In questa difficile situazione attuale, nella quale ci viene consigliato di tenere le distanze dagli altri, di evitare l’abbraccio che sorge spontaneo se s’incontra una persona amica, in cui ci viene impedito di riunirci, di partecipare a conferenze o a convegni, quando anche i semplici incontri quotidiani sembrano diventare un pericolo invece che un’opportunità, ci chiediamo come riuscire a stabilire dei veri rapporti con gli altri.
Non intendiamo però il rapporto casuale, nato magari nella fila alla posta, in cui ci scambiamo frasi per passare il tempo e forse consolarci a vicenda per il disagio che affrontiamo insieme.
Quello che intendiamo è il vero rapporto che si cerca di stringere fra gli individui, e che arricchisce la vita interiore di ognuno. È la nostra anima, il nostro astrale, che ha bisogno di incontrare l’altro, non è l’Io che stabilisce un rapporto, l’Io non ne ha la necessità, perché quando si è nell’Io, il rapporto già c’è.
Dobbiamo educarci all’immaginazione dell’Io, che è il sentimento e il pensiero dell’Io. Rudolf Steiner ci dice che nell’intera umanità vi è, in realtà, un solo Io. Nel principio vi era un essere solo, il quale si è scisso poi in tanti esseri, si è particolarizzato, affinché ciascuno potesse provare il sentimento di essere un Io.
Il sentimento dell’Io è stato percepito all’inizio come opposizione all’Io degli altri. Il grande lavoro che l’uomo deve affrontare dentro di sé, è il superamento di questa opposizione. L’Io non deve piú sentire l’altro di contro a sé, ma deve sviluppare l’amore verso l’altro. Quando supera l’opposizione verso l’altro, arriva a vedere nell’altro il proprio stesso Io.
La venuta del Cristo sulla terra rappresenta la restituzione all’uomo della forza integrale del suo Io. Fuori della terra, dopo la morte, una volta attraversato il Kamaloca, l’uomo si ritrova in una assoluta identità con gli altri: tutti si sentono identici, pur conservando il proprio Io individuale.
Attraverso l’incarnazione in un corpo fisico umano, attraverso il sacrificio del Golgota, il Cristo ha dato all’uomo la forza di realizzare sulla terra questo riconoscimento di identità dell’Io nell’altro. Il Logos incarnato ha affrontato l’egoismo umano, la sofferenza e la morte, per dare all’uomo la possibilità che il suo Io un giorno ritrovi se stesso nell’altro e venga costruita sulla terra la vera fraternità.
Se per mezzo del nostro sviluppo interiore riusciremo ad avere il giusto sentimento verso gli altri, in qualunque persona incontreremo vedremo un amico. Se troveremo un individuo ostile a noi, non ci opporremo a lui, ricordando che anche noi avevamo quello stesso atteggiamento in un momento precedente della nostra vita. Riconoscere nell’altro le nostre stesse debolezze, ci fa essere indulgenti e comprensivi, superando qualunque senso di contrapposizione. Ciò di cui l’altro soffre sono i limiti imposti dall’astrale, ma nella sua profondità egli ha lo stesso Io che ho in me. Se vedo in un altro le difficoltà a realizzare se stesso, come posso non capirlo? Un Io che comincia a illuminarsi non può fare alcuna accusa all’altro che sta ancora lottando, alla ricerca della propria illuminazione.
Oltre ai rapporti che si possono instaurare fra persone che s’incontrano, ci sono quelli che il karma ha stabilito per noi, come quelli familiari, con i genitori, con i figli, con i parenti piú vicini, consanguinei, e anche con quelli piú lontani.
Un rapporto fondamentale è quello che nasce fra due persone che si amano e decidono di sposarsi. Si tratta di un atto di sacralità, che oggi è poco compreso nella sua vera essenza. Del matrimonio viene esaltato il rito, la festa, la partecipazione di amici e parenti. Ma l’unione inizia dopo i festeggiamenti, ed è un lavoro che si compie a quattro mani, quotidianamente, smussando le proprie asperità, comprendendo e perdonando quelle dell’altro.
Il matrimonio è un vero sacramento, ed è presente nelle Scritture: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2, 24); negli Atti degli Apostoli: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa » (Paolo – Ef 5,25-26); e nel Vangelo: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi (Mt 22.35-40); «Non sono piú due ma una sola carne (Mc 10, 6-9). E ricordiamo che, secondo quanto riporta Giovanni, il primo miracolo di Gesú fu compiuto proprio durante i festeggiamenti per le nozze di Cana, in Galilea.
Dice Rudolf Steiner in La saggezza dei Rosacroce: «I pensieri e i sentimenti dell’uomo producono effetti nel mondo, e il veggente può seguire con precisione come, per esempio, un pensiero amorevole diretto a qualcuno agisca diversamente da uno carico d’odio. Se si invia un pensiero amorevole, il veggente vede formarsi una specie di luminoso calice di fiore che si avvolge con amore attorno al corpo eterico e a quello astrale di colui al quale è destinato, contribuendo alla sua felicità, ravvivandolo. Invece, un pensiero carico d’odio penetra nel corpo eterico e nel corpo astrale come una freccia lacerante».
È di questi pensieri amorevoli che ognuno di noi ha bisogno. In particolare i bambini devono riceverli dai propri genitori, restituendoli a loro volta, in particolare nei primi due settenni, con quella dedizione totale e profonda tipica dell’infanzia, che dovrà trasformarsi poi, nei settenni successivi, in un proficuo scambio da entrambe le parti.
Un rapporto importante, basilare, è quello dei bambini e dei ragazzi con i maestri e i professori della scuola. L’insegnante non dovrà far emergere nel fanciullo solo le sue capacità cognitive e mnemoniche, ma dovrà cercare di far sviluppare, nello scolaro prima e nello studente poi, sia l’amore per la natura sia le capacità artistiche e pratiche, che gli serviranno in seguito per un giusto orientamento professionale.
Riguardo ai rapporti di lavoro, con superiori o colleghi, occorre vedere nell’altro, anche nel caso meno felice e piú ostico, l’occasione di sviluppare una capacità di comprensione, cosí da stabilire una proficua collaborazione in grado di superare quelle tensioni e quei conflitti che possono rendere penosa la quotidiana condivisione dell’ambiente di lavoro.
Dobbiamo sempre trovare il modo di stabilire con gli altri un rapporto armonioso, e cercare di conservarlo ad ogni costo, anche se a volte è necessario cedere su alcuni punti che consideravamo acquisiti.
In una lettera del maggio 1970 a un discepolo (Accordo, luglio 2001), Massimo Scaligero scrive: «Occorre una dedizione educatrice di tutto l’essere, che faccia comprendere che cosa in noi è inerte, e come inerte rifiuta la luce, rifiuta l’amore, rifiuta la redenzione. L’offerta è una, ma è possente nello scindere da sé il non redento, cosí che questo possa divenire materia di ulteriore trasformazione o donazione. Occorre una grandezza infinita del cuore, un’ampiezza di donazione capace di colmare ogni deficienza e soverchiare ogni umano errore: una fiumana di generosità salvatrice capace di riempire l’abisso, di superare ogni frattura, di sanare ogni ferita».
Solo una tale donazione di sé può contribuire ad attuare una vera crescita e un positivo sviluppo dell’individuo, di un Io che incontra in profondità l’altro Io: il germe della futura unione dell’intera umanità.
Marina Sagramora