Il tempo migliore

Considerazioni

Il tempo migliore

 

Chissà quali saranno i criteri di valutazione da applicare agli anni trascorsi qualora decidessimo di eleggere il migliore tra tutti, quello che ci ha procurato un periodo cosí intenso di piacere e di felicità, al punto di rimanere indimenticabile.

 

Ci si può provare, evocando la lunga trafila dei ricordi e sgranellandoli uno ad uno come fossero un rosario invisibile, ma è facile dirlo a parole. Le distanze temporali tendono ad appiattire le prospettive, e i colori delle primavere passate si stemperano come acquarelli incautamente esposti alle intemperie.

 

Gianni Morandi Il tempo miglioreAlcune mattine fa, mentre in attesa del notiziario ascoltavo la radio, è andata in onda una canzone di Gianni Morandi, che per titolo aveva proprio “Il Tempo Migliore”; canzoncina peraltro non molto nota, o quanto meno non conteggiata tra i successi del noto cantante. Eppure quella musica mi ha smosso qualcosa; sono andato nella rete per leggere con calma il testo, ma lí per lí non vi ho trovato nulla di speciale. Anzi. I soliti pensierini sdolcinati, le frasine d’amore messe giú alla meglio, insomma la classica tiritera morandiana degli anni che furono; intonata con quella sua inimitabile voce, offriva il quadretto semplice e senza pretese di un’Italia ancora convinta del “canta che ti passa”. Del resto, a quel tempo, il Gianni nazionale parlava agli adolescenti o poco piú; un pubblico di virgulti semisognanti da poco affacciatisi all’intricato giardino dei sentimenti.

 

Il cuore faceva rima con fiore, il sole della libertà con l’esame di maturità, e di conseguenza l’amore combaciava col Tempo Migliore: e il Tempo Migliore qual è? È quello che passo stando con te. Cosí tutto andava a posto, rima compresa, e gli animi delle ragazze e dei ragazzi non nutrivano dubbi; incontrarsi, prendersi per mano e scappare di casa per un week end, massimo due, alla faccia degli adulti babbani diventava fattibile, sostenibile e per un dato verso, irrinunciabile.

 

Ma non sono qui per fare moralismi sui vecchi tempi che in fondo pure io avevo cavalcato con un certo entusiasmo.

 

La prospettiva cambia notevolmente quando, anni piú tardi, ti accingi a fare il riassunto della tua vita; a cercare cioè nei tempi trascorsi un segno di gagliardía vitale compiuto e gustato in piena consapevolezza, nell’esperienza del quale non vi sia stata alcuna incrinatura né ombra di nocumento. Qualcosa di assoluto, una cartolina, un evergreen remoto ma sempre vivo nella memoria del cuore. Ma per me il quadro restava incerto, inerte; troppe luci e ombre, disagi e soddisfazioni, slanci e abbattimenti, senza che nessuno prevalesse sugli altri in modo determinante; avevano tutti una motivazione, una causa spiegabile a fil di logica, eppure mi sarebbe piaciuto trovare qualcosa che mi avesse fatto saltare di colpo fuori dalla vasca da bagno e correre per la strada ad avvertire conosciuti e non, che la mia ricerca era conclusa e che adesso la mia esperienza si era arricchita di un qualcosa in piú. La realtà si divertiva però a contraddirmi: Archimede era Archimede ed io ero io.

 

La questione minacciava di restare cosí in uno stato di sospensione limbica e, come succede in queste situazioni, avevo finito per rimuoverla dal calendario delle faccende impellenti.

 

Mi era rimasto tuttavia un pulcino (cfr.: pulce allo stadio infantile) nell’orecchio e insomma per dirla tutta, la cosa non mi andava bene. Quindi tornando a quanto detto poc’anzi, grazie ad una canzone misconosciuta di un Morandi desueto, si è ridestato in me un desiderio di ricerca che ho seguito dapprima con una certa tiepidezza, poi sempre con maggior coinvolgimento.

