Della virtú e della bontà del pianto

Socialità

Della virtù e della bontà del pianto

Figli dei fiori

I Figli dei Fiori

India, anni Sessanta e Settanta: schiere di giovani hippy, “Figli dei Fiori” – con lo slogan “mettete i fiori nei vostri cannoni” – lasciavano l’Europa e iniziavano a fumare betel, a bruciare agarbatti, a profumarsi di penetrante patchouli, indossare lunghe collane di rudraksha mala, recitare puja e leggere la Bhagavadgītā. Facevano autostop a rischi estremi in Turchia e Iran. Alle strette, vendevano i loro passaporti, e non solo. Ma valeva la pena: si scopriva, arrivando, un Paese affrancato, ormai del tutto indipendente dal dominio britannico già dal 1948: la meta dei loro itinerari all’inizio non era ciò che illustravano le cartoline turistiche con il Taj Mahal e gli incantatori di serpenti a Bombay e Calcutta.

Comunità hippy a Goa

Comunità hippy a Goa

La maggioranza si procurava i soldi per scendere a Sud per poter oziare per mesi sulle sabbie dorate di Goa, sotto i palmeti e le memorie dei Portoghesi, che avevano doppiato il continente africano e con una batteria di quattro cannoni avevano conquistato il sultanato di Cochin nel Kerala. Favoloso, e tutto sommato a zero costi.

 

La maggioranza dei giovani globetrotter non andava per l’esotico ma per l’estatico: meditazione trascendentale, yoga, medicina ayurvedica. Insomma, dall’India di Kipling, disordinata e troppo umana, a quella di Rabindranath Tagore e Krishnamurti, poetica da Nobel e pseudosantità filosofica, fino all’ashram di Aurobindo a Pondicherry. Gli intellettuali europei stemperavano le loro speculazioni universitarie con la saggezza liquida della mente cellulare di Mère, o tuffandosi nel mare ignoto della teosofia della Blavatski.

 

Iniziavano le migrazioni turistiche grazie all’impiego dei grandi jet intercontinentali: Roma-Bombay in 6 ore. E poi da lí un intero continente da esplorare, con le sue meraviglie. Si degnavano di muoversi dall’Europa paludati accademici, letterati e artisti di grido. 

Ravi Shankar

Ravi Shankar

Al loro seguito si formavano schiere di appassionati dell’India, veri e propri clan aventi come collant emotivo la musica sognante e insinuante del sitar di Ravi Shankar (www.youtube.com/watch?v=n91Vhdrrkss)

 

A.A. Raiba Villaggio

A.A. Raiba  «Villaggio»

o le rappresentazioni iconiche del pittore naïf Abdul Aziz Raiba.

 

I Beatles a Rishikesh con Maharishi Mahesh Yogi

I Beatles a Rishikesh con Maharishi Mahesh Yogi

Si mossero i Beatles, che si unirono ai seguaci del Maharishi, i meditatori che accorrevano a Rishikesh da ogni parte del mondo per donare ogni giorno un fiore al loro guru, oltre che per omaggiare il quartetto già allora entrato nella gloria della musica universale.

 

Pasolini e Moravia in India

Pasolini e Moravia in India

 

L’India era un autentico repertorio di esperienze visive ed emotive. Il celebre scrittore Moravia vi si recò insieme a Pier Paolo Pasolini. Il primo scriveva per il «Corriere della Sera», il secondo per «Il Giorno». Da quel viaggio nacquero in seguito due libri molto diversi per immagini e per sostanza: quello di Moravia ha per titolo Un’idea dell’India, quello di Pasolini L’odore dell’India.

 

Pier Paolo Pasolini restò turbato della grande miseria che vedeva ovunque. Confidò, in un’intervista: «Questa enorme folla vestita praticamente di asciugamani, spirava un senso di miseria, di indigenza indicibile, pareva che tutti fossero appena scampati a un terremoto, e, felici per esserne sopravvissuti, si accontentassero dei pochi stracci».

 

Moravia, in visita ai rilievi tantrici di Khajuraho, rimase folgorato dall’erotismo eterizzante delle figure scolpite, un vero poema di bellezza e armonia di forma e contenuto, capaci di sublimare in ascesi il rapporto carnale. Cosí ne scrive: «Guardiamo un po’ davvicino uno di questi templi. Su una base o tribuna di non grande altezza, il tempio si leva con pareti massicce brulicanti di sculture disposte in processioni sovrapposte. …Le figure, grandi metà del vero e scolpite ad altorilievo, si dedicano al compimento del­l’atto sessuale in cui l’allusione erotica diventa azione, con una sensualità celebrativa ignota alle stesse figurazioni scultoree occidentali. Lo scultore, o gli scultori, hanno serbato un ritmo, un ordine, una cadenza rituale e celebrativa dei templi greci e delle colonne trionfali romane con variazioni dell’atto sessuale in segno armonico e trasfigurativo: la rappresentazione del momento piú intimo, piú segreto, piú misterioso del rapporto amoroso nella sua intrinseca valenza creativa cosmica».

