Annio e Gelodemo

Considerazioni
Annio e Gelodemo

Il Principio, i Principini, i Sudditi

Il principio

 

All’inizio ci dev’essere stato un principio. Doveva essere unico, altrimenti non sarebbe stato un princi­pio. Perciò fu “Il Principio”. Non avendo contrapposi­zioni né oppositori, si modificò o, per maggior preci­sione, volle modificare una parte di sé. Molte furono le conseguenze che ne derivarono. Nacque una prima dicotomia la quale, per essere ed operare come dico­tomia, aggiunse continue varianti all’alterazione ori­ginaria, per cui, dopo un periodo talmente lungo che non ha nemmeno senso specificarne la durata, l’assie­me delle variazioni, contenenti ognuna una particella ancorché minima del Tutt’Uno originario, dilagò per ogni dove, estendendosi con uno sviluppo inarrestabile. Presto o tardi (del resto non c’era nessuno in grado di accelerare o ritardare il processo) ciascuna presenza in sé racchiusa, completa e consolidata, avrebbe acquisito specifiche caratteristiche.

 

Dal Principio erano nati i Principini; ora toccava loro gestire la nuova situazione incrementale che non cessava di propagarsi e che avrebbe continuato a farlo per molto tempo ancora…

 

Prima dell’Anelito alla Libertà, venne la Coscienza di Sé, e questa fu una seconda grande Dicoto­mia, perché le due cose non potevano coesistere in nessun Principino senza creare profonde discrepan­ze e turbative intestine. Ogni scissione, in apparenza risolutrice, portava ad ulteriori esigenze di con­trasto e di separazione, per cui, nel prodigioso mondo dei fenomeni complessi, si può dire non ci fosse un attimo di stasi né di riposo. Le leggi dell’Unico Macrocosmo Generale si trasferirono di peso nella miriade di Microcosmi Particolari, ove divennero dinamica di vita, quindi separazionismo, istinto di conservazione, lotta per la sopravvivenza, oblio dell’origine, perciò ignoranza del futuro.

 

Ogni contrapposizione, perfino la piú inappagante e distruttiva che è quella con se stessi, sorge da una Dicotomia, o da una Dualità. Nei tempi, questa venne chiamata in molti modi, con diversi nomi. Anche questo scritto presenta due termini per indicarla, forse inappropriati, forse ridicoli, magari inutili, ma non devono per forza convincere qualcuno. Si desidera solamente richiamare l’attenzione degli eventuali cortesi lettori, sul fatto che il dinamismo richiesto da quella manifestazione biofisica detta anche “vita”, è lavoro, e come ogni lavoro richiede uno sforzo continuativo.

 

Se inoltre si possiede la capacità o la fantasia di dare un senso a questo sforzo, proiettandolo verso una meta travalicante la barriera degli egoismi, allora – ma solo allora – si potrà dire se ne sia valsa la pena. In tal caso, anche i riferimenti nominativi qui riportati saranno stati funzionali.

 

Tante cose sono state scritte e raccontate sul dualismo, sulle opposizioni, sulle lotte e sugli scontri che hanno infiammato gli animi umani e non di rado anche il pianeta su cui sono scesi. Ma quando si toglie ai contrasti, armati e non, il primario significato d’essere autentici catalizzatori di una ricerca piú virtuosa che virtuale, tutte le considerazioni dialettiche e speculative che riferiscono al tema, lasciano il tempo che trovano.

 

Come lungo certi litorali, le brezze di terra e di mare spirano per un po’ di tempo, poi si placano assottigliandosi in un soffio di cui non resta traccia, i corollari concettuali critici del Dualismo svaniscono nel nulla, mentre la logica impietosa dei contrapposti ci muove di passo in passo sul cammino dell’Evoluzione. Accorgersene sarebbe indispensabile; ma funziona solo se non sollecitati dalla necessità.

 

Sta a noi studiare la natura dei Principini, degli opposti, degli oppositori e dei loro moti dicotomici; capirli sempre meglio per adoperarne un giorno la forza che li anima, con una saggezza ed un rispetto, umanamente mai dimostrati finora. Lo scontro, la contrapposizione, non è il male; il male è confondere tra loro (vuoi per ignoranza, vuoi per opportunismo, vuoi per codardía) le polarità da cui scaturiscono le forze che confluiscono e in qualche modo vengono a collisione.

