Capitale
Se il capitale fosse solo quantità di denaro, di terre, di impianti o di merci, tutti saremmo potenzialmente dei capitalisti, o dei padroni. Proprio perché i fatti, in un’epoca che guarda solo ai fatti, non insegnano piú nulla ad un’umanità che non sa piú pensare, si dimentica che la ricchezza è un fatto produttivo unicamente quando è nelle mani di chi ha determinate capacità. A prescindere dall’abuso retorico che si è fatto nell’esempio del grande industriale che ha cominciato vendendo giornali all’angolo della strada, tuttavia tale esempio è utile a comprendere il tipo di sviluppo produttivo moderno. In realtà, prima sono sorti il capitalismo e l’industrializzazione, dei quali, bene o male, tutti godiamo i risultati pratici, poi è nata la critica.
Alla base del capitale e dell’impresa, va riconosciuta la qualità interiore dell’uomo, che è stato capace di ideare un compito e di utilizzare il contributo tecnologico secondo un determinato fine produttivo. È una capacità di organizzazione e di innovazione, di intuizione delle esigenze del mercato, che non può essere il patrimonio di tutti, come non può esserlo la capacità di dipingere o di comporre musica. Anche nei regimi piú statalizzati, nelle piú confuse forme di cogestione, se qualcosa funziona, lo si deve alle doti di un uomo o di un gruppo di uomini che, malgrado tutto, riescono ancora ad esprimere qualcosa di intelligentemente autonomo.
Pertanto, dovrebbe essere interesse di una società sana, aprire il varco alla dote imprenditoriale, impedendone, ben inteso, le possibili deviazioni. È questo il senso di una nuova libera iniziativa. Non è la proprietà dei mezzi di produzione che produce l’ingiustizia, non è il possesso del capitale che aliena l’uomo. L’ingiustizia e lo sfruttamento, cominciano quando la proprietà – sia privata che pubblica – riesce a piegare a suo vantaggio le leggi e i diritti che invece dovrebbero regolare i rapporti tra gli uomini, quindi anche i rapporti di lavoro.
Il peggior padrone, nel mondo moderno, è lo Stato, quando al potere legislativo unisce la proprietà dei mezzi di produzione. L’operaio piú ingiustamente retribuito è quello che vive nei regimi statizzati, poiché inevitabilmente contratti ed azione sindacale sono filtrati da un potere fortemente centralizzato, che si serve del diritto di imporre le sue concezioni economiche, giustificandole con fini ideologici, in pratica mai realizzati.
Per questo è necessaria un’armonica contrapposizione fra diritti indiscutibili dell’uomo e libera iniziativa, da attuarsi mediante la separazione del processo economico dallo Stato giuridico. È fondamentale la gestione autonoma dell’economia, affidata ai suoi protagonisti, in grado di correggere i difetti derivanti dall’eccesso di concorrenza e da decisioni non armonizzate agli obiettivi dello sviluppo e del benessere.
Il capitale deve evolvere verso la sua giusta collocazione, senza drammi, senza assurde spoliazioni o persecuzioni, bensí secondo un padroneggiamento di esso da parte di responsabili riconosciuti come tali dal gruppo o dalla comunità aziendale. Chi possiede la dote imprenditoriale merita la disponibilità dei mezzi di produzione. Di conseguenza il capitale e l’azienda che abbiano dato prova della loro validità, non dovrebbero essere sottoposti alle norme della successione ereditaria, ma dovrebbero essere affidati a responsabili che abbiano dimostrato di possedere le capacità richieste.
Quanto abbiamo riportato piú sopra, cosí come per il precedente articolo, è tratto da La Via dei Nuovi Tempi – Una nuova proposta socio-economica, di Massimo Scaligero.
Riferisce Corrado Solari che negli anni Settanta e a seguire, a Roma e ovunque c’erano fermenti di Contestazione o dimostrazioni per le città, e se ne portava a Mimma e a Massimo l’inquietudine e il desiderio di parteciparvi. Al che entrambi, in momenti diversi, suggerivano confidenziali commenti, affermando con dolcezza che: «Sí, ogni azione porta a qualcosa, pur nel caos degli umori in atto, ma voi che conoscete la Concentrazione, potreste insieme sviluppare forze morali superiori alle grandi masse dei contestatori e ottenere per loro risultati insperati per le normali vie della Contestazione.
Su questa scia, chi oggi vuole fare qualcosa per gli altri, laddove persino la beneficienza sembra essere inutile o addirittura dannosa, può meditare profondamente i contenuti della Tripartizione sociale, Almeno i seguenti libri: I punti essenziali della questione sociale (O.O. N° 23); I capisaldi dell’Economia (O.O. N° 340); Esigenze sociali dei tempi nuovi(O.O. N° 186); Come si opera per la Tripartizione dell’Organismo Sociale (O.O. N° 338).
Oggi questo profonda riflessione è davvero l’unica azione veramente incisiva per la collettività, l’unica vera azione spirituale che si possa fare. Il desiderare la realizzazione della Tripartizione dell’Organismo sociale è un desiderio che trova spazio nei cuori di tutti. Chi non afferra tali concetti o crede che la sola pratica di esercizi possa essere in sé sufficiente a portare qualcosa nella società (e in realtà è sempre insufficiente), può riflettere la seguente affermazione di Rudolf Steiner: «Per l’organismo sociale si deve pensare alla Tripartizione; va studiata ed approfondita nei suoi elementi fondamentali, affinché entri nelle anime umane e la si faccia propria come la tavola pitagorica».
Vorrei concludere con alcune considerazioni: la Tripartizione avverrà prima o poi, ma avverrà a prezzo di una grandissima sofferenza. A tale riguardo invito a riflettere sulle vite delle anime micaelite di questo tempo, la cui interiorità cozza fortemente con l’epoca che viviamo e anticipano quello che potrà essere un giorno il destino di tutte quelle anime che si incarnano per attuare in terra l’incontro con l’Arcangelo Michele.
Marco De Berardinis (2. continua)