 

Fra le parole del testo risaltavano quelle che incitavano l’anima a considerare, per quel che l’età adolescenziale può permetterlo, come “il sole della libertà” avesse qualcosa a che fare con “l’esame di maturità”. Certamente preso cosí di peso (i giornalisti dicono “detestualizzato”) e confrontato con il proprio vissuto, il ricordo dell’esame di maturità non evidenziava punti in comune con il sole della libertà. E poi perché chiamarlo “sole della libertà”? Cos’è? Una trovata poetica per esprimere la bellezza asinina degli anni giovanili?

 

È evidente che il Tempo Migliore è quello vissuto in pieno entusiasmo, quando le forze dell’anima sono ancora sorrette e indirizzate dalle pulsazioni del sangue; scorrono lungo arterie giovanili e in vene libere dal colesterolo ed altri impedimenti circolatori, come un branco di puledri selvaggi nelle praterie di un farwest che permane solo nei cinema d’essai.

 

Con il “sole della libertà” cosa vogliamo rappresentarci? Le parole enfatiche, anche se poetiche, mi avviano sempre sospetti, ma in questo caso, devo ammettere, la rappresentazione di per sé (iso­landola dalle sdolcinature della piccola melodia) è valida: non ci sono molti modi di presentare alla nostra coscienza l’idea della libertà, se non individuandola in una forza splendente nell’interiorità, a tal punto che perderla o trascurarla (il che è equivalente) si nota subito nello sguardo e nel volto delle persone. Senza il sole si è adombrati.

 

Amando e curando questo aspetto idealistico del sole congiunto alla libertà, si può giungere molto lontano, dove i canti popolari non risuonano piú, perché hanno dato quello che avevano da dare, e al momento del loro prodursi ne abbiamo goduto ed esaurito la carica emozionale. Ma con il concetto di Libertà, del pari a quello del Sole, non si può piú scherzare né accontentarsi di venire sommersi da ondate di ritornelli ripetuti in cadenza semiautomatica.

 

Come il Sole, la Libertà esige la Vita; e per accogliere degnamente la vita, la forza del Sole deve agire liberamente in noi come presenza interiore. L’intera nostra struttura di uomini trova il modo adeguato per porsi in corrispondenza con tale aspetto. C’è chi dice: «Ma io non ne sono capace». Non è vero, ma pazienza, per il momento diciamogli pure di sí. Allora, per casi simili, ci sono le guide spirituali dell’umanità, che ti fanno sempre recuperare un momento perduto, un incontro fortuito, una lettura abbandonata, uno sguardo interiore fin qui evitato; che ti fanno rialzare la testa e alla fine puoi sentire te stesso dirti: “Io so d’essere qui per questo”.

 

EroiNel riflettere in tal modo, accade – praticamente è inevitabile – che da una parte si prospettino in modo ancora astratto e poco nitido scenari idilliaci e sfondi teatrali pseudowagneriani, nei quali ci sentiamo sottoscritti ad agire da eroi in preoccupan­ti compendi tra Sigfrido, Sandokan e Tarzan (per i piú vanagloriosi, anche Ga­ribaldi, Gandhi, e Montal­bano) mentre dall’altra s’in­cominciano ad ammontic­chiare caterve di scusanti, accompagnate dalle motiva­zioni del perché abbiamo lasciato incompiuti quei personaggi cosí valenti, sul profilo dei quali pur c’era sembrato poterci misurare bravamente.

 

Questa seconda parte, alquanto destruens, è invece piuttosto salubre; ogni illusione conduce o alla delusione o alla disillusione. La prima è dominata unicamente dall’abbattimento dello sconfitto; nella seconda la coscienza è, forse, in grado di riprendere la sua funzione vivificatrice e vedere finalmente le cose senza le lenti deformanti di un tramonto solipsistico che, nella fattispecie, non tramonta mai.

 

L’autoindulgenza non ci avvicina alla verità; ma, dicono, è meglio riposare con un cuscino sotto la testa che su un tavolaccio sguarnito. Può essere, però fintanto che dura tale convinzione, è inutile chiederci quale sia il Tempo Migliore.

