dettato celeste, si sbrigliasse quindi in un disinibito, promiscuo e collettivo scambio di effusioni amorose. Imbarazzati applausi hanno sancito il flop di uno dei tanti, maldestri tentativi di dissacrazione che sembrano essere un impegno da perseguire in ogni possibile occasione celebrativa.
E del resto, come irritarsi se l’epoca mercantile che stiamo vivendo globalmente consiglia di appiattire tutto, amore compreso, nella profittevole corsa al piacere e al profitto, facce della stessa moneta, costi quel che costi, sciupando il sublime di cui l’uomo carnale è portatore? Se l’amore entra nel gioco della dissacrazione, crea il malinteso uomo-divinità, per cui tutto è lecito avendo il trasgressore una sorta di avallo, di complice beneplacito dall’alto. E non contano piú i dettami del Decalogo che ordinano di non fornicare, di non rubare l’altrui purezza e innocenza.
La Scienza dello Spirito affronta il dilemma circa la natura dell’amore, rivelando per scritto e parola dei Maestri, il mistero delle forze occulte, delle energie psicofisiche da cui il rapporto sentimentale, ancor piú carnale, tra due esseri trae lo slancio vitale. È la presenza vigile del cuore ad avere la funzione di temperare l’attrazione fisica dell’incontro, dovuto a un evento karmico di comunanza tra due entità animiche che si ritrovano.
Nel suo Graal – Saggio sul Mistero del Sacro Amore, al capitolo “Il potere della luce e del fuoco. Kundalini” Scaligero scrive: «Il prodotto della forza inversa, o dello Spirito che si fa brama, è il pensiero riflesso: l’inversione della luce che, divenendo conoscenza, risponde a verità unicamente riguardo al peso e alla misura delle cose, al loro apparire. Risalire dal pensiero riflesso alla sua luce, ossia dalla parvenza alla realtà della libertà, significa ripercorrere a ritroso il sentiero dell’egoismo e della brama. Si può capire come un simile compito, malgrado la linearità della sua logica, non sia stato piú compreso, in particolare da coloro ai quali è possibile sul piano riflesso codificare speculativamente le forme della parvenza e della brama. Ma non v’è problema umano che non rimandi a un simile compito. Risalire dal riflesso alla luce, significa ritrovare una corrente cosmica di vita, d’illimitata profondità, che limita se stessa nell’anima umana, riflettendosi nell’organo cerebrale come pensiero. Tale vita di luce, nella sua impersonalità, è il tessuto dell’amore umano. Chi segue la Via della Iniziazione, ritrovando la luce vivente del pensiero, percepisce il suo scaturire dal centro fluidico del cuore e può riconoscere il compimento dell’opera nella possibilità di attuare l’identità con tale centro. Intravvede la via del Sacro Amore, come superamento della barriera tra la vita e la luce, che egli accoglie come corrente del pensiero liberato, e la sorgente di tale vita, che è il cuore. La barriera è il sesso. La distinzione tra la luce di vita del pensiero e la sorgente della sua forza, che si ravvisa nel cuore, è basilare. La vita della luce è congiunta con il cuore, ove si cela una piú profonda forza, la corrente cosmica dell’Io superiore. …Dal sesso giunge la conseguenza profonda dell’alterazione come fuoco impuro, possibile materia di magia solare per chi conosca la chiave dell’alterazione adombrata nella simbologia del Graal, nei segni della Lancia e della Coppa, alludenti all’ardimento di Parsifal per la restituzione del Principio della Luce. Tale restituzione si attua mediante la purificazione del fuoco impuro: non del sesso, ma della volontà cosciente. Lo sperimentatore che mediante il sesso tende ad aprirsi a tale fuoco impuro, parte dall’ingenuo presupposto di poterne ritrovare la sorgente: donde i diversi tentativi di magia sessuale. L’equivoco dei quali consiste nel sollecitare dal sesso forze sottili che, mediante il rapporto implicito alla sollecitazione, asserviscono ancor piú colui che si apre ad esse. ..In realtà, il Serpente non è il fuoco della kundalini, ma il simbolo della sua facies sessuale, rispetto all’uomo posseduto dalla brama: il potere serpentino è il potere della brama, ossia un potere già inverso. È potere in quanto domina l’uomo, non in quanto sia un potere in sé: domina l’uomo che crede dover tendere ad esso e non alla forza di cui esso impedisce la percezione. …Il Serpe obbedisce soltanto alla forza che l’ha soggiogato e ne ha delimitato il potere. Tale forza scaturisce dal centro del cuore: essa può essere sperimentata grazie a un tipo di azione interiore cui viene alluso nella serie dei momenti dell’impresa del Graal. …Chi giunge presso la Soglia del Mondo Spirituale, apprende che varcare la Soglia e affrontare radicalmente la forza dell’eros sono un identico compito. Si è chiarito come, a questo punto, l’ulteriore cammino non sia la magia del sesso, bensí la via del Sacro Amore. La corrente di luce del pensiero si continua nella vita della luce: questa vita della luce nasce fredda nella sua incorporea purità. Esige non essere afferrata dal calore dei sensi, per poter essa restituire il calore metafisico ai sensi. Diviene in tal modo potere di resurrezione del sentire, che pone fine all’inganno di Lucifero, della luce riflessa, dei sentimenti fluttuanti e ingannevoli».
Non si può certo chiedere tanto a un evento canoro, basterebbe però ridare la melodia e la cantabilità alle opere presentate in competizione. La musica e il canto, se ispirati, hanno il potere di sanare il cuore. E la stanca umanità potrebbe ritrovare il francescano Cantico delle Creature e fare finalmente pace con l’Eterno, che è tanto un Buon Padre ma non ama essere frainteso, o peggio coinvolto nei nostri dubbi affari quale avallante. Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto. Ma non citofonate. Lui, onnisciente, sa bene chi siete, cosa volete e quale pena segreta vi debba alleviare.
Teofilo Diluvi