Otto giorni fa vi ho mostrato quello che oggi l’uomo moderno può trovare in seno alla teosofia. Prima che continui quel ciclo di conferenze, occorre parlare della questione specifica della teosofia e del suo rapporto con i grandi compiti culturali attuali, con le correnti spirituali importanti del nostro tempo. Oggi, mi piacerebbe anche trattare della questione tanto importante riguardo al fatto se la teosofia sia o non sia scientifica.
È in effetti il rimprovero che colpisce piú gravemente il movimento teosofico in quest’epoca in cui la scienza detiene la piú grande autorità immaginabile, e forse perfino la sola vera autorità. In un’epoca di questo genere, un tale equivoco è sicuramente molto pesante. Ciò deve dunque toccare particolarmente il teosofo quando da parte della scienza, e specialmente da parte di coloro che vogliono creare per il mondo e per la vita una forma su basi scientifiche, ci viene fatto costantemente il rimprovero che la teosofia non sia scientifica. Che oggi la maggior parte degli uomini cerchi effettivamente una tale autorità della scienza, possiamo constatarlo come fenomeno degli ultimi anni, e questo deve essere per noi un sintomo degli interessi del nostro tempo. L’argomento, che qui sfiorerò appena, sarà trattato in dettaglio nella conferenza sulla scienza. Vorrei però attirare l’attenzione sulla sensazione prodotta da Gli enigmi dell’universo di Haeckel, per mostrare che proprio le teorie di questo libro permettono a chi come me ne riconosce il valore, di scoprire quanto vi sia di interessante. Questo libro vuole edificare un’immagine completa del mondo, avendo per base le scienze naturali. Ne sono stati venduti piú di diecimila esemplari; in seguito fu pubblicata un’edizione popolare a buon mercato a 1 marco, e in pochi anni, dopo la sua uscita, di questa edizione sono stati venduti piú di centomila esemplari. Il libro è tradotto in quasi tutte le lingue importanti della cultura. Cosa che però mi sembra meno importante di ciò che sto per dirvi. Haeckel ha ricevuto piú di cinquemila lettere concernenti alcune questioni scientifiche. Le lettere contengono quasi tutte le stesse domande, e vediamo quindi che questo indica un bisogno importante. Il libro Le meraviglie della vita è un complemento a Gli enigmi dell’universo. Nell’introduzione, Haeckel riporta quello che ho appena detto. Potete anche trovare in questo libro il rimprovero fatto alla teosofia, ovvero il suo carattere non scientifico. L’argomento è dunque bollente.
Per questa ragione dobbiamo far luce su ogni posizione del nostro movimento spirituale teosofico nei confronti della scienza. Chi dà un’occhiata solo sugli ultimi secoli, non può assolutamente aver chiaro questo soggetto. Bisogna andare molto piú indietro, risalire fino all’origine della conoscenza umana, ad un’epoca che precede di molto la nostra èra, all’alba della conoscenza umana, o almeno di quella che oggi definiamo tale.
Per capire pienamente quanto sia enorme l’opposizione fra la concezione dei problemi scientifici odierni e quell’alba, dobbiamo capire chiaramente che la stessa scienza attuale si dichiara totalmente incapace di rispondere alle grandi domande dell’esistenza.
Nella prefazione di Le meraviglie della vita, troverete piú volte quello che Haeckel ha spesso detto, difende cioè il punto di vista della scienza riguardo alla superstizione e alla rivelazione del Medio Evo. Non esiste alcuna via di mezzo fra la verità e la superstizione, è possibile solo un “o è cosí… o è cosí”. Egli afferma con questo che quanto ha acquisito sulla base dei suoi studi scientifici è la sola verità, e che tutto quello che hanno prodotto gli altri millenni è errore, superstizione e non scientifico, per la ragione che i ricercatori dei secoli scorsi non sapevano niente delle scoperte del XIX secolo.