 

Ho voluto mettere un nome a questo articolo. Penso sia giusto dare un nome a ciò di cui si desidera parlare, prima di tutto perché in questo modo si stabilisce un riferimento continuativo e uscire dal tema diventa difficile, in secondo luogo perché fa parte della nostra tradizione indicare ogni cosa col suo nome, in modo che se scappa via puoi sempre farti aiutare da qualche volontario di buon cuore a riac­chiapparla, come si fa quando scompare per le strade il gatto di casa e al proprietario desolato non rimane che affiggere sui muri del rione, sugli alberi e sui pali della luce, le fotocopie sbiadite con le caratteristiche della bestiola, nonché il nome bene evidenziato in testa.

 

Qui però nel titolo i nomi sono due, e allora sento il dovere di fornire qualche chiarimento ulteriore, altrimenti anziché spiegare finirei per confondere.

 

Mi pare che il caso in esame possa costituire un’eccezione alla regola; ci sono sempre moltissime eccezioni alle regole; piú si va avanti e piú le eccezioni spuntano come margherite in primavera. Mi mettono un po’ a disagio, ho la strana sensazione di vedere il numero delle regole sgretolarsi, contrarsi, svaporare sotto l’incalzare delle deroghe, dei corollari, degli allegati d’aggiornamento attuativo e di tutte le varianti che l’ipocrisia burocratense celebra con il rito del “Salvo Intese”; un mesto finalino nel quale si prospettano già le vie di fuga per quanti, dopo aver straripato in promesse e assicurazioni, non abbiano ancora preparato valigia e passaporto.

 

Ma al pari dell’Apprendista Stregone, incapace di arrestare la marcia delle scope acquaiole, temo che la mia ignoranza delle password atte a fermare il sortilegio, possa in qualche modo aver concorso al suo affermarsi.

 

 

Nel titolo i nomi sono due, è vero; ma si tratta in fondo di un’unica cosa, vista, diciamo cosí, da due posizioni dapprima antitetiche se non contrapposte, e poi lentamente frammischiate, cincischiate, rivedute e manomesse nel corso del tempo, di modo che, attualmente, nessuno è ben sicuro se quel che gli si presenta davanti (o da dentro) è una realtà illusoria o una illusione realistica.

 

Che ciascun rappresentante dell’umano consorzio si porti sulle spalle fin dalla nascita un Angiolino e un Diavoletto, è una opinione non molto diffusa al giorno d’oggi; rientra nel gruppo piuttosto ristretto delle leggende catechistiche e dei miti di sa­crestia infantile. Eppure, nemmeno gli esponenti duri e puri ap­partenenti all’ala intransigente delle scienze esatte (esatte secon­do una indimostrabile presunzione d’esattezza) sono mai stati in grado di presentare un’ufficiale smentita in merito. Per cui vado avanti convinto (piú o meno) d’essere (quasi) nel giusto.

 

Luce e Tenebra, Bene e Male, Amore e Odio, Teodicea e Ius Solis: sono termini rappresentativi dell’inclinazione umana a soppesare le vicende della vita mediante una sorta di bilancia interiore, che per l’appunto ha la funzione critica di porre sui suoi piatti il succo delle questioni e di stabilirne l’onere materiale e morale. Naturalmente su sette miliardi circa di popolazione mondiale vi sono altrettante scalette o tarature degli strumenti misurativi, che ovviamente portano ad un pari cumulo di risultati diversi. Dev’essere per questo che i Tribunali sono spesso ultra-intasati e la macchina della Giustizia umana stenta ad affermare il principio per cui è sorta: “La legge è eguale per tutti”. Dovevano aggiungerci un “Salvo Intese” anche qui. Ma siamo ancora in tempo.

 

Col passar dei secoli, dicevo, le nostre raffigurazioni dell’Angelo e del Diavolo, considerati a livello individuale, sono diventate sempre piú labili, scolorite; i contorni sembrano indefiniti, le forme sva­ghite e la visione d’insieme infoschita e appannata; come per gli affreschi murali, per le statue e per le fontane dell’antica Roma: la consunzione e l’erosione hanno reso a volte irriconoscibile ciò che nel tempo che fu risultava perfettamente individuabile.