 

A questo momento si riferiscono, è vero, molte opere d’arte anche in Europa, ma si tratta quasi sempre di allusioni, di metafore, perché in Occidente la rappresentazione realistica dell’atto sessuale è stata generalmente ritenuta indescrivibile, mentre gli indiani sono riusciti a farne un oggetto di ritualità mistica, adombrando il divino, ineffabile desiderio che, secondo la religione indú, è al principio delle cose: essenza animante della Genesi.

 

In India si recarono in quegli anni anche i cineasti, alla scoperta di un particolare tipo di cultura riguardante il sociale. Madre Teresa di Calcutta aveva iniziato la sua opera di recupero degli esclusi, e l’esempio della coraggiosa suora albanese cominciò ad essere imitato ovunque, in India e nel mondo. Non sempre però la religione e il pauperismo erano le molle dell’operato di Anjeze Gonxhe Bojaxhiu, per tutti Madre Teresa, che scorgeva il Cristo nei corpi dei miserabili, spesso moribondi, che lei raccoglieva nelle strade portandoli nella “Casa degli Ultimi”, per consentire loro di morire dignitosamente. Madre Teresa giocava a rimpiattino con Gesú, cosí dicevano le sue consorelle, e chi si trovava ad essere presente al fenomeno riusciva a scorgere, sull’esempio di quella suora tutta nodi e solerzia, il volto e il corpo del Croce­fisso sotto i cenci e la carne logora del misero.

Viaggio in Italia

 

A un certo punto giunse in India anche Roberto Rossellini, reduce dai trionfi dei suoi film neorealistici italiani, alcuni dei quali interpretati dalla grande diva Ingrid Bergman, che aveva sposato. Tra questi spiccava “Viaggio in Italia”, il cui finale si risolveva nel miracolo di un pianto liberatorio.

 

Il regista doveva girare un documentario sul Bengala. La regione era celebre per i suoi fenomeni sociali e politici, e anche per la prossimità alle zone sensibili dello scacchiere internazionale, di cui la Cina e la Russia facevano, e fanno tuttora, la parte del leone. E parlando di leoni, il pensiero va alla tigre, che è l’animale simbolo del Bengala, e in quell’epoca se ne catturavano di frodo esemplari che, drogati con potenti sonniferi, venivano caricati clandestinamente sugli aerei cargo, destinati, dopo un volo di dieci ore, in Olanda o in Germania. Il bracconaggio dei grossi felini andava ad animare serragli privati o spettacoli circensi che riscuotevano sicuro successo.

 

Naturalmente Rossellini non era minimamente avvertito del losco traffico di animali proibiti. Era circondato invece da ben altra fauna, quella femminile, tra cui spiccava la bella Sonali, moglie di Hari Dasgupta, un documentarista ex assistente di Jean Renoir. Fu per il regista un colpo di fulmine, e la loro relazione, considerata scandalosa, finí sulle prime pagine di tutti i giornali internazionali. Questo creò a Rossellini non pochi problemi nella conduzione del lavoro, e si risolse in un logorío nervoso che incise pesantemente sulla riuscita finale del documentario commissionato dagli organismi ufficiali, che ne pagavano le spese e ne curavano la diffusione. Fu cosí che in un momento di particolare tensione qualcuno della troupe locale gli parlò di un guru, che in una capanna di frasche della foresta non distante dal set risolveva rovelli animici e mentali di grossa portata. Lui decise di andarci, per cercare sollievo a quel tormento insostenibile che lo stava minando. Il santone lo fece accomodare su una stuoia di paglia, gli prese le mani, lo fissò per un lungo attimo negli occhi ed ecco che un effluvio di lacrime inondò il volto del regista, inarrestabile, cocente, purificatore. Nasceva cosí una topica subito riportata delle cronache dell’epoca: il grande uomo di cultura cinematografica europea si era liberato dai demoni dell’angoscia grazie al magismo del rishi boschivo. Al centro della pratica di rimozione, il pianto a fiumi. La conclusione di quel pianto risolutorio fu la decisione di vivere quell’amore con la bella Sonali e divorziare da Ingrid. 

