Il frutto del male

Socialità

Il frutto del Male

Eden

Eden

Un filone interpretativo delle sacre scritture, in particolare della Genesi, e segnatamente delle vicende che ebbero luogo nel Giardino dell’Eden, per deduzioni e risultanze, criticabili, se si vuole, tuttavia meritevoli dell’interesse che si deve ad ogni parto dell’umana fantasia, attribuisce a Lucifero, il Tentatore, tutte le varie forme di Male, con la maiuscola, in specie la sua offerta del frutto maligno. Non doveva però essere una mela, quanto piuttosto una pesca o un’albicocca. L’uno e l’altro di quei frutti, infatti, hanno all’interno l’osso germinale, e questo giustificherebbe la leggenda secondo cui, avendo Adamo accettato di mangiare il frutto proibito, forse per il magone e l’impaccio dovuti al rimorso di coscienza per la disobbedienza all’Altis­simo, quel nocciolo interno, trangugiato insieme alla polpa, non gli sarebbe andato né su e né giú, restando come segno organico permanente a indicare la trasgressione.

È il famigerato pomo di Adamo, dalle cui deglutizioni piú o meno marcate le donne avrebbero, dall’Eden in poi, stabilito il grado di sincerità o mendacio dei loro fidanzati e mariti nel giustificare ritardi e dimenticanze. Ma come sempre accade in questioni attinenti la sfera etico-sentimentale, con riferimenti al sacro e al mitopoietico, si è voluto andare oltre la lettura esegetica e affrontare, come si dice, il toro per le corna, chiamando di nuovo in causa l’Angelo ribelle, Lucifero appunto, per addebitare nel caso, a Lui, il Portatore di Luce, tutta una serie di malvagità in azioni e opere, che omettendo solo il bagarinaggio alle finali delle partite di calcio e il consumo di bibite in vetro sulla Scalinata di Piazza di Spagna il sabato sera, conteneva, tanto per dirne una, l’invenzione della polvere da sparo.

fuochi d'artificio

Fuochi d’artificio

Ne approfittarono i Mongoli, non ci è dato sapere come, quando e perché. Marco Polo non si dilunga al riguardo. Quando lui arrivò nel Celeste Impero di Kublai Khan, la cosa era già nell’uso comune, come del resto la bussola, il baco da seta e gli spaghetti. Come tutte le elargizioni del Male, fatti salvi gli spaghetti e l’ago magnetico, sfruttato questo dagli Arabi e poi dagli Amalfitani, anche la polvere da sparo si prestava a una doppia utilizzazione. Serviva agli usi festaioli in forma di tracchi, petardi, stelle filanti, bouquet floreali e cascate luminose. Lucifero godeva di quelle infantili manifestazioni di giubilo e spensieratezza, ben sapendo che le crepitanti e fatue fantasmagorie a ben altri usi sarebbero state in seguito impiegate dagli uomini, assai facili a passare dall’allegria socievole delle feste e kermesse alla crudeltà insensata delle guerre, con stragi e rovine.

In breve, Lucifero, inventore dei fuochi d’artificio, dava ai Mongoli la mela avvelenata della guerra, da allora non piú combattuta per conquistare città e reami, ma per annullare il seme stesso della vita. La polvere da sparo fece presto a diffondersi nel mondo, essendo frutto di una dannazione. E cosí, allo stesso modo che la dannazione animica comporta degenerazioni in ogni ambito dell’esistenza, l’accettazione del dono malefico sconvolse, negli antichi cinesi, le pratiche del Tao. Non piú, ad esempio, la clemenza che al nemico sconfitto e in fuga concedeva ponti d’oro, non piú la frugalità del cibo naturale della terra, come ai primordi della devozione agli dèi, ma la voracità onnivora di ogni forma del vivente, perversa impronta del demonico, per cui era cibo anche l’orrore.

