Ad Arcachon un essere silvano
o marino che fosse tratteneva
le dune che separano la folta
vasta pineta della terraferma
dall’oceano infinito: con paletti
e schermi divisori quei prodigi
s’innalzavano al cielo d’Aquitania
e non un grano scivolava in basso.
Nessuno ripagava la fatica
dell’uomo, se non l’ansia di vedere
staccarsi dalla cima delle dune
uomini alati, liberi dal giogo
della materia bruta e farsi angeli
turbinanti nel cielo blu cobalto.
Accadde tempo fa, ma spesso viene
nell’interregno tra realtà e chimera
quell’uomo di Arcachon nei dormiveglia
umbratili di autunno, bisbigliando:
«Aggiusta la tua duna, che a ogni uomo
è dato soprattutto quel potere
di alzarsi in volo alto sull’oceano
di maelstrom infidi e bucanieri
ch’è diventato il mondo. Aggiusta il dosso
di conchiglie e coralli, ricompattalo
malgrado il vento e il calpestío sacrilego
di chi da tempo ha perso fiato e ali
e lo slancio dell’anima per farsi
piú leggera dell’aria, ritrovando,
nel sollevarsi in volo alla portanza,
l’eternità oltre la lontananza».
Fulvio Di Lieto