Incontrai per la prima volta Amleto Scabellone (Roma 20 aprile 1927 – Roma 20 maggio 1991) in un pomeriggio piovoso di novembre del 1978, a casa di Massimo Scaligero. Massimo mi aveva già parlato di quel suo giovane cugino (avevano vent’anni di differenza) brillante medico e discepolo di Giovanni Colazza, che aveva notevolmente approfondito, sotto la sapiente guida del Dr. Colazza stesso, la medicina antroposofica. Mi ero appena iscritto alla facoltà di medicina e Massimo osservò che mi sarebbero state insegnate cose notevolmente in contrasto con una visione scientifico-spirituale della medicina, perciò mi consigliò caldamente di frequentare Amleto, che cosí divenne, in un certo senso, il supervisore dei miei studi universitari.
Tra me e Amleto nacque una immediata e istintiva simpatia, e sin dal primo giorno capii che sarebbe stato una persona decisiva per la mia formazione di medico e di esoterista. Amleto era specialista in pneumologia e in cardiologia. Aveva iniziato la sua carriera nell’ospedale “Forlanini” di Roma per poi proseguirla nella clinica “Villa Fiorita” e infine nell’ospedale “San Filippo Neri”.
Era un uomo molto schivo e non amava mettersi in mostra ed ostentare le sue grandi conoscenze in campo medico e spirituale. Frequentava poco le riunioni di via Barrili e conduceva una vita molto ritirata. Fu lui a presentarmi Bianca Maria Scabellone, detta “Mimma”, figura estremamente importante nell’ambiente che ruotava attorno a Massimo. Mimma era sua sorella maggiore, e i due fratelli erano molto legati. Per Amleto, Massimo fu piú che un cugino un padre. Dopo la prematura morte della mamma, Maria Filippini, Massimo, infatti, era andato a vivere in casa dello zio paterno Pietro Scabellone, preside in un liceo di Roma e frequentatore di molti cenacoli esoterici della capitale.
Fu in casa dello zio che il giovane Antonio (il vero nome di Massimo) conobbe Julius Evola e Arturo Reghini, e attraverso loro colui che sarebbe divenuto il suo Maestro, Giovanni Colazza, che con Reghini ed Evola collaborava alla celebre rivista esoterica «Ur».
Fu Massimo a “iniziare” il giovanissimo Amleto all’esoterismo e all’antroposofia, e fu lui a fargli conoscere Colazza, che lo ammise a quella ristrettissima cerchia di “discepoli esoterici” che si riuniva nello studio medico di Giovanni Colazza, sito in Corso Italia.
Amleto era il piú giovane di quei diligenti discepoli del grande Colazza – l’allievo prediletto di Rudolf Steiner – che rispondevano ai nomi di Massimo Scaligero, Mimma Scabellone, Pio Filippani
Ronconi, Romolo Benvenuti, Enzo Erra, Argo Villella, Massimo Danza, che cosí tanto riuscirono a portare nel mondo gli insegnamenti del loro Maestro.
Massimo Scaligero “ereditò”, alla morte di Colazza avvenuta nel 1953, la direzione di quel gruppo. Da lí egli iniziò il suo magistero, che lo portò a raccogliere attorno a sé, nei successivi ventisette anni che avrebbe ancora vissuto, centinaia di discepoli. Amleto nutriva nei confronti di Massimo un amore e una devozione davvero infiniti. Spesso, dopo la morte di Massimo, avvenuta il 25 gennaio 1980, nelle occasioni in cui il nostro Maestro veniva commemorato, non riusciva a nascondere la commozione che a volte giungeva fino alle lacrime. Altrettanto enorme era la sua devozione verso Colazza, che lui definiva «il mio amato e indimenticato primo Maestro».
Fu Colazza a spingerlo a lavorare nel settore ospedaliero, sostenendo che “era nato per fare l’internista”. Oltre ad essere un clinico prodigioso, Amleto possedeva rare doti di umanità e di sensibilità: era un vero “medico dell’anima” come dovrebbe essere, secondo quello che hanno spiegato Rudolf Steiner e Ita Wegman, il medico antroposofo.