Le scienze naturali del nostro tempo si dichiarano ora incapaci di rispondere a certe domande molto precise. Certo, come ho detto nella conferenza precedente, queste scienze naturali tentano di farci risalire a delle epoche remote, vanno alla ricerca di animali e di piante preistoriche e ci fanno tornare indietro fino al momento nel quale ha, secondo loro, avuto origine la vita sulla Terra. Ma le questioni, quelle questioni centrali importanti poste da Du Bois-Raymond e alle quali Haeckel ha tentato di rispondere nel libro Gli enigmi dell’universo, le questioni sull’origine della vita, non trovano alcuna risposta nelle scienze naturali. Certo, il naturalista tenta oggi di dare una risposta a queste domande, in particolare Haeckel ci prova. Mostra come la Terra sia uscita da uno stato di calore liquido, si sia a poco a poco raffreddata, solidificata, come poi si sia potuta formare dell’acqua che si è aggregata, e come siano esistite infine le condizioni per permettere a degli esseri viventi di nascere. Tenta di mostrare come ci si potrebbe rappresentare che, a partire dal non vivente, sia sorto del vivente. Ecco cosa volle opporre a tutte le piú antiche convinzioni: che in tempi remoti il vivente sia sorto dal non-vivente e che tutto quello che dipende dalla vita – dunque ugualmente l’uomo – non sia altro che un prodotto della materia inorganica, che non riposa su altro che quello che abbiamo in fisica e in chimica. Invano Haeckel tenta di dimostrare che l’uomo non sia altro che il risultato di una mirabile dinamica e meccanica dell’organismo umano. Perché adesso arriva la grande questione. Arriviamo al momento in cui il naturalista pensa che sulla nostra Terra ci fossero le condizioni che abbiano permesso al primo essere vivente di uscire dal non vivente.
Allora, nei naturalisti e anche in Haeckel troviamo una confessione: non possiamo assolutamente farci alcuna rappresentazione dello stato in cui è stata una volta la nostra Terra quando la vita apparve su di essa per la prima volta. In quei tempi, non sappiamo com’era costituita la natura esteriore, ed è per questo che ci è impossibile dire come a quell’epoca il non vivente si sia trasformato in vivente.
Parliamo di uno dei gruppi di ricercatori. Ci furono molti adepti nel primo terzo del XIX secolo e ne esistono ancora oggi. Ad esempio, se nei primi tempi, quando si diceva che occorreva capire la vita partendo dalla materia, si fosse domandata la sua opinione al grande scienziato inglese Darwin, lui stesso avrebbe confessato che è impossibile comprendere il vivente partendo dal non vivente. Alla fine della sua vita, con il suo studio di anatomia comparata, anche Huxley ha espresso il principio che noi siamo in effetti inseriti nell’evoluzione universale, perché non ci è possibile altrimenti pensare che quello che vediamo intorno a noi vada verso una evoluzione superiore, e possiamo quindi dichiarare che il regno degli esseri non è chiuso, che dobbiamo elevare i nostri sguardi dagli esseri inferiori fino a quelli superiori, i quali tuttavia non ci sono accessibili, non avendo noi alcun organo dei sensi per farlo. Fra i naturalisti, coloro che avevano una vista penetrante hanno avuto dei pensieri simili, si sono posti le stesse obiezioni.
È interessante che il biologo tedesco William Thierry Preyer, sulla base dei suoi studi che si fondavano sul darwinismo, sia pervenuto a tutt’altre visioni della vita. Il suo punto di vista non è che la vita si sia sviluppata a partire da ciò che è morto, al contrario egli arriva al risultato che una volta, quando la Terra produsse il primo essere vivente della nostra specie, essa non era qualcosa di morto, bensí al contrario un unico essere vivente e che a quell’epoca non esisteva nulla di non vivente sulla nostra Terra. È il non vivente che si è sviluppato a partire dal vivente. Vedete cosí che il darwinista Preyer, per il fatto che considerava la Terra come un grandissimo essere vivente, ha trasformato esattamente nel suo contrario il concetto che difendevano gli altri ricercatori naturalisti. Preyer stimava che tutto avvenne milioni d’anni fa. La nostra Terra era un grande essere vivente, paragonabile ad un organismo animale o umano di oggi. Anche l’uomo di oggi ha in sé del vivente e, apparentemente, del non vivente. Il nostro sistema osseo è in apparenza qualcosa di non vivente. Si è estratto dal vivente in quanto parte morta. Preyer si rappresenta cosí che la Terra è stata un tempo un grande essere vivente che in seguito ha secreto il non vivente, il morto, le pietre, le masse rocciose, come lo scheletro dell’uomo. Con questo, i naturalisti e i filosofi degli ultimi tempi hanno fatto un passo importante. E questo passo deve necessariamente condurre a quello seguente: deve condurre al concetto non soltanto che il non vivente si è sviluppato a partire dal vivente, ma anche che tutto quello che è fisico, sia vivente o no, si è sviluppato a partire da un elemento superiore, lo spirituale. Se seguono la via sulla quale oggi hanno appena cominciato a inoltrarsi, i ricercatori devono arrivare a questo principio: non soltanto il non vivente si è sviluppato dal vivente, ma anche che il vivente si è sviluppato a partire dallo spirituale. In principio c’era lo spirituale, questo ha emesso prima di tutto il vivente e quest’ultimo il non vivente, il morto. Questa non è altro che la base della visione teosofica del mondo.