 

Ora, come è noto, consunzione ed erosione sono due fenomeni prevalentemente atmosferici, ma quando agiscono di conserva nelle anime umane prendono i nomi di confusione ed equivoco; insomma una specie di autoinganno dovuto, sí, ad agenti esterni (sventure, dolori, guerre, pestilenze, accartoc­ciamenti sentimentali ecc.), ma in buona parte anche ad una certa ingenuità, una data pigrizia mentale e corporea, una predisposizione alle facili devianze e, perché no? anche ad una dose di superficialità a stento mascherata da spensieratezza.

 

Bilancia

 

L’Angelo e il Demonio si fondono, o meglio, li abbiamo fusi e, nel ricomporli, i loro specifici ruoli sono stati interscambiati. Non tutti, ovviamente, ma quel che basta affinché l’antico dualismo (che rese felici i Manichei) ai giorni nostri, non sia piú riproponibile. Ove lo fosse, diverrebbe imbarazzante come i peperoni maldigeriti; a meno che non si osservi l’usanza mediorientale del dopopasto, il nostro profilo social ne uscirebbe stigmatizzato.

 

A questo punto che succede alla nostra bilancia interiore? Succede che di fronte ad una commistione di intenti e di idee che tende a parifi­care il bianco col nero, l’utile col fatuo, la durata con l’estemporaneità, e il sacro con l’empio (passando per un imprescindibile diritto all’ugua­glianza tra fisico e metafisico, tra virtú e abilità, tra quantità e qualità) i due piatti restano allo stesso livello. Non ci sono differenze da rilevare. Ma una cosa è che le differenze abbiano cessato d’esserci, un’altra è che la bilancia non riesca piú a valutarle.

 

È mia abitudine, non so se buona o meno, ma spero buona, di portare degli esempi per meglio illustrare le riflessioni esposte. Nel caso in esame, mi trovo nell’imbarazzo della scelta; è un imbarazzo per eccesso, non certo per difetto; la casistica abbonda. Come sempre sceglierò i fatti piú eclatanti e poi ciascuno potrà rivederseli per conto suo, onde constatare la misura, se collima, e il confronto, se regge.

 

Il non saper piú ravvisare l’Angelo, al punto di confonderlo col suo antagonista per eccellenza, potrebbe venir visto come un’esagerazione cui si ricorre in certe dimostrazioni di logica spiegate un po’ alla garibaldina; per assurdo si dimostra che quanto dovrebbe esserci non c’è, e quanto pare non esserci proprio, invece c’è. Il Principio d’Indeterminatezza di Heisenberg ha concesso alla Scienza una cosa in piú, ma ha lasciato il mondo con qualcosa in meno.

 

Perché ricorrere dunque alla sezione speciale di Trucchi, Espedienti ed altri Allettamenti della ricerca scientifica? Abbiamo ogni giorno sotto gli occhi centinaia di casi in cui il nostro passato potere di discernimento e di perspicacia si è addormentato ed il nostro ego, ebbro di gioia per la conseguente sensazione di libertà, da novello Duca di Mantova, s’è messo a strillare a squarciagola «Questa o quella per me pari sono»…

 

Potrei rimarcare l’ambiguità dell’uso degli aggettivi “positivo” e “negativo”: se li dedico ad un lavoratore, hanno un senso, se riguardano il suo stato di salute, suonano diversamente. Oppure si può parlare delle “mascherine d.d.p.”: è necessario indossarle, ma poi ti dicono che tale precauzione è a favore di terzi. Allora, mi chiedo, perché la campagna di sensibilizzazione viene fatta come se riguardasse l’incolumità personale di chi deve indossarla? È un atto di amore verso gli altri o no? Se lo è, perché non dirlo con chiarezza?

 

Da qui è facile passare agli opinionisti, ai consulenti ed agli esperti (ci sarebbero pure i politici, ma non rientrano nelle categorie richiamate) che molto dicono sul Covid 19; il guaio è che – non so se lo fanno apposta – ma i piú seri ed interessanti appaiono scoloriti, bruttarelli, imbranati e insicuri, bofon­chiano e s’impaperano. Si fatica non solo a capirli, ma pure ad ascoltarli. I tromboni incalliti, invece, sono sempre splendidi, si presentano con un aplomb di tutto rispetto, e anche se ti dicono che oggi è giovedí e sono le 12.35, lo fanno con una classe ed una dizione talmente accattivante, che non vedi l’ora di poterli riascoltare nel TG della sera a ripetere la medesima sceneggiata.