 

Esame di maturitàPertanto se la figura del Sole ci fa ricordare in modo aulico la potente luce della Libertà, l’Esame di Maturità può degnamente venir rappresentato dall’insieme degli ostacoli e degli impedimenti che incontriamo nel percorso esi­stenziale. Penso che tutti noi, o almeno una buona parte di quelli che hanno appreso le nozioni basilari della scienza antroposofica, sappiamo che non esiste la categoria di Osta­coli & Impedimenti: esistono invece le prove, i compiti, o per dirla in linea con il nostro argomento, gli Esami di Maturità, con i quali si devono fare i primi conteggi evo­lutivi, e vedere, constatandolo sul campo, se ne usciamo promossi o meno.

 

Si tratta, una volta distinte e delineate le due imma­gini (Sole/Libertà ed Esame di Maturità), di arrivare attraverso l’esercizio della meditazione a cogliere l’essenza racchiusa nei loro gusci figurativi e fissarla, almeno per il tempo che basta, quale forza luminosa di un’entità spirituale celatasi nelle rispettive percezioni.

 

La conclusione di un tale esercizio è che portiamo in noi due particolari polarità, una molto personale o personalizzata, ed è la sfera degli impulsi, degli slanci e dei sentimenti. Essa ci racconta sempre di come siamo e di come stiamo in rapporto al nostro modo di condurre la vita; l’altra è la dimensione del pensiero che supera di continuo i limiti della prima ed è capace di vagare nell’infinito, fornendoci le notizie piú strane ed incredibili, sulla cui fondatezza dovremo poi confrontarci, giacché tutto quello che viene sentito corrisponde sempre a un processo reale, nel senso che aderisce a una situazione in atto, ma non tutto quello che viene pensato è oro di coppella, e si possono prendere delle madornali cantonate.

 

Scoprire nel miraggio di un’oasi il bisogno urgente d’acqua dell’organismo fisico, è cosa imme­diata; scoprire invece la causa di un’aberrazione astronomica, richiede tempi lunghi e riflessioni correttive. Chi non si accontenta della spiegazione, potrà sempre osservare come il pensare non si esaurisca mai nei pensati o nei pensabili, mentre tutto quello che deriva da sentire e volere è sempre contenuto nella radice delle rispettive manifestazioni, risulti essa percepibile o meno.

 

Il segreto del pensare sta quindi al di fuori di tutto quello che il pensare sembra essere in un primo momento, ed è l’aspetto caratteristico della sua originaria trascendenza. Invece il segreto del sentire e del volere è immanente al loro prodursi, anche se gli organi animici che potrebbero svelarcelo si sono da lungo tempo modificati, e quindi non sono piú in grado di compiere il rilevamento.

 

Questo perché sensazioni, sentimenti e atti volitivi sono riferiti generalmente all’ego, del quale, suppongo, non ci serve dimostrare la presenza (a volte persino ingombrante); mentre il pensare, ricom­prendendo in esso anche una parte qualificata dell’ordinaria razionalità, è la fondamentale espressione dell’attività dell’Io, di cui non abbiamo ancora rappresentazione né tanto meno percezione.

 

Ecco il motivo per cui gli esami non finiscono mai; se finissero anche la nostra evoluzione umana, che in quest’epoca si può incentrare in un progressivo avvicinamento al concetto dell’Io, sarebbe con­clusa. Invece, come bravi sergenti istruttori, a volte piuttosto ruvidi ma sicuramente molto genuini, gli avvenimenti ci incalzano e ci costringono di volta in volta a stringere i denti e ad andare avanti, tirando fuori da noi medesimi le migliori risorse che riusciamo a trovare (e che senza quegli sforzi, non avremmo trovato mai).

 

La Libertà, col suo splendere dal cielo delle idee, è senza dubbio uno dei potenti richiami capaci d’indirizzare il nostro cammino; diventa estremamente importante a questo punto fare una distinzione essenziale: il Sole della Libertà di cui voglio parlare non è quello poeticamente espresso dalla canzone di Gianni Morandi. Io sto parlando del Sole interiore della Libertà, cui posso certo dedicare poesie e canzoni, ed anche inni, ma senza bisogno di divulgazione, di agenti pubblicitari, né di case discografiche. Il mio Sole della Libertà non è un fatto commerciale da fischiettarsi o da scambiare avvolto in pacchetto regalo.