La visione teosofica del mondo si distingue da quella attuale, materialista e scientifica, in quanto pone lo Spirito come realtà prima e fa dipendere dallo Spirito tutto il resto. Il materialista fa della materia la realtà prima e fa derivare tutto dalla materia. La volta scorsa ho indicato che la stessa teoria dei sensi del secolo scorso mostra la ragione per la quale il naturalista odierno vuole persistere nel suo principio che il vivente può derivare dal non vivente, e che tutto è sprovvisto di Spirito. Ho rinviato al grande principio enunciato per primo dal fisiologo Johannes Müller e da altri. Helmholtz e in seguito Lotze l’hanno formulato nella maniera seguente: il mondo intorno a noi sarebbe oscuro e muto se noi non avessimo gli occhi e le orecchie che trasformano le vibrazioni dell’aria in quello che per noi sono i colori e i suoni. Cosí le scienze naturali ci dicono che tutto quello che vediamo nel mondo fisico intorno a noi dipende da noi.
Se non avessimo occhi e orecchie organizzate in un modo del tutto preciso, non potremmo vedere e sentire il mondo. Il fisiologo può darci le ragioni per le quali l’occhio e l’orecchio si formano in questo modo cosí preciso: ciò deriva dal fatto che noi stessi facciamo parte del mondo fisico grazie ai nostri organi dei sensi. Ora, la teosofia ci mostra i concetti fondamentali di cui parlerò fra otto giorni. Vediamo un oggetto per il fatto che poniamo l’occhio nella maniera corretta in rapporto all’oggetto che vogliamo vedere. Comprendiamo un oggetto per il fatto che abbiamo un’intelligenza e la utilizziamo per configurare le immagini degli oggetti in un’immagine del mondo. Con questo, siamo in grado di farci un’immagine del mondo. La teosofia esprime tutto questo cosí: l’uomo ha la coscienza del mondo fisico.
Dobbiamo tuttavia porre la seguente domanda: l’uomo vive solo entro il mondo fisico? Possiamo spiegarci la questione posta se ci rappresentiamo qualcuno che non ha orecchie: non sentirebbe i suoni emessi dai suoi simili. Potete emettere dei suoni e delle parole, ma senza l’orecchio non percepireste le manifestazioni sonore del mondo fisico esterno. Per prendere coscienza del mondo fisico vi ci vogliono delle orecchie. Ma l’uomo è soltanto costituito di questo genere di manifestazioni fisiche? No, sapete tutti che in seno al corpo nel quale è rinchiuso l’uomo e anche l’animale non esistono solo delle attività fisiche, ma che al contrario nell’essere umano esistono sentimenti, istinti, passioni, desideri, aspirazioni. Questi desideri, aspirazioni, istinti e passioni sono realtà come le funzioni fisiche, le attività fisiche. Esattamente come digerite e parlate, voi sentite, auspicate, desiderate. Digerire e parlare sono manifestazioni fisiche e possiamo percepirle con dei sensi fisici per la nostra coscienza fisica. Perché non possiamo percepire nello stesso modo l’altra realtà che è anch’essa in noi, le aspirazioni, desideri, emozioni del cuore e passioni? Si parla completamente nel senso delle scienze naturali dicendo: non possiamo percepirli perché non abbiamo gli organi dei sensi per farlo.
