In fila davanti al supermercato, con mascherina antivirus e autodichiarazione presa dal web per notificare, a un eventuale controllo di polizia, scopo e tempi di uscita da casa. La gente è ragionevolmente nervosa e irritabile. Il coronavirus avrebbe dovuto invertire la cifra distintiva del suo brevetto, il 19 in 91. Al caso, la smorfia napoletana recita: «La paura fa 90, ma chi se la piglia fa novantuno». La signora di mezza età che mi precede nella coda, a un certo punto si volta: «Non si avvicini troppo, rispetti il metro di distanza!» Nei suoi occhi sgranati la luce dei cavernicoli insidiati da fiere e predoni. Come avercela con lei e con gli altri accodati? Tutti spinti da un battage h 24 dei media a vedere nel Covid 19 l’armageddon, la resa finale di una civiltà arrivata alla frutta, l’avverarsi di tutte le profezie, dai Maya al Ragno Nero, senza dimenticare la separazione del grano dal loglio, come scrisse Matteo. Ma, parodiando il sommo poeta, oltre ogni giudizio, affermiamo: «Piú che il terror poté il digiuno». Ed ecco tutti in fila guardinga, sperando che oltre agli alimentari indispensabili, anche amuchina, gel e carta igienica non manchino sugli scaffali. Nella vigile attesa, la mente lavora per trovare di che intrattenerci e trattenerci dal dare forfait. Emergono ricordi dal passato, tornano volti e voci. Cosí è ritornato Mr. Rubux.
Dave, per gli amici. Era India, a Mumbai, allora ancora Bombay, la “buona baia” dei Portoghesi, grandi navigatori ma pessimi colonizzatori. Oggi, con Rolando, assurti all’olimpo del calcio, ma questa è un’altra storia e ci porterebbe fuori dal luogo e dall’argomento: il virus, Roma, il mondo. visto che ormai il flagello pestilenziale ha esteso le sue branche urbi et orbi. Mr. Rubux era parsi, bigotto, appartenente a una delle piú ricche e altolocate famiglie della comunità mazdea, di origine persiana.
Quelli, per chiarire, che non seppellisco i morti ma li espongono sulle Torri del Silenzio, specie di teocalli a scala ridotta, sulle quali calano uccelli rapaci, che divorandone i corpi liberano lo Spirito, che viene cosí assunto nel paradiso mazdaico. Dave però, vivo e vegeto, abitava nella villa di famiglia a Malabar Hill, una collina tipo Montmartre, che divide la brulicante promiscua metropoli dall’oceano. Laureato in medicina, era un ispettore dell’Ufficio delle Risorse Idriche, incaricato di eseguire sopraluoghi, per decidere se autorizzare la fornitura di acqua potabile alle imprese manifatturiere del cotone che stavano sorgendo, sulla spinta di un ritrovato benessere, nell’area desertica a occidente della città. Una di queste, la Kilnani Textile, che aveva appena ultimato la costruzione di capannoni con macchinari e uffici per la produzione di tessuti di pregio e tovagliati di lusso, richiedeva l’allaccio del suo stabilimento alla rete pubblica.
E cosí, con l’auto di servizio, ufficializzato da un baffuto autista con kepí e divisa, Rubux, un mattino di marzo, attraversò il suburbio degli slum, l’open space con la terra secca, arida, pietrificata quasi, in attesa dei tardivi monsoni, tra mulinelli di polvere rossiccia e stridori di corvi. Si presentò ai cancelli della società e dopo i convenevoli d’uso, accompagnato da un dirigente, si mise a ispezionare gli impianti, le apparecchiature, gli uffici, poi il sistema di tubazioni e condutture che dall’interno del capannone si diramavano verso l’esterno e sboccavano in un punto dove si sarebbero poi collegati alle tubazioni provenienti dalla rete pubblica. Tutto era stato impeccabilmente predisposto da Kilnani.