 

Se è il potenziale energetico della Libertà, non ha da sottostare a nulla; appunto per questo la natura non lo può racchiudere in sé, nel novero dei fatti che le competono. Nei regni sottostanti quello umano, la servitú si pone il compito di eseguire gli ordini, e questi vengono impartiti da una coscienza la cui saggezza comprende pure la servitú.

 

Nella dimensione umana tale fatto è sempre discutibile, e per certi versi può anche infastidire, giungere fino al dissidio; ma nell’ordine naturale della realtà conosciuta non è cosí: i naturalisti amano molto parlare di “legge del piú forte”; in termini meno implacabili, penso sia sufficiente ripetersi la regola dell’ “ubi maior, minor cessat”. Quest’ultima mi pare piú in linea con l’idea che mi sono fatta dell’ordine universale, là dove il maior che arriva, lo fa con lo stesso amore e rispetto del minor che gli cede il posto e se ne va.

 

Mi si dirà che questo lo sanno tutti e che è inutile ribadirlo; ma io chiedo a chi voglia farsi carico della questione: tu credi che il Sole della Libertà che l’uomo porta in sé come simbolo delle ideologie, delle confessioni di fede, o di uno dei tanti idealismi che hanno già invaso il mondo prima ancora di venire incartocciato dai social network, sia molto piú verace di quello posto nella canzoncina dell’amico Gianni?

 

Se è opera del mondo, non possono essere né Sole né Libertà; sono quel che sono, riflessi, spec­chietti, panie, e chi ci casca ci casca. È sempre stato fatto cosí, anche perché, mediamente parlando, la fantasia collettiva non riesce a spingersi oltre un certo limite; i suoi effetti durano poco, anche se temporaneamente brillano per l’efficacia o per la parvenza.

 

El Cid Campeador

El Cid Campeador

I Mori di Spagna, sapendolo morto, vennero terrificati dal vedere sul campo di battaglia la presenza del Cid Campeador, e questo ci insegna che possiamo avere dei ruoli importanti anche dopo la nostra dipartita. Ma sono storie non ufficiali che inte­ressano annalisti, enciclopedici, cronacensi, bardi e cantori, con le quali intessere miti e leggende, e, per chi ci tiene, anche imbastire cerimonie e rimembranze.

 

Per mia scelta, mi stanno a cuore i fatti del Mondo dello Spirito, quelli che Rudolf Steiner ci ha lasciato in forma di comunicazione in tutte le sue opere, e che sono stati poi tra­dotti, raggruppati e catalogati da molti volonterosi con un im­pegno non sempre pari al compito, ma questo è comprensibile. La luce della chiaroveggenza, quando la si riduce ad argomento, non può mantenere intatto lo splendore originario se non in ani­me particolarmente preparate allo scopo. Tra le quali non mi an­novero; ma questo, anziché prenderlo come difetto, lo considero un valore aggiunto: con il mio carattere improntato al dubbio critico e, lo ammetto, pure fortemente caustico, come avrei reagito di fronte ad una mia presunta capacità di veggenza? Sarei impazzito, oppure avrei scambiato il dono per una patologia allucinatoria, da secretare nei meandri dell’interiorità, e, nelle relazioni esterne, fare ben attenzione a che nessuno ne venisse mai a sapere.

 

Da molto tempo ho capito che l’autentica chiaroveggenza è divenuta rarissima, perché la sua base sta nell’anima d’uomo che si sia potuta mantenere perfettamente integra quanto quella di un neonato; la salute morale dell’individuo è la condizione prima per accedere ai Mondi Spirituali, e per quel che mi riguarda so di avere un lungo cammino da compiere.

 

Ciò non toglie che anche un ignorantone analfabeta possa appassionarsi di storia o di letteratura; solo deve farsela raccontare da altri, sperando che, oltre ad essere competenti, siano anche abili e piacevoli nel porgere quel che hanno da dire.

 

In fondo siamo qui per tentare, non per essere tentati. Magari un giorno verremo a sapere che la seconda parte celava la premessa della prima. La resistenza lunga porta alla resilienza.

 

Cosí nel leggere e rileggere pagine steineriane (con a latere l’indiscutibile apporto di Massimo Scaligero) mi sono formato un quadro, anzi due quadri relativi al Karma, che mi sembrano utili per una comprensione piú adeguata del rapporto Uomo-Spirito.