 

Che mettere ancora nella pentola per cuocere l’amaro minestrone della cicoria antinomistica? Nel settore non secondario della vendita delle automobili, la pubblicità che studia ogni nostra zona d’om­bra nascosta, ci suggerisce la moderna bellezza e la praticità dei motori Hybrid; il termine “ibrido” è uscito allo scoperto, e da quel povero derelitto che era, vestito a festa l’hanno promosso ai piani supe­riori. «Tu che macchina hai?». «Oh, sai, ho preso una Hybrid; ormai non se ne può fare a meno!». Solo cinquant’anni fa, se un figlio avesse detto al padre: «Papà, mi piacerebbe avere una Hybrid», si sarebbe beccato un ceffone.

 

Potrei trovare un’ulteriore conferma di questa situazione, portando esempi di recenti casi giudiziari ove la sentenza ordinaria di primo grado è stata ribaltata da quella d’Appello, la quale a sua volta (dopo una decina di anni) è stata smentita dalla Cassazione. Ne derivano cosí due effetti strettamente contigui ma di diversa portata: il reo ha la sventura di sopportare il peso di una condanna ad intermittenza; ogni cinque o sei anni la società lo indica meritevole di pena, e ogni altri cinque o sei, lo assolve in quanto non esecutore del fatto, o per insussistenza del medesimo.

 

L’altro effetto, ben piú deleterio in quanto distrugge sul nascere ogni velleità da parte della pubblica opinione di conoscere il vero e di poterlo quindi distinguere dal falso, è che cosí facendo la fiducia nelle istituzioni, in questo caso nella magistratura, si riduce al livello piú basso. Il Principio illuminante della Giustizia, che sarebbe dovuto splendere con forza solare, causa il manchevole funzionamento della proverbiale bilancia, è stato portato ora a livello “suolare” e non si vede neppure in lontananza chi possa tirarlo su. Quanti speravano nell’ Associazione Nazionale dei Magistrati, dovranno rivedersi le idee, anche se dubito che riescano a cogliere la stortura intrinseca che oramai rinserra e limita le loro funzioni, virtualmente etiche, in seno alla società civile.

 

Annio e Gelodemo

 

A chi deve affrontare le vie legali per ottenere un po’ di giustizia, l’Angelo Demonio 1 (An-nio) suggerisce con disarmante improntitudine: «Ma che vuoi affrontare tu! Non lo sai che è questione di Karma? Se deve andare cosí, ogni tuo combattimento è già perduto in partenza!». E l’altro compare, Angelo Demonio 2 (Gelo-demo) mor­mora con dolcezza all’orecchio: «Il Tribunale? Ma figu­rati! È tutto un terno al lotto. Pensa, una volta una parente della moglie di un amico di mio cugino Alfonso, che sta in riviera, ha avuto bisogno di prendersi un legale per una vertenza contro l’amministratore dello stabile che aveva…» e bla, bla, bla.

 

Che fare dunque? (Preoccupazione). Meglio lasciar perdere. (Scoraggiamento). Tanto a questo mondo non c’è giustizia. (Abbattimento). Peccato che a colui il quale cosí pensa (recte: è stato indotto a pensare) Annio e Gelodemo abbiano tolto pure l’idea, la fiducia e la speranza che esiste un Altro Mondo, dove invece c’è solo piena perfetta Giustizia, talmente bella, saggia e buona, da potersi contemplare come divina. Il grande compito dell’uomo, il senso dell’avventura sua e di tutti i Principini che lo contornano nell’immensità dell’universo, è quello di ricreare ex novo un mondo pari a quello.

 

Questo tuttavia il nostro amico umano non solo non deve saperlo, ma neppure tentar di crederci.

 

Il sordido lavorío dei due Angelo-Diavolicchi è di una faticaccia ostacolatrice ingrata ed iniqua. Ma è anche piena di soddisfazioni. Specialmente per loro. Probabilmente questa illustrazione che dal forense è sconfinata nel metafisico non basterà a convalidare i nostri assunti, per cui cambio registro e dalla bilancia della giustizia, passo alla bilancia della politica, perché, anche se non rileva, pure qui abbiamo molti do ut des da mettere a soppesare, in termini di decisioni, di scelte e di comportamenti tra organi governativi e cittadinanza. Specialmente in tempo di “Coronavirus”.

 

Rascel

 

Come si vede, siamo in piena attualità; dovendo abbinare una musi­china introduttiva al cambio di argomento, sceglierei il buon vecchio Renato Rascel con la sua “È arrivata la bufera”. Mi sembra appropriata.