Un neo però in tanta eccellenza: un via vai di gente male in arnese, disagiata, forse malata, che dal crudo deserto si dirigeva a un edificio seminascosto tra cespugli e palmizi, cosí diversi dalla zona brulla tutt’intorno. Rubux volle indagare sul traffico di quelle persone e sul piccolo edificio.
Accoglieva infatti, gli spiegarono, i lebbrosi del circondario, Le Missionarie dell’Immacolata, ordine religioso cristiano, sull’esempio di Madre Teresa e di Gandhi, sanavano i corpi e curavano le anime. E quale migliore medicina per gli uni e le altre di un lavoro creativo e produttore di reddito? Era il sistema delle Cottage Industries ideate da Gandhi, che prevedeva l’impiego di soli macchinari tradizionali, come telai a mano, arcolai, macchine per cucire a pedali, e l’impiego di tinture naturali per la decorazione delle stoffe.
Incuriosito, una volta terminata l’ispezione alla Kilnani, Rubux chiese di visitare il lebbrosario e parlare con il responsabile del Centro missionario. Si trovò di fronte una donna piccola, volitiva, gli occhi chiari, i capelli sottili che fuoriuscivano da una cuffia bianca: una suora, e straniera per giunta, suor Bertilla, italiana. Ma non fu il solo colpo a sorpresa che ricevette l’ispettore delle acque: altre religiose collaboravano con suor Bertilla, suore francesi, tedesche e inglesi. Le persone affette dal morbo, sedato ma non vinto, esibivano le loro mortificazioni carnali senza imbarazzo, sorridendo persino al visitatore. Il quale, di stupore in stupore, apprendeva, tra i molti disagi, che l’acqua attinta dal piccolo stagno che formava una rara oasi, nel periodo secco, da dicembre a maggio, bastava appena, e veniva usata da tutti indistintamente, senza alcuna precauzione.
Nella relazione che Rubux stilò e consegnò alle autorità comunali di Bombay si raccomandava un rapido allaccio alla rete pubblica, gratuito, essendo il Vimala Dermatological Centre una “incredibile istituzione umanitaria” che, come aveva detto la direttrice, si reggeva sulla buona volontà umana e sulla provvidenza divina. Rubux volle essere l’una e l’altra: si convertí al cristianesimo e con amici fondò l’associazione “Bacia il lebbroso”, per gli aderenti e la raccolta fondi. La conversione di Rubux, un parsi indiano e quindi sensibile ai princípi religiosi indú oltre che a quelli zoroastriani, si colloca nel discrimine tra karma e dharma, ossia il nascere e divenire lebbroso a sconto di peccati commessi nella vita precedente (karma), contro la legge divina o naturale (dharma). Non c’è altro modo per riscattarsi e ritornare alla condizione animica senza macchia dell’origine, mentre per la morale cristiana il riscatto può avvenire con il perdono, sia da parte umana sia ad opera del Cristo. La parte umana è il “bacio al lebbroso”, l’acme del sacrificio personale, fuori da ogni decalogo religioso e convenienza sociale e igienica. Come lavarsi nella stessa acqua infetta del malato.
Ma senza voler correre tanto rischio, basterebbe non inveire contro chi si è avvicinato a ottanta centimetri invece che a un metro nella fila del supermercato. Evidentemente, l’uso cristiano si è perso negli anni, per un istinto di conservazione che, dopo la mascherina, ci imporrà scafandro e catafratto.
Ovviamente, non si può pretendere dall’uomo della strada, in questo caso da una donna, di possedere il coraggio di Fra’ Cristoforo, che si aggirava tra gli appestati di Milano confessando e consolando, correndo il rischio del contagio mortale. La grande maggioranza delle persone, di buoni propositi ma di scarso coraggio, reagisce come don Abbondio: «Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». Sarebbe quindi inutile, e provocatorio anche, raccontare alla umanamente pavida signora la storia delle suore di Bombay, e della loro eroica promiscuità con i lebbrosi. Anche perché, a detta degli immancabili esperti, il coronavirus, per la sua conformazione tipologica, sfugge a ogni catalogazione scientifica e viene fatto passare per una specie di bizzarra e sconosciuta mostruosità.