Ora, la visione del mondo che costituisce la base del movimento teosofico ci mostra precisamente che l’uomo può invece prendere coscienza non soltanto di un mondo fisico, ma anche di un mondo superiore. E se vediamo le manifestazioni di questo mondo superiore, allora le aspirazioni, i desideri, le passioni e gli istinti sono altrettante realtà percepibili quanto lo è la percezione fisica, come il linguaggio è l’espressione fisica di una attività psichica. Si dice allora che si è risvegliata la coscienza di quello che è chiamato mondo astrale. L’uomo è allora davanti a noi in quanto essere di istinto, di desiderio e di passione allo stesso modo in cui è desto in quanto essere fisico e può riflettere le impressioni di luce per il nostro occhio fisico. Ascolterete nel ciclo di conferenze I Concetti fondamentali della Teosofia [Teosofia, O.O. N° 9] come si risveglino questi sensi superiori, come l’uomo possa acquistare la coscienza superiore. L’uomo vive in questo mondo superiore, ma la sua coscienza, in quanto egli è un uomo medio del tempo presente, non è risvegliata per percepire tale mondo superiore.
Esiste poi ancora un terzo mondo, un mondo di pensiero, un mondo di vita spirituale superiore che è al di sopra delle passioni, dei desideri, delle aspirazioni e degli istinti. Questo mondo dei pensieri, il mondo della spiritualità, è ancora meno accessibile alla coscienza fisica. Chi sposa il punto di vista della filosofia moderna, dovrebbe non negare questo mondo dello Spirito puro, ma riflettere che forse all’uomo attuale mancano soltanto gli organi per percepirlo. L’uomo vive anche in questo terzo mondo, pensa in questo mondo, solo che non può percepirlo.
Dobbiamo dunque dirci questo: oggi l’uomo vive in tre mondi. Li chiamiamo mondo fisico, animico e spirituale. Nella consueta terminologia teosofica sono chiamati mondo fisico, astrale e mentale. L’uomo è però cosciente solo del primo, il mondo fisico, e per questa ragione non può pronunciarsi scientificamente che su di esso. Può pronunciarsi sugli altri mondi solo quando in questi mondi diventa altrettanto veggente e cosciente quanto lo è oggi in quello fisico.
Abbiamo cosí nell’uomo davanti a noi un essere vivente composto di tre parti che costituiscono un tutto, fatto di fisico, anima e Spirito, ma egli ha la coscienza di sé solo nel fisico. Ed è quindi anche per questo che chi fa le sue ricerche nel fisico non può risalire con la propria vista oltre ciò che il mondo fisico permette al suo sguardo. Anche allo sguardo del ricercatore munito di tutti i mezzi offerti dalla scienza non si apre altro mondo che quello offerto alla normale vita dei sensi. Anche facendo risalire il suo sguardo a milioni di anni fa sul corso dell’evoluzione della Terra, non può vedere il punto da cui, partendo dall’alba mattutina astrale, che è piú luminosa di qualsiasi altra luce fisica, a poco a poco il fisico si è densificato. Al momento in cui il fisico è scaturito dall’astrale, e ancor prima quello in cui l’astrale è nato dallo spirituale, al momento in cui lo spirituale si è a poco a poco densificato nel vivente e, piú tardi, nel non vivente, a quei momenti può penetrare soltanto l’occhio di colui che è diventato veggente. Di conseguenza, il metodo di ricerca abbandona il ricercatore fisico al punto in cui, diciamo, la materia fisica emette un lampo, quando si è formata a partire dall’animico-spirituale. Accade dunque che il ricercatore fisico arrivi solo fino alla periferia, fino al punto in cui il vivente diventa lo spirituale. Il ricercatore dello Spirito giunge invece ad un passato ancora piú lontano, e per questo si crea un’immagine del mondo ancora piú completa, un’immagine che supera largamente quella che conosce il ricercatore fisico.
Con questo abbiamo mostrato che la visione teosofica del mondo non è necessariamente non scientifica, in quanto ne sorge un’immagine un po’ diversa da quella della ricerca fisica. Ci sono altre esperienze che richiedono però alla base il fatto di essere evoluti sul piano spirituale. Come in una stanza oscura dovete spostarvi e percepire a tentoni, e che quando si illumina la stanza buia nasce tutta un’altra impressione, per il ricercatore dello Spirito, per colui i cui occhi sono aperti, tutto appare nuovo, in una nuova attività, in una nuova luce. Questo ricercatore non è diventato non scientifico per il fatto che la sua esperienza si è arricchita. La logica del teosofo è altrettanto sicura di quella del miglior ricercatore delle scienze naturali. Soltanto, questa logica evolve in un altro campo. È un assurdo errore voler rifiutare di dare alla nostra ricerca il carattere di scienza, senza averla prima esaminata. Noi pensiamo sui piani superiori allo stesso modo in cui il ricercatore materialista pensa sul piano fisico, il che uniforma il metodo di ricerca teosofica e fisica.