 

Karma e dharmaDalle Upanisad si deducono i termini di Karma e Dharma; non credo che uno sia comprensibile senza l’altro, eppure quando parlo con amici che frequentano assiduamente i temi della spiritualità, spesso mi accorgo che nel dire: «Il Karma è la somma delle nostre passate omissioni che si ripresentano nella forma di futuro destino quali opportunità di cor­rezione a pareggio» si convincono di aver detto tutto, o quanto meno l’indispensabile.

 

Secondo me non è un punto di arrivo, manca qualcosa: un orologio con la sola lancetta dei minuti non mi fornisce l’indicazione per la quale è stato costruito. Lo stesso vale per uno con una lancetta che evidenzi esclusivamente le ore. La cronometria prevede due parametri, la man­canza di uno invalida il secondo. C’è una corrente di fatti, di azioni, di accadimenti che fa parte della storia, anzi, si può sostenere che sono la storia. Possiamo scrutarli in lungo e in largo e trarne un sacco di in­segnamenti che potrebbero anche giovare all’intero genere umano, ma il piú delle volte restano relegati nel cosiddetto passato, fino ad eclissarsi negli archivi del tempo e dell’oblio. Dopo di che rimaniamo preoccupati se il destino ci appare ignoto. Viene da chiedersi come potrebbe essere diversamente.

 

Mettiamo che ci arrivi un conto da pagare; un bel conto salato, e per giunta gravato da una quantità enorme di interessi di mora. Lo guardiamo stupiti e poi osservando la firmata d’impegno esclamiamo con sollievo: «Questo conto non è mio, la firma e il nome non sono i miei». E rivolti al temerario messo riscuotitore: «Se ne vada, altrimenti chiamo la polizia!» (fossi stato un regista di Cinecittà, avrei fatto recitare questa battuta a Totò).

 

Fin qui il Karma; ma se (e sottolineo “se”) avendo (ove avessimo avuto) accesso al Dharma, e verificassimo che nel lontano A.D. **** eravamo proprio noi quel tale (ovviamente in un altro corpo e con nome diverso) ad aver contratto l’impegno oneroso? Dove finirebbe adesso la nostra sicumera? Dove metteremmo l’incrollabile fiducia nel “non essere stati noi”? Nella legge che garantisce: “Se ora sei qui, quella volta non potevi essere lí”?

 

Ammesso pure di leggerla in un D.P.C.M., solo a pronunciarla ci rendiamo conto d’aver detto una sciocchezza.

 

È facile e anche molto comodo dire «Non sono stato io!», oppure: «Con questo impiccio io non c’entro per nulla!». Lo studio oggettivo e ragionato di quanto ci offre la Scienza dello Spirito, fa pensare (o intuire) che ci sia un rapporto molto stretto tra quel che conosciamo come Karma e quel che ci può arrivare da una conoscenza maggiormente approfondita del Dharma.

 

Se il contenuto del Karma è il precipitato delle nostre omissioni (di quel che in effetti, date le condizioni e le circostanze, eravamo in grado di fare e invece abbiamo deliberatamente scelto di non fare) perché non supporre che il Dharma sia costituito viceversa dall’insieme di tutte le azioni moralmente valevoli all’evoluzione propria e favorenti quella altrui, che di volta in volta, nelle varie incarnazioni, siamo stati, siamo e saremo, teoricamente disponibili ad effettuare?

 

Per dirla in altro modo, il Dharma racconta un’evoluzione conseguita sul piano etico, incoronata dall’insieme dei risultati di segno positivo; il Karma invece è il banco di prova fisico-sensibile delle azioni svolte nel tempo e nello spazio, che hanno inciso non solo l’anima e il fisico del­l’autore, ma anche il terreno su cui poggiava i piedi. Qui l’elemento morale non è prescritto né garantito da alcuna autorità interna o esterna; quindi se c’è, se avviene che l’uomo compia un’azione morale, allora sí che essa è perfettamente libera; si esprime in armonia col Dharma, si congiunge a quello cui stava già inscritta quale elemento elitario di pura virtú e consolida i due percorsi paralleli fino al punto di creare una convergenza, un trait d’union, certamente non in senso materialistico, ma i cui effetti proficui possono influire anche fortemente sul corso dell’ordinario esistere.