Ecco allora i cinesi, tormentati sin dall’antichità da drammatiche ricorrenti carestie, venir meno ad ogni ammonimento di carattere etico, stilando menu includenti topi, serpenti, pescecani, scimmie, pangolini, cani, gatti, rondini e pipistrelli, con estensione a specie a dir poco ripugnanti. E fra le tante illazioni riguardo al coronavirus, c’è anche quella di uno spill-over, un salto ematico da un pipistrello all’uomo, nel corso di una macellazione maldestra al mercato di Wuhan.

supermissile cinese

Il “supermissile” cinese

Tra le vittime della pandemia del Covid-19, ci sono i tulipani. Per un ukase dell’OMS, al picco del morbo, tutte le coltivazioni seriali olandesi del bellissimo fiore sono state dichiarate portatrici del micidiale patogeno, e quindi distrutte. Stessa sorte è toccata alle coltivazioni in serra e all’aperto di altre specie floreali, non soltanto in Olanda ma sull’intero pianeta. Ecco perché tra le varie chiusure degli esercizi commerciali, per schivare l’insidioso bacillo, sono risultate evidenti e difficili da giustificare quelle dei chioschi e negozi di fiori, considerate autentiche bombe virali. Questa globalità del fenomeno pandemico indurrà da ora in avanti le nazioni a gestire in maniera inedita scenari geopolitici finora condizionati da ideali e maniere, supportati, al dunque, da bombe e cannoni. Metodi faticosi e assai pesanti sui bilanci delle varie nazioni.

Oggi, e nel prossimo futuro, le guerre non si combatteranno piú con i supermissili a testata nucleare, come quelli fatti sfilare a Pechino per i 70 anni dalla fondazione della Repubblica popolare da parte di Mao Zedong. Da oggi, brandendo fiale e provette, sfilerà il corteggio dei virologi da biolab, i laboratori in cui il nuovo (o protostorico?) Ordine Mondiale, pasticciando con RNA e DNA, mette a punto, nel piú assordante silenzio, l’arma totale che darà alla schiera degli Eletti il dominio del mondo. Agli altri è destinato il pecorile asservimento del gregge. Quelli, vestendo Trussardi, guidando una 12 cilindri, mangiando “quello di Parma”, svernando alle Bahamas, procederanno, festosi e satolli, verso la Valle di Giosafat, dove saranno giudicati – ma secondo loro premiati – per ciò che hanno fatto. Gli altri arriveranno alla Valle fatale a piedi o col monopattino. I primi se la sono spassata, pasteggiando a brut e caviale, mentre gli altri avranno tirato avanti con la mensa della Caritas.

La prova di un simile attacco di nuovo conio, di tipo virale, sembra perfettamente riuscita. La colpa è ricaduta sulla Cina, con un laboratorio messo su da occidentali ma lasciato poi in mano ai locali. Sono stati loro i disattenti, che non hanno saputo gestire qualcosa che andava trattato con precisione e competenza. Eppure, chi è familiare con l’artigianato cinese conosce l’eccezionale precisione, l’incredibile l’abilità di certi lavori di intaglio e di intarsio, stupefacenti. Uno per tutti: la sfera d’avorio lavorata all’interno in modo tale da ricavare altrettante sfere concentriche staccate l’una dall’altra, ruotanti con i loro intagli di animali, fiori e figure.

Non furono questi i cinesi che fecero la loro comparsa in Italia, alla fine dell’ultima guerra. Forse a seguito dell’armata alleata, o una diaspora dell’impero coloniale britannico in dissoluzione. Vendevano cravatte al grido: «Belle clavatte, poche lile!» Era solo l’inizio di una penetrazione soft, che nel bailamme provocato dalla guerra non trovava ostacoli. Violata dal conflitto, la nostra società si apriva ad ogni intrusione, metabolizzando qualunque realtà l’onda lunga della guerra le portasse. Nessuna autorità, nazionale o esterna dei vincitori, si interessò alla lenta, tenace, abile penetrazione dei cinesi nel tessuto sociale e produttivo del paese. Osservando col distacco del tempo trascorso, si ha la netta impressione che l’intrusione fosse, se non architettata, lasciata correre nel fluire degli eventi.

Che la penetrazione cinese fosse una maniera assai grossolana di far pagare agli italiani il “peccato originale” del fascismo, o forse il mai estinto livore dei celtiberici verso i Romani, o ancora una gelosia per la genialità sorgiva di un popolo che due millenni prima, e per secoli, aveva gestito le vicende del mondo dalla Mesopotamia all’Atlantico, come che sia, i cinesi ne approfittarono e, avendo afferrato il gioco, assecondarono vendetta o invidia da parte del mondo apolide nei confronti del nostro paese, e occuparono il territorio ospitante con imprese e negozi, fabbriche e ristoranti. Praticando un distanziamento socio-etnico da virus con gli autoctoni, chiusi in comunità gelose e impenetrabili, formarono nel giro di pochi decenni una realtà operante in ogni settore del commercio e dei servizi, fino a conquistare la cittadella esclusiva, quasi esoterica, della finanza e del trading monetario.