Cosí lo descrive un giornale: «Il Coronavirus è l’agente patogeno piú contagioso, piú veloce, piú furbo, insidioso e resistente che abbiamo mai conosciuto in questo secolo, un virus parassita e famelico che cerca cellule respiratorie viventi da infettare, alle quali si attacca, nelle quali si introduce, ne sfrutta il metabolismo, moltiplicandosi nel loro interno fino a farle scoppiare, diffondendo cosí tutto intorno i suoi virioni, quei derivati virali in embrione pronti ad invadere altre cellule sane, per approfondirsi silenziosi, infiltrarsi e raggiungere il profondo dei polmoni, e replicare all’infinito il loro malefico ciclo vitale, impedendo lo scambio di ossigeno e facendo morire soffocate le sue vittime». E cosí via, terrrorizzando.
Ed eccoci lontani dalla redazione di un quotidiano del libero pensare: siamo nella cabina di comando dell’astronave Enterprise, e il pezzo di cronaca fosca è stato scritto non da una giornalista al soldo del potere turbocapitalista, per dirla con Diego Fusaro, ma dal sempre efficiente Scott, che rapporta sulla presenza nell’atmosfera del pianeta X4783, dal quale è appena teleritornato, di agenti virali sconosciuti ma con un elevato quoziente di pericolosità per il sistema cellulare umano. Kirk prende nota e ordina comunque lo sbarco, suggerendo al dottor Mackoy di tenere pronta la borsa con gli antidoti del caso, mentre Spock controlla le connessioni con i tricorder di chi deve sbarcare.
Se poi non gradite la navigazione laggiú nello spazio profondo dove nessuno è mai stato, potete entrare nel trailer di “Incontri ravvicinati”, e tentare di raggiungere l’area dove sapete per certo che avverrà l’atterraggio dell’astronave madre, oltre la Torre del Diavolo. Ma il potere dominante non vuole che avvenga il contatto libero e spontaneo tra terrestri e alieni. Se ciò avvenisse, salterebbe nel giro di poche ore il predominio esclusivo e inattaccabile che esso potere ha stabilito sul mondo. Borsa, armi di distruzione di massa, modificazioni genetiche, scienza e arte deviate, controllo delle masse stile Grande Fratello. Tutto cadrebbe nelle mani dei nuovi arrivati, che da molti segni si sanno amanti del bello e del buono. Ecco allora inscenare la finta epidemia zoofila, con i corpi di ovini, bovini , suini e quant’altro, esanimi giacere su tutto il territorio circostante il luogo dell’incontro. Chi vi si avventurasse, andrebbe incontro alla medesima sorte del bestiame, ucciso da agenti virali sconosciuti, dissolti nell’atmosfera. È necessario usare apposite maschere per impedire che tali agenti entrino nel circuito respiratorio umano bloccandolo, come è purtroppo capitato agli animali degli allevamenti all’aperto.
Per capire con quanta serietà, e senso dell’umano, l’odierno pezzo terrificante sia stato scritto, il quotidiano, riportando dei sacerdoti che a Bergamo si sono sacrificati per assistere i contagiati, sforna il titolo: “Paradiso anticipato per decine di preti”. E nel testo: “Domenica a Bergamo ne sono spirati, coi polmoni secchi, già sette”. Cosí, come il resoconto crudo, aritmetico di una strage qualunque di animali.
Nell’episodio del film di Spielberg, come nel resoconto giornalistico, si avverte, con registri diversi di pathos visivo e immaginativo, una uguale intenzione di suscitare orrore, e a rimorchio di questo lo shock, il terrore che la brutta cosa possa incrociare il nostro percorso esistenziale. Le vistose maschere antigas che la polizia fa indossare agli incauti che hanno tentato di portarsi sul luogo dell’imminente atterraggio dell’astronave madre, l’espressione “polmoni secchi” usata nel reportage del giornale per i sacerdoti morti a Bergamo, hanno il medesimo intento orrorifico ed effetto destabilizzante della radiografia ad alta definizione, riproducente un polmone devastato dal coronavirus, mostrata alla tv da uno dei luminari della medicina che si sono avvicendati sul piccolo schermo, ciascuno con la propria teoria cause e natura del morbo, ignote ed elusive ai piú, e sui rimedi per vincerlo. Acqua e sapone sono risultati alla fine i piú idonei, nell’attesa del supervaccino.
