Il valore magico della Parola

IndicAzioni

Il valore magico della Parola

 

Arbitrio e libertà

Non si cerchi nulla dietro ai fenomeni: essi sono già teoria.

Wolfgang Goethe

Massime e Riflessioni

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Ciò che accade, il Fatto,

è il sussistere di Stati di Cose.

Ludwig Wittgenstein

Tractatus Logicus-Philosophicus




La convinzione che l’attuale stato di cose sia imputabile ad un concilio di oscuri poteri ruotanti attorno ad una collettività di individui piú o meno inconsapevole, non risolve la realtà dell’attuale stato di cose. Una convinzione non ha presa sui fatti. Indagare gli Stati di Cose che generano ciò che accade origina una coscienza del Fatto, non una coscienza del dinamismo del Fatto, della sua realizzazione. Il Fatto – poiché esso è ciò che accade – non può essere fermato. Dal momento che il Fatto accade, sussistono in lui gli Stati di Cose ma non le ragioni del suo sussistere (il sussistere del Fatto): il sussistere del Fatto va accadendo.

Si comprenderanno quindi le parole di Massimo Scaligero: «Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque respon­sabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere piú un minuto di tempo, non dovrebbero piú rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere» (Iniziazione e Tradizione, Edizioni Tilopa, Roma)

Il superamento del limite – dice appunto Scaligero – è l’impresa dell’autocoscienza. Il problema non è individuare il limite (legittimo compito del pensiero dialettico), quanto piuttosto superarlo (compito del pensiero vivente).

Poiché, avversando il limite si avversa il pensiero dialettico, e avversando il pensiero dialettico si ignora difatti che esso è il livello mediante cui l’uomo subisce il karma. Avversando il pensiero dialettico, in definitiva, si avversa il karma, che è immagine esprimente uno stato di cose già inverato, poiché espressione di una cristallizzazione del sussistere e non sussistere di stati di cose.

Non bisogna con questo denigrare la funzione di quanti (pochi) siano realmente in grado di contestare o avversare uno stato di cose manifesto o affermantesi. La loro opera, quando è reale, agisce nello spazio sociale assumendo forme dialettiche proprie allo spazio in cui agisce, im­mettendo sostanze maturate da un alto grado di coscienza ed in grado di effondersi esclusiva­mente grazie al personale sacrificio di sé. Questi aiutatori muovono da un principio di autonomia interiore mediata da un severo esercizio del pensiero vivente: l’unico in grado di muovere nella corrente della volontà e dunque superare la riflessità del pensiero in cui il karma è subíto dal­l’uomo. L’opera di tali aiutatori è soprattutto opera silenziosa: agisce dal silenzio ed opera nel reale inverando il principio drammatico della catastrofe, che è il reale principio sovvertitore con cui la materia viene accordata alla sua matrice.

In questo modo tali aiutatori si riconoscono: nella fragranza di un’apparente discontinuità biografica in grado di mantenersi fedele unicamente all’essenza stessa della fedeltà.

Gli aiutatori vincono solo da perdenti, vincono passando attraverso la sofferenza e la morte.

 

 

Il Giuda in noi. Tra rivoluzioni sociali e Vulesse ’a Maronn

 

GIUDA–CIMABUE

Cimabue «Il bacio di Giuda»

In un interessante articolo del 1931 (in Il destino spirituale della Russia, Ed. Estrella de Oriente) l’autore, Valentin Tomberg (1900-1973), mette in relazione i grandi pensatori Vladimir Sergeevič Solov’ëv, Fëdor Dostoevskij e Lev Nicolàeč Tolstoj alle tre forze dell’anima: pensare, sentire e volere. Valentin Tomberg conclude scrivendo: «Nelle personalità di Solov’ëv, Dostoevskij e Tolstoj possiamo dunque cogliere le disposizioni di un pensare, di un sentire e di un volere futuri. Comune a tutti e tre è il loro legame con il Cristo, come la potenza che guida le tre forze dell’anima verso il futuro. Questo legame allude alla quarta disposizione del futuro, quella dell’Io cristianiz­zato. È la coscienza dell’Io, cui accenna l’apostolo Paolo con le parole: “Non io, ma il Cristo in me”». Non è dato sapere a chi scrive se a Valentin Tomberg – all’epoca della stesura dell’articolo – fosse nota la figura di Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1937), fatto sta che proprio nell’opera di Florenskij è possibile ravvisare il germe di quel­l’Io cristianizzato di cui la ricerca di Tomberg evidenzia la necessità.