 

Prendiamo, a rafforzare l’esempio, due opinioni piuttosto “robuste”, nel senso che provengono da fonti autorevoli aventi quindi un grado di attendibilità considerevole. Pochi mesi or sono, nel periodo che può definirsi di prima ondata del contagio, uno tra i quotidiani nazionali maggiori recava la notizia: “ La pandemia, al di là dei pericoli e delle problematiche sanitarie, rafforza i vincoli di solidarietà tra i cittadini. Il male comune viene condiviso e sopportato assieme, le divergenze appianate, azzerate le disuguaglianze”. Seguiva un servizio fotografico in cui si vedeva la gente che sorrideva salutando dai balconi apposita­mente agghindati con fiori e altre decorazioni, qualcuno, con la fisar­monica, la chitarra o la pianola, contribuiva a formare dei coretti trans-condominiali. Tutto questo per indicare una reazione unitaria ed anche coraggiosa da parte di una popolazione ricca di fiducia nelle istituzioni e nella relativa organizzazione sanitaria. In quel momento valeva per davvero lo slogan sbandierato: «Ce la faremo!», seguito da un entusiastico: «Andrà tutto bene!».

 

Non piú tardi di ieri, invece, il Primo Rappresentante del Paese ha espresso pubblicamente, col tono semifunereo di sempre, ma stavolta maggiormente giustificato, un’accorata preoccupazione evidente­mente congiunta ai disordini di piazza che si sono verificati nella notte precedente, contro le nuove restrizioni: «Mi auguro che tutto questo non acuisca le divergenze tra le categorie di lavoratori e delle classi sociali».

 

Quindi, all’arrivo della seconda ondata morbosa, il quadro della situazione è mutato radicalmente. Con questa ricerca mi propongo tuttavia di non badare tanto alle discrepanze ed ai controsensi pubblici o privati che siano; in fondo è perfettamente umano accettare l’idea che in un primo tempo la speranza induca all’ottimismo e, perdurando poi, anzi, recrudescendo il male, essa si affievolisca, cedendo posto al disagio e allo sconforto.

 

Quel che mi preme maggiormente qui è osservare e far osservare come il gioco dei due Angelo-Demoni sia stato portato ad effetto e abbia astutamente rimestato nell’intimità dell’uomo il valore della virtú, mischiandola con l’incapacità di viverla a fondo, il panico collettivo esasperato con la brama di distruzione, il velleitarismo di una fiducia ormai esausta con l’angoscia d’imporre al mondo intero il proprio dramma personale (spesso consistente nel chiuder bottega a tempo indeterminato).

 

Che dice la nostra bilancia sul senso di unitarietà della popolazione? I piatti restano ancora fermi ed allineati: se il grado di pericolo è recepito come lieve e in via di risoluzione, prevale ovunque la facile serenità; se il pericolo viene avvertito come grave e sopravanzante, la turbativa delle anime o le fa scendere nelle piazze o le fa macerare nelle case. La misurazione degli scompensi presenta un divario enorme in senso quantitativo, ma non è cosí sul piano qualitativo: quando l’impreparazione è pari all’immaturità e l’incapacità di decidere sta in equilibrio col timore di perdere quel che si ha, la pesata del dio Thot non trova nulla da rimarcare.

 

Spiccano molto, in questi mesi di pandemia Covid 19, i provvedimenti indirizzati a contenere il propagarsi del virus. Ci sono stati cortei e manifestazioni, diciamo pure tafferugli, di rabbiosa protesta contro le parziali serrate di lockdown. I lavoratori (autonomi, imprenditori, esercenti, mestieranti ed altre categorie a rischio di non combinare il pranzo con la cena) reclamano a gran voce di poter continuare lo svolgimento delle attività. È l’obiettivo primario. Senza soldi non si campa.

 

Lo Stato, attraverso il proprio esecutivo, si pone invece un traguardo diverso, anch’esso di primaria importanza e comunque non certo inferiore al primo: vorrebbe risparmiare nuovi lutti ad una popola­zione che ha già pagato un pesante contributo in tal senso, ma che tuttavia oggi non concorda piú sul modus operandi disposto dall’alto ex cathedra. Lo avverte come una minaccia per la libertà delle scelte individuali (vedi, a volte, in quali momenti si tira fuori la briscola delle libertà!) e ci si ribella ad ulteriori restringimenti di presupposta salvaguardia.