Dobbiamo adesso spiegare perché il ricercatore moderno pronuncia questo duro “o è cosí… o è cosí” e rifiuta tutto quello che non è di natura fisica. Il ricercatore teosofo capisce chiaramente perché dev’essere cosí: perché è legato all’evoluzione dell’umanità. Partendo dall’evoluzione, il teosofo è in grado di sapere perché si riconosce l’esclusività dell’autorità alla scienza fisica intelligente, perché il teosofo considera l’evoluzione dell’umanità sotto una luce superiore e perché può seguirla, per cosí dire, in campo spirituale. Quello che oggi si chiama scienza non è in effetti sempre esistito. Esattamente come ogni animale, ogni pianta sono evoluti, anche le generazioni e le razze umane sono evolute, proprio come la stessa vita spirituale. E anche la scienza attuale non è stata sempre allo stesso stadio.
Anch’essa è un prodotto dell’evoluzione. Ma nei tempi piú antichi ci fu anche un certo tipo di vista di cui l’uomo era dotato, anche se non era scientifico in senso moderno. Per questa ragione bisogna riferirsi al tempo in cui cominciarono gli inizi della vita umana.
Tutto è in evoluzione. Milioni di anni fa, il genere umano era piú differente di quello attuale di quanto si possa immaginare. Questa differenza sarà anche evocata nella conferenza “I concetti fondamentali della teosofia”. Il genere umano di oggi è stato preceduto da un altro: quello di Atlantide. Anche Platone ne ha parlato. Quel genere umano non è qualcosa che le scienze naturali possano negare. Esso ha avuto un altro modo di essere, ha vissuto diversamente, ha sviluppato altre forze rispetto all’attuale umanità. Chi vuole avere maggiori dettagli a tale soggetto e su quel genere umano, può trovarli nella mia rivista «Luzifer».
Dopo la scomparsa di quel genere umano, di quella “razza radicale” si svilupparono modi di rappresentazione, di pensare e di guardare simili a quelli attuali. Secondo la concezione teosofica, noi distinguiamo anche all’interno della nostra razza radicale attuale sette sotto-razze, delle quali la nostra è la quinta.
L’umanità attuale si è evoluta lentamente, la vita dello Spirito anche. Se risaliamo alla vita spirituale della prima sotto-razza della nostra razza radicale, essa si presenta del tutto diversamente da quella attuale. Il modo di pensare di quegli uomini era diverso. Era tale che non può essere paragonato al nostro sapere analitico dell’intelligenza di oggi. Era un modo di pensare spirituale, un pensiero che nasceva per intuizione, grazie a una specie d’istinto spirituale, ma queste non sono parole adeguate, piuttosto era un modo spiritualizzato di pensare. Questo modo spiritualizzato di pensare aveva, come in germe, racchiuse armoniosamente in sé tutte le altre attività umane spirituali che oggi stanno una accanto all’altra. Quello che oggi si esprime separatamente sotto forma d’immaginazione creatrice, di pietà religiosa, di sentimento morale e scientifico allo stesso tempo, tutto questo, a quei tempi, formava una sola e stessa cosa. Come tutta la pianta è racchiusa nel seme, in una unità, cosí quello che oggi si esprime in numerose attività spirituali era racchiuso in una sola unità.