In merito alla diatriba sulla biografia di Valentin Tomberg, si può soltanto ricordare come la moralina nuoccia all’impulso antroposofico e sia del tutto inutile ad un’osservazione fenomenologica di tipo scien­tifico-spirituale. Giuda era uno dei Dodici. Potremmo quindi dire che in ogni Dodici c’è un Giuda: questo è un ritmo, e come tale deve essere osservato e studiato. Ad una comunità cosciente e cristiana non do­vrebbe sfuggire che tra gli orientamenti ospitati all’interno di essa vi saranno anche gli impulsi portati dal Giuda.

I vari “traditori” che comparvero nelle vicende umane di Steiner, Scaligero ecc. vengono (ultima moda della rete) processati a spada tratta – con spade virtuali, s’intende – da quanti si fanno autonomamente paladini ed avvocati dei loro illustri clienti. Difendendoli però, li si rende vittime e mai responsabili delle loro opere e del carico da loro deliberatamente portato.

La prova che non superò Giuda fu attendersi che il Maestro – «Salute a Te, o Rabbi!» – spiritua­lizzasse la materia per mezzo di una potenza extra-ordinaria che ne eludesse il sacrificio. Sacrificio che Giuda non poté capire ma a cui – avendo partecipato all’Ultima Cena – iniziò a prender parte.

Giuda è quella parte di noi che attende grandi cambiamenti operati a mezzo di meri som­movimenti sociali che non partano quindi da concreti processi di risoluzione interiore. Giuda è quella parte di noi che attende l’irruzione di un elemento divino atto a stravolgere e a riportare l’ordine sulla Terra all’insegna del motto: Vulesse ’a Maronn.

In un modo o nell’altro si elude il principio di responsabilità ed il “lavorare con sudore”. Gli arditi della rivoluzione, solitamente, danno contro a quelli del Vulesse ‘a Maronn: difatti sono i rappresentanti della medesima forza: forza che diviene negazione di quanto vorrebbe affermare: un impulso – vieppiú pericoloso perché inconscio – marcatamente e realmente anticristiano.

Uno dei compiti degli aiutatori è operare nella riflessità del pensiero partendo da un livello di coscienza che da tale riflessità non si lascia afferrare.

Riguardo all’associazionismo scrive Massimo Scaligero: «Ma avviene sempre che la relazione egoica prevalga, e imiti lo spirituale, per sussistere in quanto stato di fatto egoico in veste spi­rituale: che è l’unificazione astratta, organizzativa o accademica, propria alle associazioni profane. Ciò si verifica per l’affievolimento delle coscienze, in quanto l’insegnamento originario venga via via trasformato in formule, in regole, in sentenze, in nozioni particolari, di cui si fanno propinatrici persone che furono vicine al “Maestro” e che assumono la funzione di Maestri riguardo ai nuovi venuti, trasmettendo qualcosa che vorrebbe valere come un insegnamento piú riservato e piú efficace di cui si presumono depositari: con ciò distraendo il discepolo dal contatto con il vero insegnamento: che può vivere soltanto in quanto divenga esperienza, e come tale produca la continuità inestinguibile (“Perché un’associazione spirituale viva” – Appendice al libro Dell’Amore Immortale – Ed. Tilopa, Roma).

L’unificazione astratta è l’unificazione di quanti, pur seguendo una via operativa, operativi non lo sono, se non nel senso grave e ossimorico dell’operosa inoperosità: sia essa mutuata da uno studio che non diventa praxis, sia essa mutuata dalla piú pericolosa praxis, quella prassi del vuoto recante frutto all’ente dell’irrealtà. L’ente irreale si nutre di inoperosità e abita l’incoscienza.

Nello spirituale il vacuum non esiste: esso viene riempito da entità.

L’operosità è merce rara.

 

Nicola Gelo (1. Continua)