 

Nel Dharma c’è una continuità additiva di valenze morali, allo stato potenziale, eternamente com­presenti; nel Karma la somma algebrica dei controvalori di quelle, sparsa in una miriade di occasioni, tutte concretamente effettuate. Le prime trovano compimento nella realizzazione delle seconde, alle quali spetta la possibilità di adesione o di contrasto con eventuale recupero.

 

InappetenzaUn esempio minimo, piuttosto pedestre ma di schietta valenza: nella scienza dell’alimentazione esiste la gastronomia: essa si propone l’intento di cercare nei cibi i sapori piú raffinati ed invitanti. Nel corpo umano esiste tra le tante cose anche la fame, e quindi con essa sorge il desiderio di man­giare. Chi ha veramente fame, non va troppo per il sottile, mangia quel che c’è, anche se non è il manicaretto di uno Chef, e ne trae la sua soddisfazione.

 

Se tuttavia la corporeità fosse già sazia di suo, oppure inappetente per altri motivi, allora pure il manicaretto del nostro Chef non gli andrebbe giú e verrebbe respinto.

 

Quindi da una parte consideriamo l’arte di cucinare gli ali­menti, dall’altra la necessità tutta umana di nutrizione con­tinua. Esiste un possibile punto d’incontro tra la libertà creativa della pratica culinaria e la morsa necessitante dello stomaco vuoto?

 

Quel punto d’incontro c’è, non è molto frequentato ma c’è; dipende in tutto e per tutto dal grado di conoscenza di sé e del mondo in cui si vive, dal saper cogliere i momenti opportuni per il piacere del gusto e quelli opportuni per un sereno digiuno; dal distinguere gli appetiti del corpo da quelli (non meno aggressivi e impellenti) dell’anima, e comprendere che soltanto mantenendo un equilibrio armonioso tra i due, ovviamente nei limiti del possibile, lo Spirito individuale s’appresta a darci il suo alimento sovrasensibile, l’unico cibo di cui abbiamo veramente bisogno. Che non è il piatto del buongustaio, non è il soddisfacimento dei desideri, ma è il viatico per il cammino interiore che adesso possiamo immaginare di voler com­piere, anche se a passi piccolissimi, frammentari e traballanti. Viene il Tempo in cui si può scorgere la Via.

 

Cosa significa la suddetta parabola? Che il senso del duplice percorso Dharma-Karma lo ravvisa soltanto chi ha abbia sviluppato nella mente e nel cuore il concetto di evoluzione, e nemmeno basta; sono molti infatti i sostenitori dell’evoluzione; anche gli ateo-materialisti, assieme a darwiniani e rettiliani, ammettono in fondo una specie di evoluzione. Nessuno nega che tutto procede, si fa e si diviene.

 

LibertàPurtuttavia, al di fuori dell’Antroposofia nessuno ha saputo offrirci un quadro evolutivo dell’entità uomo, dipingendolo su due grandiosi percorsi, af­fiancabili in termini didattici, nei quali in uno vive la Libertà allo stato di pura luce spirituale e nel secondo il riflesso di tale Idea, che deve misurarsi in uno scontro titanico con le forze soverchianti della necessità. Essere contro Esistere; campo di battaglia: l’anima.

 

Questa visione cosí possente di fronte alla quale è impossibile restare indifferenti, non si esaurisce nella breve descrizione suesposta; Rudolf Steiner la ricuce addosso a ciò che l’uomo porta con sé di piú intimo e prestigioso: il senso dell’Io e della sua volente avventura dentro la dimensione della Morte.

 

Perché è per l’anima dell’uomo che la Grande Battaglia s’inscrisse nella dimensione cosmica del Dharma (probabilmente quella che l’Antroposofia chiama “Mondo Eterico” e che forma la cosiddetta Memoria dell’Universo, nella quale tutti gli eventi, da quelli potenziali fino a quelli impressi nel concreto della realtà sensibile, vivono uno stato d’imperitura compresenza).