L’immaginazione creatrice non era quella che designiamo come irreale. Essa era fecondata dal contenuto spirituale del mondo, cosicché faceva emergere la verità. Non era quella che oggi chiamiamo immaginazione creatrice artistica, era quella che nelle sue rappresentazioni conteneva contemporaneamente la verità. Il sentimento e la volontà etica erano intimamente uniti a quella immaginazione creatrice. L’uomo tutt’intero era un’unità, una cellula spirituale. Possiamo farcene una rappresentazione esteriore se esaminiamo quello che ci è rimasto. Se studiate ciò che anticamente ha prodotto lo Spirito, per esempio i Veda degli antichi indiani, troverete l’arte, la poesia e lo Spirito scorrere come provenienti dalla stessa fonte. A quei tempi la verità, la poesia e il sentimento del dovere provenivano da un centro unico dell’uomo, dall’intuizione comune. Possiamo anche studiare le rappresentazioni che ci sono rimaste storicamente dei templi piú antichi dei druidi e che formano le basi dei nostri, troveremo allora che le costruzioni dei templi, gli allineamenti delle pietre dei druidi riproducono le misure cosmiche dei mondi. Tutto questo ci mostra un’evoluzione anteriore.
Eleviamoci poi alle sotto-razze che seguono. Vediamo allora come le facoltà spirituali si separino, come all’inizio esse si siano estese come i rami di un albero. Vediamo piú tardi, all’epoca caldeo-egiziana, come la scienza dell’astronomia si separi da quella puramente pratica; come un pezzo dopo l’altro si separi da quella che era una visione unitaria per diventare un’attività separata. Nella nostra quinta razza radicale, possiamo allora seguire con lo sguardo una legge molto precisa, vale a dire che l’uomo di questa quinta razza radicale conquista a poco a poco proprio il mondo fisico in tutti i suoi campi. Se consideriamo dai primi inizi della nostra era l’uomo spirituale che abbiamo descritto, vediamo che in lui tutto è ancora Spirito. L’antico rishi dei Veda non conosceva ancora l’attaccamento alla materia. Il fisico era per lui qualcosa di indegno: la sua vista era diretta soltanto al corso eterno degli avvenimenti, la sua vista era rivolta verso l’alto, il terrestre non lo toccava neppure. Nella nostra epoca questa visione dei Veda fa l’effetto di un anacronismo, vediamo che quelle visioni non sono piú adatte al fisico e che il popolo indiano soffre proprio per il fatto che la sua vista interiore è rinviata nell’oscurità, è respinto da un mondo che non può piú comprendere quella vista. L’uomo ha dovuto conquistare il mondo fisico con l’aiuto della sua vista spirituale; l’uomo si è immerso nel mondo fisico e deve lavorare sempre di piú nel mondo fisico. All’inizio, la vista era rivolta all’Io interiore, poi dai Caldei e gli Egiziani fu rivolta verso le stelle. E se andiamo avanti fino ai Greci, vediamo che da loro ciò che una volta era riunito, la filosofia, la religione e l’arte, appaiono a poco a poco come tre attività dello Spirito del tutto separate. Nell’antico periodo dei Veda, il rishi era anche poeta, ricercatore e profeta religioso; se proseguiamo fino all’ellenismo, vediamo il filosofo, l’artista e il sacerdote apparire separati. Secondo la legge dell’evoluzione, cos’è successo nella Grecia antica? Il mondo fisico fu dapprima conquistato da una delle attività creatrici dello Spirito, dall’immaginazione creatrice. La possente arte greca è la conquista del mondo fisico grazie all’immaginazione creatrice.
Continuiamo fino all’inizio dell’epoca cristiana. Era già stato preparato nell’Antico Testamento, nell’antichità, ma il nuovo dominio è stato conquistato solo dalla spiritualità dell’epoca cristiana. È il dominio della vita etica, morale. Se risalite alla Grecia piú antica, non vedete l’elemento morale apparire separatamente dalla visione del mondo in generale. È soltanto in Socrate e Platone che la vita morale comincia a separarsi. Il cristianesimo conquista il mondo morale. Nello stesso modo in cui la Grecia antica ha conquistato spiritualmente il fisico nell’arte, grazie all’immaginazione creatrice, cosí il cristianesimo ha conquistato spiritualmente la moralità fisica, la vita morale sulla Terra. È la seconda fase dell’evoluzione.
E se lasciamo passare un po’ di tempo, vediamo nuovamente che alla svolta dal XV al XVI secolo, quello che prima era unito si scinde ancora una volta. Vediamo che coloro che scrutano il mondo, il filosofo e il ricercatore, si separano.