La locanda della sesta felicità

“La locanda della sesta felicità”

Non essendo un coacervo di tribú foresticole ma una raffinata specie etnico-culturale di prima classe, rodata in secoli di mercatura e scambi col resto del mondo senza esserne affatto assoggettata, ha nel tempo accumulato una grande disponibilità di denaro contante, e con quello ha acquistato appartamenti, negozi, fabbriche e case di moda. La morale è stata che in fatto di speculazione e aggio sul denaro hanno surclassato i ‘maestri’ della grande finanza che li avevano usati come strumento di disturbo e competizione ai danni delle etnie locali ospitanti. Al punto che da gestiti sono diventati gestori, specie in Africa, dove hanno occupato il vuoto caotico lasciato dal maldestro e ottuso colonialismo europeo, dando l’impressione, falsa, di attuare quel comunismo egualitario e liberale del Grande Timoniere, che alla resa dei conti, tolto l’impatto propagandistico delle nuotate nello Yang Tse e le letture pubbliche del Libretto Rosso, poco aveva giovato alla Cina della Buona Terra di Pearl S. Buck o dei film come “La Locanda della Sesta Felicità” e “55 giorni a Pechino”, interpretazione neocoloniale di una Cina rurale letteraria.

Ma intanto che l’ordine mondiale, USA in testa, forniva un’immagine mandarinesca e prona della Cina, come l’avevano intesa i gesuiti e gli olandesi della Compagnia delle Indie, i romanzieri e i cineasti hollywoodiani, Bruce Lee riscattava il popolo dal codino con Shaolin e pugni, e i mercanti e i bottegai diffusi ormai in ogni area del mondo accumulavano dollari sonanti, al punto che un bel giorno, a Wall Street e nelle piazze importanti del trading, si sono resi conto che la Cina ormai è in grado di usare lo stesso strumento con il quale era stata asservita, come arma di ricatto delle finanze mondiali.

A questa constatazione di bravura economica e imprenditoriale si sono aggiunte le realizzazioni tecnico-scientifiche e ingegneristiche, come la ferrovia Pechino-Lhasa, toccante i 5.000 metri sul livello del mare, e quella detta “Via della Seta”, che in giorni e non piú settimane, può collegare Pechino alle maggiori città europee. Wuhan, uno degli scali della linea, era collegata con Bergamo, centro di ricevimento, raccolta e inoltro delle merci alle imprese locali. Che tale insospettabile realtà abbia fatto gridare ai vari Soros «Delenda Pechino!» è assai probabile. Con l’arma di sempre, i dollari, era ormai impossibile, ce ne avevano in abbondanza i cinesi in cassaforte. Bombe, droni, missili e F35 con ogive nucleari erano troppo visibili e rumorosi per non perdere la faccia.

Maga Magò

Maga Magò

Poi qualcuno, magari un vecchio generale dei marines, si è ricordato del cartoon disneyano che i suoi nipoti guardavano piú spesso, “La spada nella roccia” . Tra le varie trovate del film, c’era la scena del duello di magia tra Mago Merlino e Maga Magò. Messo alle strette da un’avversaria scorretta Merlino era ricorso alla genetica, liberando nell’ambiente dello scontro un batterio invisibile ma potentissimo. Magò, improvvida, aveva preso il Malacliptonopterosis, un coronavirus versione Walt Disney, restandone contaminata: febbre e macchie rosse sul corpo avevano costretto Magò a letto, offesa non solo nella propria dignità di maga di primo grado, sconfitta da un infimo batterio, ma ancor piú deturpata nella sua femminilità. «Ecco, un batterio, o meglio un virus, questa è l’idea – deve aver esclamato il vecchio generale. – Fa lo stesso effetto dirompente, ma non si vede né si sente. E blocca, per il tempo che occorre, il nemico!».