 

L’alternativa dell’anno, ridotta all’osso, recita cosí: o ammalati con la pancia piena o sopravvissuti (forse sani) ma a stomaco vuoto.

 

Da quale parte pende ora la famosa bilancia? Ancora una volta vi è la stasi; tanti sono coloro che, magari a malincuore e a denti stretti, sentono il dovere di accettare le nuove impo/dispo-sizioni statali, regionali o comunali; molti di meno sono coloro che non vedono l’ora di scendere nelle strade e met­tere a soqquadro le città, per sfogare la tensione repressa, esacerbati qualche volta per il virus, altre volte per complicanze psicointestinali, sulla cui analisi per ora non necessita soffermarsi.

 

«Ma allora – interverrà qualche benpensante-in-proprio – siamo a cavallo. Se i bravi cittadini sono molto piú numerosi dei birbaccioni, è evidente che tutto andrà bene e le cose torneranno come erano prima che cominciassero ad agitarsi».

 

L’idea non mi dispiace, l’ottimismo quando non offende la ragione è una forza di vita. Purtroppo dobbiamo fare i conti su un piano diverso, dove la vecchia aritmetica non ci aiuta piú.

 

«L’assalto al forno delle grucce»

«L’assalto al forno delle grucce»

 

Per quanto scarsi nel numero, tra i rivoltosi d’ogni rivoluzione confluiscono elementi che non hanno nulla da perdere, che provano ostilità e avversione per quanti abbiano saputo costruirsi un’ancorché minima edificazione nella famiglia, nel lavoro e nella società; sobillati ad arte da correnti trasversali d’ordine, colore e matrice non classificabili (appartenenti comunque al genere delle pestilenze psico-collettive che poco o nulla c’entrano con i temi della contestazione) gli animi facinorosi s’infiammano, si scalmanano al punto giusto e viene l’ora in cui ai piú lesti della brigata vien dato il compito d’innescare i deto­natori e dar fuoco alle polveri.

 

Se tutto ciò è visto e valutato come trama di un iper­bolico romanzo di fantapolitica, ritenendo che nell’epoca attuale certe cose non possano verificarsi ex novo, io rac­comando ai medesimi critici di andarsi a rileggere i capi­toli de I Promessi Sposi, nei quali il Manzoni racconta la rivolta popolare di Milano (quella che anticipa di poco la peste) e analizza, da par suo, le premesse e le ragioni, non sempre palesi, di un malessere serpeggiante che si diffon­de a macchia d’olio, sordido e rancoroso, senza badare a chi e a come; giacché pure questo è l’uomo: incastrato e compresso nel pozzo della disperazione, progetta spropo­siti e compie misfatti d’ogni sorta, convintosi che al mo­mento siano ciò che va fatto, storicamente giustificabile, doloroso ma ineccepibile.

 

Le belligeranze civili (sic!), spaccate su due fronti, sono impari nel numero; gli inerti superano di gran lunga gli agitati, ma ognuno di quei pochi, deciso che nulla vi è da perdere e forse qualcosina da guadagnare, vale purtroppo, nel clima iperteso di violenza e di sopraffazione, quanto cento e piú degli altri.

 

Smart fighting

 

Tra questi ultimi, c’insegna la storia, costituenti una massa tanto silenziosa quanto anonima, vi sono pure quelli che attendono il passaggio dell’occhio del ciclone sopra le teste, per poi, allorquando dal caos comincia a profilarsi la parte definibile “vincente”, saltare sul carro di Nike, mostrare a tutti che “c’ero anch’io” e pretendere i diritti e i privilegi di quanti hanno combattuto per davvero, e non rintanati in soffitte o cantine in modalità smartfighting.

 

Ancora una volta, quindi, ci è dato di poter os­servare con occhio attento e sereno (si fa per dire) questo fenomeno: ogni sorta di lotta tra uomini e anche di lotta con se stessi (i dissidi interiori non mancano mai, anche se non riempiono le pagine della cronaca) rappresenta un successo provvisorio dei due armigeri, Annio e Gelodemo. Qualsiasi guerra è lo scontro di due ignoranze; si può dar torto al Mahatma? Egli, buon’anima, le chiamò ignoranze; noi con qualche decennio di esperienza in piú potremmo chiamarle astuzie o raggiramento di sudditi incapaci.

