Se tutto un infinito
ha potuto raccogliersi in un Corpo,
come da un corpo
disprigionare non si può l’Immenso?
Alda Merini
Disprigionare l’Immenso
Il tocco dei grandi pianisti è in grado di dominare la complessa meccanica dello strumento e di caratterizzarne il fatto sonoro in modo unico e irripetibile. Anche un fruitore mediamente preparato è in grado di riconoscere il tocco del suo pianista preferito, nonostante i numerosi processi di trasformazione e metamorfosi di cui il tocco è protagonista.
Nel “tocco” si cristallizza l’essere del pianista che, successivamente, si amplierà attraverso le altezze del fatto sonoro. Il tocco del pianista è, per cosí dire, in grado di cavalcare l’ippogrifo, di alleggerirsi fino ad entrare in risonanza con l’etere chimico o musicale senza perdere la sua ipseità.
Ascoltiamo Beethoven ed al contempo l’interpretazione offerta da questo o quel pianista. Ne apprezziamo o meno l’interpretazione e ci accordiamo o meno con la sua individualità.
L’essere ascetico di un musicista dedito interamente al suo lavoro, si pensi ad Arturo Benedetti Michelangeli, si effonde profondamente in ciò che egli interpreta.
E cosí, il tatto acquisisce una qualità ineffabile, inesprimibile. Si può capire quindi il nesso, la polarità, tra il senso del tatto e quello dell’Io dell’altro.
Un pianista suona in qualche parte del tempo e dello spazio e la sua musica giunge a un ascoltatore lontano, magari attraverso una radiolina. Ed ecco che l’ascoltatore intuisce qualcosa di quell’altro essere lontano. Ne intuisce, attraverso il veicolo musicale, qualità, virtú, che lo incoraggiano a tentare una ricerca su quella individualità.
Il fruitore acquisterà magari un disco, si informerà sull’esecutore e scoprirà che l’immagine interiore che si era fatto del musicista corrisponde, in un certo qual modo, a quanto di lui ha appreso da giornali e riviste. I giornali e le riviste, però, accompagneranno, senza sminuirlo, il mistero di quell’incontro. Il fruitore custodirà preziosamente il mistero di quella rivelazione arrivatagli mediante la musica.
Come accennavamo inizialmente, l’essere umano avrebbe, infatti, la capacità di percepire l’Io dell’altro.
Il senso del tatto è realmente il senso del toccare e del venir toccati, eppure certi incontri si celebrano in spazi reconditi e silenziosi. Ci addentriamo, attraverso il senso del tatto, nella sfera della viva dimensione sociale. In quell’ambito posto tra Io e Tu.
Oggi quello spazio lo si vorrebbe vuoto, privo di vita. Eppure l’incontro con l’altro, con l’Io dell’Altro, nasce proprio da questa nuova cultura dello spazio.
L’arte sociale avrebbe bisogno, invero, di artisti sociali, di esseri in grado di trasformare in opportunità tutto quanto sembrerebbe provenire da una direzione infelice.
Si pensi alla sordità di Beethoven, alla Discesa Infinita di Van Gogh, a Dino Campana. Si pensi all’estrema coerenza del pedagogista Janusz Korczak che dal ghetto di Varsavia poneva le fondamenta per la costituzione di una carta dei diritti dei bambini.
Se pensassimo a fondo alla connessione tra il senso del toccare e dell’esser toccati con il senso dell’Io dell’altro (si pensi al concetto di metamorfosi ascendente), potremmo forse intendere la relazione tra il senso dell’Io dell’altro ed il senso del toccare e dell’esser toccati quale espressione di una metamorfosi discendente.
Proteggere, difendere, accompagnare. Il maestro non ha bisogno di molto altro per aiutare i propri alunni in reali momenti di necessità o gravità. In assenza di lana cardata, canzoncine e telaietti, quel che resta è l’intima qualità del maestro: la sua vocazione e la sua arte. Ammesso che ci siano.
Comprendere l’Io dell’altro vuol dire innanzitutto essere attenti ai suoi reali bisogni, alle sue richieste silenziose. Questa comprensione agisce nel profondo inverando una metamorfosi discendente: agisce “toccando” l’essere altrui, risvegliandolo, commuovendolo.
Ove la cura del senso del tatto potrà sembrare irrealizzabile, si dovrà procedere partendo dall’osservazione del senso dell’Io dell’Altro; dal riconoscimento dell’essere dell’altro.
Nicola Gelo (4. Fine)