Essere uguale all’uomo e superarlo
anche nel male. Questo ci racconta
la cronaca di Roma: al Casilino
una ragazza comandava un gruppo
di spacciatori italo-africani.
Ventun pusher di cui lei coordinava
i movimenti e il giro del denaro
che coca, eroina e metadone
procuravano ai membri della banda.
Non è piú il tempo che Berta filava
e intessendo la lana con la seta
annodava la trama della vita:
la sua, della famiglia, del paese,
e pregava se il cuore le cedeva.
Ma con gli anni e le nuove teorie
del “Me Too” che la vogliono uguagliata
al maschio, e all’occorrenza anche migliore,
la donna tesse ormai la rude tela
del vivere e combattere sul campo,
in un pieno regime di uguaglianza
con l’uomo, nel suo ruolo di guerriera:
cuore spietato, occhi senza lacrime,
a uccidere la vita o a vilipenderla,
cosa che l’uomo in fondo ha sempre fatto.
Non piú la levità, la tenerezza,
il Giardino di Venere, la grazia
a sollievo del male che ci strazia.
Tra uomo e donna, questa la tristezza,
ormai c’è l’assoluta parità:
equiparati in criminalità.
Il cronista