 

Ho voluto appositamente fondere i nomi originari (Angelo e Demonio) proprio per sottolineare la frammistione che abbiamo fatto dei loro significati e le concessioni con le quali abbiamo trasferito all’uno alcuni caratteri tipici dell’altro e viceversa, sino a renderli due maschere irriconoscibili, nate dall’uso sconsiderato della nostra libertà interpretativa. Anche qui la parola libertà è usata in modo subdolo, il termine esatto è licenza, ma per le ragioni che sto via via illustrando, anche il binomio libertà-licenza è stato abusato fino a far dimenticare che tra i due significati corre (per lo meno, correva) un confine invalicabile.

 

Famiglia

 

L’ideale molto di moda e condiviso a parole, dei “confini aperti a tutti” è in sé sublime; applicarlo nel concreto da parte di esseri immaturi, privi di orientamento spirituale e gonfi di riserve mentali, è un dramma dell’odierna follia la quale crede che basti pensare ad una cosa bella affinché questa assuma una reale consistenza estetica.

 

Entro adesso in un tema scottante (non che gli altri siano tiepidi, ma questo che vado ad introdurre è si­curamente sentito a fondo da molti: riguarda la fami­glia, le nostre famiglie. Secondo una recente presa di posizione del Vaticano, è cosa buona e giusta (poco fa ho parlato di una cosa bella, qui uso solo gli ag­gettivi di buona e giusta, il bello lo lascio da parte) che le coppie omosessuali possano formarsi una fa­miglia, e anzi, quelle che già ci sono, siano d’ora in avanti considerate alla stregua di una vera e propria famiglia come le altre.

 

Col massimo rispetto per il pulpito da cui pro­viene tale opinione e per la delicatezza dell’argomento, che si lega agli intimi recessi della natura umana, mi astengo dal commentare. Ho trovato tuttavia nella letteratura d’epoca l’incipit posto da Leon Tolstoi al suo Anna Karenina, e mi sono permesso di adattarlo alla circostanza in predicato. Ciò che ne salta fuori non esaurisce quello che avrei voluto dire, ma è abbastanza indicativo per intravedere un distinguo importante resosi in questi ultimi anni sempre piú urgente e necessario: «Tutte le famiglie eterosessuali si assomigliano fra loro, ogni famiglia omosessuale è omosessuale a modo suo».

 

Annio e Gelodemo devono essere di tanto in tanto ostacolati dai sudditi; a costo di andare a parafrasare i capolavori russi. Si scopre allora che pure l’imbroglione, al pari dell’Ostacolatore piú esperto, può venire a sua volta giocato. La cosa vale per poco, non se ne ricava un gran vanto, ma quando il gioco si fa duro anche una vittoria di Pirro diventa uno spunto di consolazione.

 

La guerra dei mondi

 

Proseguo ma non cambio argomento, il tema princi­pale è sempre quello: o accettiamo il regime dei Princi­pini che non riconoscono piú il Principio da cui sono provenuti, e allora siamo alla Guerra dei Mondi e di tutti contro tutti, oppure ci immergiamo in un bagno di disonesto candore, fingiamo che tutto vada per il me­glio, che non ci sia alcuna evoluzione da mantenere sul­la retta via, che tutto sommato esistano al mondo parec­chie sue parti in cui si può godere la libertà o qualche cosa che le assomiglia molto, se possiedi denaro e potere a sufficienza, e che la vita, anche se non se ne capisce an­cora il senso, ti offre delle grosse opportunità per man­tenerti adeguatamente felice.

 

A leggerlo sembra un outing di Trump, e forse lo è dav­vero. La democrazia liberal-capitalistica altro non sa che volere sudditi eleganti e accondiscendenti, poco importa se interiormente avariati. Contestarla serve poco, è tanto inutile quanto portare ci­vette ad Atena, dicevano gli antichi Greci, che evidentemente sulla vanesía umana la sapevano lunga. D’altra parte, in un regime di Principini i sudditi ci stanno bene.