 

La duplice via che possa inoltrare la conoscenza del moderno ricercatore in quei percorsi alternativi alla vita ed alla morte, è stata racchiusa nella Filosofia della Libertà e nella Iniziazione da Rudolf Steiner, ed in seguito da Massimo Scaligero nei suoi Dell’Amore Immortale e nel Trattato del Pensiero Vivente.

 

Non sono queste le uniche opere a trattare i temi particolarmente elevati della vita dell’anima e del suo possibile sviluppo attraverso le varie incarnazioni; ce ne sono state in diverse epoche e ce ne saranno altre in futuro, ma a mio parere, data la struttura dell’interiorità umana al giorno d’oggi, non è facile reperire di meglio.

 

Il rapporto Dharma-Karma, alla luce della conoscenza antroposofica, spiega alcune cose che altrimenti resterebbero prive di una motivazione integratrice; oppure, peggio ancora, finirebbero per arenarsi nell’astrattezza dei pensieri subordinati all’azione antiumana delle forze telluriche: una ragione speciosa, artefatta, che si rivelerebbe un danno per gli ulteriori sviluppi delle vicissitudini collettive.

 

La riflessione che segue è farina del mio sacco, e quindi me ne faccio carico: coloro che da tempo si sono rivolti a un Mondo Superiore ritenendolo l’artefice unico di quanto avviene nell’universo, e quindi sulla terra, e conseguentemente pongono l’essere umano sul gradino piú elevato della creazione, avendogli infuso quel quid divino (il retaggio del Padre) con il quale conquistarsi la Libertà là dove essa giace incompiuta perché caratterizzata da una controparte spirituale tuttora da ridestare, come fanno a spiegarsi la presenza di un fatto, di un avvenimento, classificabile per le coscienze dell’epoca presente, un “male”?

 

suicidio di massaGuardando la natura nelle sue svariate modalità, ci possiamo addolorare, ma non stupire, se per cause tutte da accertare, alcune specie animali vengono sospinte – per noi inaspettatamente – al suicidio collettivo. Gli esperti affermano che a volte, per la con­servazione della razza, l’ordine naturale richiede la soppressione di una parte dei suoi membri.

 

Io non penso che l’uomo sia un animale, anche se di tipo superiore; sono in molti tuttavia a ritenerlo tale e non si tratta esclusivamente di atei miscredenti. Penso invece in quale misura si possa, nutrendo pensieri di questo genere, inquadrare la pan­demia del CoronaVirus 19. Potevo prendere in esame qualun­que altra forma di catastrofe collettiva, ed avrei avuto pure l’imbarazzo della scelta, ma di sicuro detta malattia è quella che oggi fa piú notizia, per cui permetto, qualche volta, alle mie considerazioni di seguire le tendenze di massa. Anche perché sono curioso di vedere dove vanno a finire.

 

Superare gli ostacoliVorrei prima porre una piccola premessa; è compresa nel discorso svolto fin qui, ma mi pare meglio ribadirla: nel concetto di Dharma trovo quel famoso Sole della Libertà che dal livello scantinato dei versi musicali sono riuscito ad innalzare a quello piú consono dei piani superiori. Nel contempo, indico quanto già espresso a proposito dell’Esame di Maturità, quella linea di supposti ostacoli e sbarra­menti cui abbiamo dato nome di Karma.

 

Se le cose stanno piú o meno cosí, tor­niamo all’interrogativo che ci siamo posti poco prima, relativo alla presenza del male, o dei mali, visto che ce ne sono di tutti i tipi e per tutti i gusti, e caratterizzano i nostri percorsi di vita.

 

Sono poche le conclusioni da trarre:

 

1. il Signore Creatore del cielo e della terra, l’Intelligenza divino-cosmica che governa ogni cosa, ci ha posti qui nell’esistenza fisica per compiacersi nel vedere come ce la caviamo una volta obbligati nei percorsi ad eliminazione, infarciti di crisi, guerre, pandemie e altre catastrofi.

È evidente che una simile deduzione porta in sé delle contraddizioni inaccettabili, non soltanto da qualsiasi religiosismo ma anche da qualunque logica. Anzi, è semplicemente un caso di follia senza speranza di recupero.