Prima non c’era alcuna separazione fra i filosofi e i ricercatori scientifici della materia fisica. Se con la vista risalite ai primi tempi del Medio Evo, se considerate Giovanni Scoto Eriugena, Alberto il Grande, tutti coloro che hanno avuto cura della vita dello Spirito nel mondo, vedrete che tutti vanno di pari passo. Non c’era separazione fra il ricercatore-filosofo spirituale e quello puramente fisico. In Descartes e Spinoza potete ancora trovare l’eco del legame intimo fra filosofia e scienza. Il pensiero filosofico andava di pari passo con la scienza della natura. Con il XV e il XVI secolo arriva poi la biforcazione: la scienza si separa dalla filosofia, la scienza diventa autonoma. È conquistato un nuovo dominio della vita fisica: quello che deve essere conquistato dalla fisica, dall’astronomia e cosí di seguito, in breve dalla scienza puramente fisica intellettuale. Cosí adesso vediamo quello che una volta era unito: la scienza, l’arte, la filosofia, la religione, l’etica, andare ognuna per la sua strada.
Sono stati fatti a piú riprese dei tentativi per ricomporre l’unità di quanto una volta era insieme. Vediamo tale aspirazione anche in Goethe. Vediamo come egli si sforzi di creare una scienza spirituale della natura e di trovare un ponte fra la scienza e l’arte. Alcune sue parole lo dimostrano: «Il Bello è una manifestazione di leggi segrete della natura che ci sarebbero state eternamente nascoste se esso non fosse apparso». Anche Richard Wagner ha ugualmente tentato di unire il mito delle religioni in una nuova forma artistica che avrebbe dovuto essere qualcosa di piú dell’arte costruita sulla pura immaginazione creatrice.
Questi tentativi ricordano qualcosa che è sempre esistito. Accanto alle vie separate sulle quali erano poste la religione, l’arte, la scienza e l’etica, c’è sempre stata quella definita la grande unità. Accanto alla scienza, all’arte, alla filosofia c’erano i Misteri. All’Iniziato ai Misteri era presentata l’immagine del mondo tutto intero. Lí non gli si raccontava in modo scientifico quello che era esistito una volta e come erano le leggi dell’universo, ma vi si trovava una riproduzione della vita.
Nel dramma di Dionisio, gli era rivelato come l’essere umano, l’essere umano spirituale, sia immerso nella materia fisica, come lo spirituale si sia condensato nella materia per elevarsi, in seguito, nuovamente allo spirituale. Quest’opera d’arte, questo dramma di Dionisio, era rappresentato con possenti immagini negli antichi Misteri greci. Si raffigurava Dionisio come figlio di Giove e di Semele, come sia stato salvato da Pallade Atena e come il suo cuore sia stato salvato da Giove. Questa è la rappresentazione di un grande dramma umano; non rappresenta altro che la vita in seno alla nostra Terra. Doveva mostrare come l’essere umano sia immerso nella forma terrestre, come abbia salvato la sua anima grazie alla piú profonda spiritualità nella sua interiorità e come debba, con la propria evoluzione, elevarsi ad una nuova esistenza divina.
Quello che nelle profondità dei templi dei Misteri costituisce un’unità, nella cultura greca appare separato esteriormente. Ciò che racconta Socrate e quello che espone Platone nella filosofia non è altro che la riproduzione esteriore, una parte separata di quello che si trovava nei Misteri. Se leggete Platone, vedrete la forma filosofica del dramma dei Misteri; se leggete i destini tragici degli eroi, avete in quei drammi di eroi un debole riflesso del dramma dei Misteri. La filosofia ha preso forma a partire dall’arte antica. Come ho detto, nella nostra epoca moderna si è prodotta l’ultima dissociazione: l’intellettualismo limitato al mondo fisico ha conquistato il mondo, il microscopio e il telescopio hanno conquistato il mondo. Come l’arte cristiana ha conquistato il mondo interiore del sentimento, la scienza fisica ha conquistato la natura esteriore.
Questo è stato il compito, la grande missione cosmica: conquistare in parti isolate separate quella che una volta era stata una unità.