 

Halloween

 

Siamo a poche settimane di distanza dal Natale. È tempo di richiamarlo nei nostri discorsi, perché è proprio con alcune riflessioni sul Natale che vorrei concludere il tema di questo mese. Prima però vorrei trattenermi su qualcosa da poco concluso: un simpatico intoppo che si chiama Halloween. È una versione soft (mica poi tanto!) per condurre l’innocenza dei bambini verso un’illecita, empia commistione di percezioni e sensa­zioni, dalle quali ogni rettitudine del pensare è esclusa a priori. Si prefigge il compito di far sí che i bimbi socia­lizzino col mostruoso, con l’orrorifico, con le paure ancestrali (che a livello infantile sono delle precise e attente sentinelle dell’anima) e comincino a provare per questa sarabanda grotte­sca di spiriti, scheletri, maghetti, stre­ghette e compagnia brutta, una dispo­nibilità, o meglio un’empatia, tutelata e favorita da genitori attuariati e da educatori radical chic, per confondere definitivamente e fin dall’inizio le rappresentazioni dell’Angelo e del Diavolo, per conseguenza perdere se stessi nel groviglio esistenziale.

 

Natività

 

Con una premessa di questa specie, cosa resta del Natale che verrà? La logica dello “scherzetto o dol­cetto” che ci fa sorridere nella sua friabile ingenuità, non viene ravvisata dal mondo degli adulti, dai respon­sabili culturali, come pervasiva e maligna; non ci si accorge dell’inganno, e vi caschiamo dentro, allegri e spensierati, assieme ai nostri bambini simpaticamente travestiti da zombie.

 

La stampa e altri organi di diffusione hanno già an­nunciato la loro seria preoccupazione circa il Natale del 2020. Ho sperato: “Finalmente qualcuno ha inquadrato il problema!”. Non è cosí: la massima preoccupazione circolante in questo momento nel mondo dei civilizzati, consiste nel fatto che «…se si dovesse arrivare al punto di imporre un lockdown al periodo natalizio, circa ventiquattro miliardi di euro che sarebbero stati spesi tra regali, cenoni, canti e balli, andrebbero in fumo! Una perdita irrecuperabile per la nostra economia asfittica».

 

Questa è la catastrofe temuta dai materialisti, nel tempo in cui l’umanità viene attaccata spietata­mente da avversari interiori camuffati da eventi esteriori!

 

Prendo tale risposta come la reazione popolare di una sedicente collettività cristiana di fronte a quanto succede oggi nel paese e nel mondo. Rimango paralizzato. Davanti a tanta follia, davanti all’insana adorazione della seduzione consumistica e della vuotaggine fobico-carestiale che le sta alle calcagna, mi sento incapace di agire; posso contestare e affrontare molti uomini e donne induriti e despiritualizzati, ma non sono ancora pronto ad esorcizzare ossessi e invasati.

 

In una situazione come questa, la pandemia che imperversa è forse l’unica cosa chiara ed onesta con la quale abbiamo a che fare. Ci chiede conoscenza, vera conoscenza, non mestieranza scien­tifico-sanitaria; richiama l’attenzione dei superstiti sull’azione di Annio e Gelodemo, iniziata mil­lenni or sono, ed ora giunta vicino, molto vicino, al punto di non ritorno.

 

I miei auguri – ai Lettori dell’Archetipo, ai Collaboratori e Amici, presenti e assenti – vanno in questa direzione. Il momento è difficile, forse uno dei piú difficili da molto a questa parte. Ma in un numero di persone capaci di lottare per affrancarsi da ogni sudditanza, vive ancora il ricordo di come celebrare il Natale, specialmente questo Natale del 2020, grazie all’insegnamento dell’Antropo­sofia e della formazione che essa dispensa ai suoi discepoli e sostenitori, anche per mezzo della presente rivista e di chi si è fatto carico della responsabilità di volerla mantenere tale.

 

Ex deo nascimur, In Christo morimur, Per spiritum sanctum reviviscimus

 

È una risorsa dello Spirito umano, fatta di semplice chiarezza e di limpida luce; sa distinguere le cose e comprende le ragioni del loro disporsi in un certo modo sull’esagitato scacchiere del mondo; non le contesta, non le evita; desidera incontrarle per viverle a fondo; sa che per quanto rife­ribile ad un gruppo ancora numericamente esiguo, il valore delle anime incarnate che vogliano conoscere la loro verità attraverso l’alternarsi delle vicende terrene, è piú importante di qualsiasi crisi pandemico-consumistica che si profili all’orizzonte.

 

«EDN ICM PSSR»

 

Ex Deo Nascimur,

In Christo Morimur,

Per Spiritum Sanctum Reviviscimus.

 

 

Angelo Lombroni