Quando conseguii la laurea in medicina, Amleto mi mise in contatto con il dr. Marcello Carosi, animatore del Gruppo medico antroposofico di Roma. Iniziai cosí il mio percorso di medico antroposofo pur mantenendo il mio impiego di ufficiale medico nell’Arma dei Carabinieri, impiego che è cessato soltanto dopo il mio pensionamento. Continuai ad andare a trovare Amleto regolarmente e ogni volta che ci vedevamo egli mi trattava con il calore di un padre e con la cordiale complicità che esiste tra colleghi e condiscepoli. La morte dell’adorata sorella Mimma, avvenuta nel novembre del 1990, fu per Amleto un durissimo colpo: soltanto sei mesi dopo, il 20 maggio del 1991 Amleto Scabellone lasciava il piano terreno. Poco tempo prima mi aveva affidato i suoi quaderni di “Medicina e Scienza dello Spirito”. Erano il frutto di una vita di paziente e indefesso studio delle opere mediche di Steiner, arricchiti dagli insegnamenti di Colazza e dalle sue personali riflessioni ed esperienze mediche. «Quando potrai, quando ce ne sarà l’occasione, mettili in ordine, eventualmente aggiungendo le note esplicative che riterrai opportune e falli pubblicare, perché penso che possano essere utili non solo ai nostri colleghi ma a tutti coloro che seguono la Scienza dello Spirito». Queste furono le sue parole nel donarmi una voluminosa cartella verde nella quale erano contenuti i suoi preziosi quaderni.
Colazza ed Amleto (e con loro Massimo Scaligero) erano dell’opinione che il medico antroposofo dovesse lavorare anche nel settore della medicina pubblica allo scopo di portare all’interno del mondo medico ufficiale i profondi contenuti spirituali della medicina scientifico-spirituale, termine quest’ultimo che Amleto Scabellone e Giovanni Colazza preferivano rispetto a quello di “medicina antroposofica”. Questo è stato il percorso che io ho seguito, aderendo alle raccomandazioni di Massimo prima e di Amleto poi, e onestamente non me ne sono mai pentito. Il settarismo e la tendenza a rimanere “confinati” in ristrette cerchie, cosa purtroppo assai frequentemente riscontrabile in molti ambienti esoterici, anche legati all’antroposofia, non appartenevano né a Colazza, né a Scaligero, né a suo cugino Amleto, e di conseguenza, non sono mai appartenuti neppure a me.
Ho deciso, condividendo questa mia decisione con la cara Bianca, figlia diletta di Amleto, di pubblicare il contenuto dei “quaderni” nell’Archetipo, a puntate, perché in considerazione della abile capacità di comunicazione di questa Rivista, con la quale ho già avuto il piacere di collaborare da diversi anni, e del vasto pubblico che la segue, ritengo che Amleto sarebbe felice di poter offrire la sua grande conoscenza a molte persone, non necessariamente operanti nel campo della medicina. Ho anche ritenuto utile aggiungere al testo alcune note esplicative proprio allo scopo di favorire al meglio la comprensione di questi contenuti anche da parte dei non medici. Il fatto che questi scritti di Amleto vengano iniziati ad essere pubblicati dall’Archetipo proprio in questo momento di cosí grande difficoltà per l’Italia e per il mondo, mi appare come una coincidenza estremamente significativa.
Infine alcune brevissime note sui principi generali della medicina scientifico-spirituale mi sembrano doverosi. Essa si fonda essenzialmente sul dato della tripartizione dell’essere umano all’interno del quale operano tre sistemi fondamentali: il sistema neuro-sensoriale la cui sede è nel capo, il sistema ritmico-respiratorio, la cui sede è nel torace, e il sistema del ricambio e del movimento la cui sede è nell’addome e negli arti. Il primo sistema è connesso particolarmente con la sfera del pensare, il secondo con la sfera del sentire e il terzo con quella del volere.
In ciascuno di questi tre sistemi operano poi, in vario modo, i quattro arti costitutivi dell’essere umano: l’Io, il corpo astrale, il corpo eterico ed infine il corpo fisico. La malattia è dunque il risultato di un disequilibrio che si viene a creare tra i quattro arti costitutivi all’interno di uno dei tre sistemi summenzionati.
Estremamente importante, inoltre, nella medicina scientifico-spirituale è la dottrina dei quattro temperamenti: in ogni individuo si può infatti riconoscere la prevalenza di uno dei quattro temperamenti: collerico (Io-cuore-fuoco), sanguinico (corpo astrale-rene-aria), flemmatico (corpo eterico-fegato-acqua), malinconico (corpo fisico-polmone-terra).
Particolare importanza viene attribuita alle sostanze medicamentose utilizzate, preparate o con dinamizzazioni omeopatiche, oppure con tecniche di tipo spagirico o risultanti dalla osservazione e dalla ricerca di Rudolf Steiner e dei suoi collaboratori medici e farmacisti, come quella dei “metalli vegetabilizzati”, prodotti peculiari della medicina scientifico-spirituale.
Fondamentale è dunque l’osservazione del paziente come una entità organica, come un tutt’uno nel quale la malattia deve essere valutata sulla base di tutti gli elementi, esperienze, vicende patologiche pregresse, sentimenti, assetti mentali, situazioni di vita che lo hanno caratterizzato e che costituiscono, nel loro insieme, quella che viene definita “biopatografia”.
Quanto l’attuale medicina scienticista e materialista sia lontana anni luce da ciò, lo possiamo constatare quotidianamente.
Efesto (Fabrizio Fiorini)