Secondo gli esperti, il morbo è nato in Cina, nella città di Wuhan, importante nodo di smistamento della linea ferroviaria denominata “Via della Seta”, che dal 21 aprile 2017 collega Shanghai a Rotterdam e poi giú, fino a Bergamo, trasportando in ottanta capienti container merci e prodotti di ogni genere. Il viaggio attraverso il Kazakisthan e l’Ungheria dura 15 giorni, rispetto al viaggio per mare che ne dura 40, e contro gli anni che impiegò Marco Polo a raggiungere a piedi e con mezzi di fortuna il favoloso Katai.
Tra le tesi complottiste che girano sul web in questo periodo, c’è quella che parla dei potentati finanziari e commerciali angloamericani e satelliti, che messi in allarme dall’intraprendenza dei discendenti di Kublai Khan, avrebbero ordito la congiura, in un gioco sotterraneo e senza esclusione di colpi, per arginare l’invadenza globale dei cinesi. Il Coronavirus sarebbe stato l’arma occulta: una fialetta stappata brevi manu a Wuhan, e il mondo sarebbe caduto preda di questo subdolo patogeno, che si finge serto floreale al microscopio. Una spiegazione pseudoscientifica che ha fatto comodo a tutti: ai laboratori di ricerca che hanno vantato a gara la scoperta del Covid 19, leviatano da Frankenstein, che ha messo in quarantena il mondo intero; ai moralisti e ai dietologi, che hanno addebitato la causa del virus alla mania dei cinesi di pasteggiare a nidi di rondine, spiedini di pipistrello e pinne di pescecane. Il coronavirus non sembra però venire da aberrazioni e perversioni alimentari o da altre pratiche deviate. Il bouquet virale è un segnale d’allarme del punto sine qua non cui è giunto l’Io dell’uomo, e non solo cinese. Un mea culpa convinto dovrebbe spingere alla conversione tutti i popoli della Terra. La mimesi gentile del coronavirus, rosso fuoco, segnala l’ingannevole presenza di entità che di fuoco vivono, inducendo, giorno dopo giorno, l’uomo a bruciare, con passioni smodate, il tesoro del proprio Io.
In Evoluzione divina, riferendo il pensiero di Rudolf Steiner, Edouard Schuré parla del fuoco: «C’è una correlazione intima e costante fra le passioni che travagliano il mondo dei viventi e le forze che covano nelle viscere della Terra. Il Principio-fuoco, il fuoco creatore racchiuso e condensato in uno degli strati della Terra …non è un elemento cosciente, ma un elemento passionale di estrema vitalità e di formidabile energia, che risponde magneticamente agli impulsi animali ed umani con violenti contraccolpi. Ecco l’elemento luciferico che la Terra nasconde sotto altri gusci …corrispondenza astrale della vita animica del pianeta con i suoi abitanti».
L’uomo può uscirne. Ce lo conferma Massimo Scaligero nel suo Guarire con il pensiero parlando della genesi del Male: «L’uomo è un malato in via di guarigione: il suo male è parimenti dell’anima e del corpo; non v’è male psichico che non divenga corporeo, non v’è male corporeo che non divenga psichico. …Le forze che guariscono il corpo sono le stesse che possono guarire l’anima, ma non posseggono nell’anima la stessa autonomia di cui dispongono nella corporeità. Questa autonomia delle forze nell’anima può tuttavia attuarsi come conquista superiore della coscienza. L’arte del guarire è anzitutto l’arte di guarire dal male dell’anima. Guarito nell’anima, il male è guarito nel corpo».
Il coronavirus potrebbe essere il segno che tale guarigione è in atto. Dopo sarà il tempo nuovo.
Leonida I. Elliot