Aprire la strada all’unità dei quattro campi della scienza, della filosofia, dell’etica e dell’arte è la missione di una nuova epoca che comincia: la teosofia vuole preparare la missione di una nuova umanità. Per questa ragione, il primo libro di Helena Petrovna Blavatsky, La Dottrina Segreta, apparve con il sottotitolo di Sintesi della scienza, della religione e della filosofia. Questa è la posizione della visione teosofica del mondo in rapporto alle differenti correnti che invadono oggi la vita spirituale. Vedete perché essa non può placarsi quando la visione del mondo difesa dal mondo scientifico le lancia un “o è cosí… o è cosí”. Vedete perché il teosofo, che considera l’insieme, può considerare la scienza in modo conciliante e sperare giustamente un’ascensione futura nella sfera scientifica dalla sua ulteriore evoluzione. Tale è l’ideale della teosofia. Poiché l’umanità è un tutto in ogni essere umano individuale, questo ideale è il grande ideale dell’umanità del nostro tempo. Gli uomini hanno dovuto raggiungere la loro meta nel corso della nostra razza radicale attraverso strade separate. Ma le vie sono separate solo per un certo tempo, questa è la grande legge cosmica; in seguito, esse devono nuovamente riunirsi. E adesso è il tempo della riunione.
Una visione del mondo che vuole riunire non può essere che una visione tollerante. Per questa ragione il grande principio della tolleranza è al vertice del movimento. Sarebbe un errore voler giudicare il movimento teosofico sulla base di una qualsiasi verità espressa. Non siamo uniti riguardo a una certa verità isolata, né ad un dogma, né a quanto un tale o un tal altro ha riconosciuto o crede di riconoscere. Nel movimento teosofico chi esprime una verità, anche se lo fa in maniera il piú possibile precisa e anche energica, non lo fa nel senso con cui altri esigono che si debba professarla. Se osservate i differenti credo, anche i diversi indirizzi scientifici, il materialismo, il monismo, il dualismo ecc., potete udire ovunque una cosa: l’adepto di un tale orientamento crede di essere il solo a possedere la verità ed esclude tutto il resto. Qui è proprio “o è cosí…o è cosí”. Conseguenza ne è il conflitto nelle concezioni.
La teosofia si distingue da questo in modo del tutto fondamentale. In ogni essere umano individuale deve svilupparsi la verità. Chi esprime quello che conosce, lo esprime in un altro senso, solo per stimolare gli altri. Per nient’altro. L’insegnante teosofo è cosciente che si deve andare a cercare la verità in ogni essere umano. Allo stesso tempo, uomini totalmente tolleranti gli uni nei confronti degli altri si uniscono tra loro fraternamente per un grande scopo comune, si uniscono nella Società Teosofica, nel movimento della Scienza dello Spirito. In questo movimento si può trovare lo stato d’animo piú tollerante: c’è tolleranza nel sentimento e nel pensiero. Proprio quando il teosofo è andato avanti nel suo cammino di conoscenza, ha chiaro in sé il fatto che nel petto di ogni uomo esiste un nucleo di verità, che per svilupparsi basta sia circondato da un’atmosfera spirituale. La cosa importante, è la totalità, la cooperazione. I teosofi creano attorno a loro quella atmosfera nella quale, là dove si riuniscono, può prosperare il germe umano individuale. In questa cooperazione vedono il loro vero compito. Ed è quello che distingue fondamentalmente il movimento teosofico da tutti gli altri. Altri si combattono, noi ci uniamo. Altri sono dei monisti e considerano il dualismo come un errore, ma noi sappiamo che il dualismo e il monismo troveranno un’unità in una armonia ben superiore, se si continua a cercare in sé spiritualmente.
I grandi spiriti, e anche Goethe, che si riferiva nelle sue parole ad antichi Maestri, hanno espresso che nell’uomo stesso si deve sviluppare la verità divina, che essa deve sgorgare dal cuore umano individuale.
«Wär’ nicht das Auge sonnenhaft,
wie könnten wir das Licht erblicken?
Lebt’ nicht in uns des Gottes eigne Kraft,
wie könnt’ uns Göttliches entzücken?».
«Se l’occhio non fosse solare,
come potremmo vedere la luce?
Se non vivesse in noi la forza propria di Dio,
come potrebbe estasiarci il divino?».
Per servire da motto al nostro movimento teosofico, Goethe ha scritto questi versi come introduzione ad una delle sue opere scientifiche, La teoria dei colori.
Rudolf Steiner
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Dalle annotazioni di uditori presenti alla conferenza di Rudolf Steiner.
Berlino, 6 ottobre 1904 ‒ O.O. N° 52. Traduzione di Angiola Lagarde.