 

2. Oppure la presenza del male è sufficiente a dimostrare che la Divinità, o le Divinità, non esistono, sono delle pure fantasie sorte dai nostri turbamenti e/o squilibri animici, e perciò siamo in balía di un destino del tutto ignoto del quale possiamo solo subire di volta in volta l’azione capricciosa e imperscrutabile.

Parimenti questa, anche se di natura un po’ diversa, è del tutto sconvolgente. Dove vanno a finire i nostri sogni, le nostre speranze, le ambizioni? Il voler migliorare, il progredire a qualunque costo? L’amore, l’altruismo, la generosità? Tutto ciò che nasce nell’anima è dunque solo pia illusione, utile a darci qualche fremito pseudovitale mentre agonizziamo in attesa dell’ultima ora?

 

Ci sarebbe da sorridere sopra riflessioni come queste e sui relativi sentimenti che non mancano di accompagnarle, ma non lo si può fare, perché per siffatte Malebolge, magari per un attimo, se non per una vita intera, ci siamo passati tutti e, nella maggior parte dei casi, le anime inciampate e cadute hanno stentato lí per lí a rialzarsi e hanno avuto bisogno d’immediato soccorso.

 

Chi trova un accordo (perché di vero e proprio accordo interiore si tratta) tra il Sole della Libertà e l’Esame di Maturità, trova anche quel trait d’union che nel Male impara a leggere un Bene; a rovescio ma sempre un Bene, cioè il rapporto piú importante per l’esercizio della Libertà svolgentesi a livello umano.

 

uomo marionetta

Con un volere divino tutto­fare, saremmo delle marionet­te; 

Uomo foglia al vento

senza una guida superiore, saremmo foglie al vento.

 

Tra le due antitesi c’è la possibilità (c’è sempre, ci deve essere) che in una coscienza d’uomo scocchi la scintilla della sintesi proveniente dal basso e diretta verso l’alto. Scoccata, la coscienza capisce che solo per i due estremismi contrapposti ed al travaglio da essi indotto, l’evento si è potuto verificare.

 

In questa affermazione: «La Libertà è l’immediato ricongiungimento dell’esistere terreno con l’essenza sovrasensibile dell’uomo, la coscienza del quale abbia officiato l’operazione» sta il segreto (un segreto che tuttavia è alla nostra portata ri-conoscitiva) dell’evoluzione capace d’inse­rire il Karma di ogni singolo essere vivente nel Dharma universale, arricchendo quest’ultimo del proprio contributo unitario ed esclusivo.

 

Comprendere il Karma è illuminare di conoscenza il cammino sulla terra; comprendere il Dharma è illuminare di luce spirituale quello ultraterreno. Ai fini evolutivi nessuna delle due luci può esimersi dal reciproco apporto.

 

Con il punto presente, abbiamo isolato alcuni ingredienti con i quali colmare il vuoto imposto dalla domanda d’avvio: il Tempo Migliore qual è? È quello che permette all’anima incarnata la medesima libertà che per ora le spetta nei periodi tra morte e nuova nascita; è frutto di una pre­parazione il cui svolgimento può effettuarsi comunque e in ciascuna delle condizioni alternative.

 

Solo con un Pensiero della Libertà inteso e colto in questa prospettiva, il suo esser Idea torna a splendere come il Sole nell’unico cielo che non patisce divisione tra interiore ed esteriore, tra fisico e metafisico, tra un fatto di poesia pindarica e una realtà drammatica tendente a sopraffarla.

 

Solo con un Sentimento della Libertà vissuto e alimentato nel calore offerto dall’anima, gli Esami di Maturità che si susseguono nel corso della vita terrena cominciano a delinearsi nella loro veridicità; essa non contraddice i criteri della vicenda esistenziale, ma li integra in un contesto piú vasto ed esplicativo.

 

Solo con un Volere la Libertà non per se stessi o per una umana contingenza, cui menti e cuori hanno comunque diritto, ma perché il divino, che risiede in ciascuno di noi, illumini di nuovo Amore l’intero universo, il segno della Via si manifesta.

 

 

Angelo Lombroni