Il resto della storia è ormai noto a tutto il mondo. Basta sostituire il coronavirus al batterio di Magò, e la Cina al posto della maga pasticciona. Solo che nella realtà lo stesso Merlino è finito a letto, e la Spada di Verità di Artú è ancora infissa nella roccia della nostra civiltà umana irretita nella pania degli Ostacolatori. Bloccati nell’irrigidimento arimanico, assisteremmo ad uno scoppiettante luciferico spettacolo pirotecnico: l’esplosione di tutte le testate atomiche covate nel ventre dei nostri paesi e deserti. Funghi orrendi salirebbero al cielo, finale apoteosi della superbia umana.

Nuovo RinascimentoPerò siamo convinti che non potrà finire cosí, poiché insieme ai superbi e ai folli votati a distruggere, hanno operato a fare la civiltà umana milioni di anime intemerate e giuste, di genio e dedizione al bene, che hanno tessuto, giorno per giorno, la tela dell’aspirazione al divino, all’immortalità, lasciando segni indelebili. A questi individui di buona volontà e di estro creativo, Arturo Onofri, poeta e rabdomante dello Spirito, nel suo Nuovo Rinascimento come arte dell’Io, affida il compito di edificare la nuova Gerusalemme terrena, che cosí definisce: «Il regno del serafico amore, delle occulte concordanze, delle corrispondenze celesti e terrene, le ineffabili identità fra l’imo e l’eccelso, fra l’increato e il creato».

Unione dunque, simbiosi, afflato di Cielo e Terra, di Uomo e Divinità. Come nel primo giorno, come è stato il connubio umano con Dio. Poi, si sono alzati i venti boreali dell’inverno dell’anima e l’incanto si è rotto. La Mano ci ha lasciati, poiché questo era il nostro destino, questo avevamo chiesto: camminare da soli, per conquistare la nostra libertà. Ma il blizzard soffia, impetuoso e impietoso. Abbiamo una sola via di salvezza: come i pinguini imperatori dell’Antartico, dobbiamo imbastire una danza di gruppo, tante file di corpi serrati uno contro l’altro, ogni distanziamento abolito, la morte, se verrà, non sarà per contagio ma per disagio calorico. Il segreto è l’alternanza ruotante delle file, l’avvicendarsi dell’esposizione al vento polare che, se troppo a lungo sofferto, fa scivolare nel torpore letale. Invece, il virus ci vuole distanti, mascherati, anonimi. In fondo, è proprio questo il progetto finale degli Ostacolatori e dei loro servitori umani: fare dell’Uomo un vuoto a perdere. Per tutti, una sola via di scampo: la forza viva del Pensiero.

È la sola forza eterica in grado di calarsi nella materia e sublimarla, la stessa che il Cristo vinse con il sacrificio del Golgota. Il Pensiero libero dai sensi è il Ramo d’Oro che ci aiuta a passare lo Stige e ritornare ogni volta alla Vita, alla Luce. Dall’oscurità materiale alla luce del Logos.

Un lavoro che dobbiamo fare individualmente, impegnandoci però anche socialmente, per quanto ci è possibile, superando il blocco che ci è stato imposto, che vuole renderci inetti esecutori di quanto stabilito dai poteri che dirigono la politica da dietro le quinte: quel materialismo di cui ha parlato Massimo Scaligero nel suo profetico libro Il marxismo accusa il mondo, che cosí inizia: « Ci viene annunciato da qualche parte che il marxismo è superato. Occorre chiedersi dove è stato superato e se vi sia qualcuno che l’abbia veramente superato, e come. Se non ci fosse il marxismo nel mondo, o sovietico o dei Paesi satelliti, o cinese, o come semplice presenza di partito, la situazione del mondo sarebbe grave: perché la marcia del materialismo si effettuerebbe su tutti i fronti terrestri, indisturbata, legittimata, sotto il segno della democrazia e delle tradizioni. La meccanizzazione della vita, religiosa culturale sociale economica, lo scientismo agnostico, l’intellettualismo privo di ispirazione interiore epperò privo di moralità, lo statalismo raffinatamente legalizzato, continuerebbero tranquillamente la loro opera di automatizzazione e animalizzazione dell’uomo, senza contrasto frontale».

È proprio questa automatizzazione e questa animalizzazione che dobbiamo contrastare e vincere con la spada di Michele, che Massimo Scaligero dichiarava essere la Luce risorta del pensiero vivente.

 

Leonida I. Elliot