La penisola sorrentina, in particolare la zona marina davanti a Punta Campanella, è stata nel tempo luogo privilegiato di presenze legate al mito delle Sirene. Vi sorgeva il tempio Athenaion, dedicato alla dea Atena, la cui fondazione fu attribuita da Strabone a Ulisse, che vi aveva eretto una stipe votiva.
Le fonti storiche escono dal confuso quanto esaltante repertorio mitopoietico che riguarda l’area del promontorio di fronte a Capri, solo grazie a un’epigrafe rupestre in lingua osca, che attesta la localizzazione e l’uso cultuale del santuario da parte delle popolazioni locali e di quelle che costituivano gli equipaggi in transito sulla rotta dall’Oriente a Roma.
L’iscrizione, scoperta solo nel 1985, fu originariamente apposta, nel 172 a.C., in occasione della visita al promontorio e alle strutture del santuario da parte di una deputazione del Senato di Roma, a seguito della consultazione del Libri Sibillini, che raccomandava il restauro del sito d’approdo e la regolare celebrazione di riti propiziatori nel tempio.
Si narrava allora, e la narrazione è giunta sino a noi, che le tre sirene Leucotea, Partenope e Ligeia, non essendo state capaci di sedurre Ulisse con il loro canto, altrimenti irresistibile, si erano lasciate trasportare dalle correnti che dalla Sicilia le avevano condotte fino al promontorio campano. Qui si erano fermate, e il luogo fu da allora popolato da molte altre sirene, che per secoli continuarono, con il loro canto di seduzione, a tentare di catturare l’amore e la vita delle ciurme di passaggio.
Le popolazioni locali, per istinto di devozione e soprattutto per scongiurare il tragico epilogo di quella malía, eressero a Punta Campanella, e anche in altre località della costa, sacelli di culto, di varia grandezza e importanza, dedicati alle sirene.
Qui ogni roccia bagnata dal mare diventa ancora oggi un tempio sonoro, in ricordo di quel canto, che fu ascoltato fino agli anni delle bombe atomiche. Quando cioè l’umanità consumò il crimine ultimo della sua follia: la consunzione della materia vivente, l’estinzione del cantico delle creature. Gli uomini, divenuti astuti predatori, non erano ormai piú capaci di ascoltarlo.
Elideo Tolliani