 

accattona bambinaGli dèi sono particolarmente sensibili al potere del pianto della creatura. Tale atteggiamento di captatio benevolentiae attraverso l’esibizione dei patimenti esistenziali era la cosa che piú colpiva i primi visitatori dell’India degli anni Sessanta: vistose mutilazioni, difetti anatomici e rare malformazioni venivano esibite con una mancanza di pudore che colpiva il visitatore: esibizioni che, si apprendeva poi, rivelavano l’esistenza di veri e propri clan organizzati di mendicità e mostruosità, del resto comuni ad altri ambienti e popoli nella storia tormentata della civiltà umana di ogni latitudine e contesto antropologico. Il piagnisteo rende, e chi viene sollecitato a intervenire non può sottrarsi a un giudizio negativo nel caso si ritraesse senza contrapporvi rimedio.

 

Una umanità piagnona si appresta a celebrare il secondo lockdown per una pandemia di corona virus quanto mai “chiacchierata”: vera o finta, artefatta, comunque presente nel quotidiano del pianeta. E se la presenza del virus non è stata avvertita per motivi di ubicazione geografica, ecco mobilitarsi persino, come è accaduto nelle Filippine, flottiglie di sampan e zatteroni a frastornare gli ignari abitanti degli atolli piú sperduti dell’arcipelago, portando l’infausta avvertenza che il morbo non risparmierà neppure quei lembi di paradiso da sempre lontani da influssi nefasti di qualunque tabe biogenetica.

 

Questo il messaggio: non ci si può sottrarre impunemente da una comunanza epidemica che muove capitali. Ed ecco arrivare le nuove restrizioni, preannunciate già nel corso delle prime restrizioni, e con la consapevolezza che il moto pandemico non è piú saltuario, occasionale, ma vige ormai in forma endemica e si sviluppa, vive e contamina con gli umori del mercato azionario e non secondo l’iter canonico.

 

E allo stesso modo che in India l’accattonaggio si serviva, e tuttora si serve, di plateali esibizioni delle menomazioni, ecco improntare metodi di sollecitazione pietistica per indurre la pubblica opinione a valutare drammaticamente il corso di un morbo che è come un’influenza di stagione.

 

La Divinità non esige una umanità in gramaglie, poiché si è annunciata come Via, Verità e Vita. Sta a noi imboccare la via giusta, dire in ogni frangente la verità, rivolgerci al Creatore con la dignità e la consapevolezza di essere suoi figli.

 

Ma la tentazione di essere unici persino nel fallimento è sempre in agguato, e viene usata dalle forze del male proprio per confezionare la nostra (falsa) consapevolezza di aver esagerato col ridurre il pianeta a una discarica di ogni rifiuto: dal materico al genetico, dall’animale all’umano. Viene alimentato ad arte un senso di colpa cosmico: tutto quello che di male è capitato è senza dubbio colpa nostra. In seguito a tale senso di colpa regresso, si afferma uno slancio espiatorio che non aggiusta il male né supera l’errore. Nascono per risulta etica i movimenti amicali in cui l’espiazione consiste nel farsi male. La pandemia potrebbe costituire un sistema equo per appianare residui di un pubblico malessere. Nascono movimenti messianici, millenaristi, chiliasti. Profeti di vario calibro e acqua di coltura prospettano catastrofi e consigliano piani di sopravvivenza con ceri benedetti, scorte d’acqua e olio vergine d’oliva spremuto a mano.

 

Insomma, farebbe piacere a molti essere l’ultimo dei mohicani in un mondo in liquidazione fallimentare. Essere i giustizieri della notte eterna. Secondo coloro che ritengono di avere un potere decisionale universale, compito delle masse è consumare, pagare le bollette, portare i figli a scuola, e magari nel weekend mettersi in coda sull’A4 e riuscire a superare indenni il Passante di Mestre. Cosa chiedere di piú? Anche il Covid è un ben organizzato ingorgo stradale, e a quelli che lo supereranno si progetta di donare una T-shirt con su scritto “Ce l’ho fatta!”.

 

Per gli antichi era segno di nobiltà d’animo piangere in pubblico, magari forzando toni e modi. Le tragedie che hanno portato la nostra civiltà a un disperato bisogno di espiazione, finanche attraverso una decimazione pandemica, hanno tutto il sapore di un suicidio di massa. Ma il tempo nuovo richiede uomini nuovi, che vogliono salvare il progetto delle creature destinate a trasumanare, divinizzandosi in un finale cosmico pianto assolutorio.

 

Leonida I. Elliot