Stasi e crisi

Spiritualismo

Stasi e crisi

Ci sono pervenute in redazione, in quest’ultimo periodo, lettere di discepoli che coltivano gli esercizi da tempo, e chiedono perché non vedono i riscontri che si aspettavano. Altri riferiscono che, dopo anni di pratica, vedono oscurarsi quanto credevano di aver conquistato in maniera definitiva.

 

Per una risposta ad entrambi i casi, riteniamo utile riportare uno stralcio dal libro di Franco Giovi  La Via Solare, che tratta proprio di questi problemi.

 




 

meditazionePuò accadere che il discepolo di Scienza dello Spirito pratichi per uno, dieci o vent’anni gli esercizi esoterici, senza apparenti risultati: le attuali caratteristiche delle forze in gioco del divenire generale e l’architettura dei veicoli interiori individuali (dharma e karma), possono non indirizzarci verso una relativamente “facile” veggenza: un vero itinerario iniziatico non patisce tempi (e preconcetti) ordinari.

 

In linea di massima, se l’operatore pratica con onestà e costanza le discipline interiori, matura anche il profondo sentimento che il breve decorso di una vita non limita la strada intrapresa verso la reintegrazione cosciente allo Spirito, e se da tale sentimento gemma la limpida certezza che la vita ed il campo d’azione dell’anima devono estendersi oltre lo spazio ed il tempo dei nostri attuali confini, ciò indica che lo Spirito sta già operando alla trasformazione, dall’impercepito cuore del nostro essere.

 

Dobbiamo inoltre considerare, con serietà e chiarezza, che le azioni e gli esseri dei Mondi sovrasensibili, quando non ci giungano smorzati e simbolizzati come può avvenire, ad esempio, in particolari sogni lucidi, non assomigliano ad alcuna conosciuta rappresentazione sensibile, e quindi la piú pura esperienza interiore, caratterizzata da totale rapidità ed estraneità, può attraversare impercepita la nostra coscienza, del resto puntualmente disattenta anche verso le manifestazioni dello Spirito, meno rare di quanto si presuma, ma balenanti nei dove e nei quando piú lontani dall’or­dinario pregiudizio rappresentativo.

 

Vi sono non pochi operatori, quasi guidati da mano invisibile verso studi e discipline, che possiedono o acquistano, anche precocemente, esperienze estrasensibili e momenti illuminativi veridici: quando poi tali esperienze iniziano a divenire respiro interiore, vita interiore, qualcosa pigia l’interruttore e si spegne ogni luce. lasciando all’anima un muto e indifferente mondo sensibile ed un mondo interiore cosí atono e depresso che a malapena giustifica il suo esistere come prodotto delle categorie corporee.

 

Madame Guyon

Madame Guyon

«È terribile – dice Madame Guyon – per un’anima che aveva creduto d’essersi avanzata sulla via della Perfezione, il vedersi cadere a pezzi cosí, tutto ad un tratto».

 

Eppure le Caporetto dell’anima sono, a sguardo calmo, sconfitte positive: quanta superbia, orgoglio e smisuratezza venivano seminate dopo ogni esperienza straordinaria, nell’anima, deformandola!

 

È possibile constatare che, qualora il corpo astrale non sia stato davvero dominato e “purificato”, l’irruzione di parziali esperienze interiori favorisce guasti e alterazioni dell’organizzazione animica umana: differenza di potenziale.

 

La moralità, di cui spesso si parla (per l’appunto, si parla), la cui potenza di solito non supera l’ordinario naturale, è passiva, perciò totalmente insufficiente ad agire per riplasmare e armonizzare le forze attivate: la moralità che l’anima coltiva nel tepore del proprio sensuale compiacimento è solo e semplicemente moralità da night club: belletto stravolto dalla prima sensazione forte.

 

Le forze necessarie per superare il crollo o lo stallo non possono essere le forze invertite dell’astrale, dell’ego: rispetto a queste sono piuttosto “non forze” che maturano soltanto nella progressiva perdita della personale ricchezza interiore: nella spoliazione dell’anima che, come albero d’autunno, lascia avvizzire e cadere ogni sua foglia: orpelli ed illusioni.

 

Franate le fiabesche rappresentazioni dell’ego, nell’anima dell’operatore, che iniziò potente, albeggia la coscienza dei propri limiti, la consapevolezza che la forza personale confina con l’impotenza.

 

L’autoconoscenza, se non distoglie lo sguardo, incomincia a conoscere da vicino le sostanziali ombre della debolezza e della morte. Ora l’asceta entra in un tempo di pericoli: vive, nella sottocoscienza umana, un’entità che vede tutto, ricorda tutto e desidera, con straordinaria intensità, tutte le forze vitali che attraverso il pensare ed il percepire alimentano la struttura umana. Questo essere viene afferrato da profonda paura quando l’operatore cosciente perde la sua vitalità e, avvertendo il rischio del venir meno della propria bramosa essenza, cerca verso il basso forze ed entità che possano risarcirlo.

 

Tale è l’immagine elementare della dinamica dei patti inconsci, che vanno poi allargando a dismisura il numero dei discepoli, chiamati ma non eletti, i quali con le migliori intenzioni del mondo lavorano alla distorsione, alla banalizzazione, in definitiva alla fatale alterazione dell’insegnamento Solare.

 

Va evidenziato che quella che è stata chiamata l’ombra della debolezza e della morte, può diventare, in momenti apicali, viva sensazione. Può verificarsi, ad esempio, che lo sperimentatore, dopo essersi coricato per il sonno, avverta il sopraggiungere di una straordinaria debolezza, che sembra portarlo allo zero delle stesse funzioni vitali. La coscienza allora pensa: “Ora sto per morire”, e si affida, in attimi cruciali, all’Imperituro. L’atto è cosí semplice e totale da permettere l’immediata risposta del Divino (oppure, a seconda dei casi, della “Catena dei Viventi” o “Comunione dei Santi”) che accoglie il discepolo, lo salva e lo risana.

 

Maître Philippe di Lione

Maître Philippe di Lione

Coerentemente alle accennate esperienze, ed in opposizione all’entità bramosa, che lo trascinerebbe verso la caricatura galvanizzata della retta attività interiore, l’operatore impara a chiedere alle Altezze l’aiuto necessario, la forza che sembra mancare: impara la resa e l’interiore orientamento verso il Divino, comprende che la sua realtà non si cancella proprio poiché si consacra al Divino, a Chi può tutto, in silenzioso anelito e paziente attesa. «Io sono il piú piccolo di tutti e, se volete che Dio vi accordi ciò che gli domandate. non siate piú grandi di me»: ecco la traccia lasciata da Maître Philippe.

 

Il pensiero che, con la superficialità del razionalismo, giudichi questa direzione dell’anima come lampante indicazione di cedimenti interiori o di istintivi tatticismi dettati dalla paura, ignora, per difetto di profondità, che la con formazione fondamentale dell’anima è “religiosa”, cioè strutturalmente dedita al Divino, e che i momenti simili a quello accennato nelle precedenti righe sono per l’appunto momenti di verità della sua natura.

 

ConcentrazionePur congiunto alle drammatiche situazioni riassunte, l’asceta continua, insistente e cocciuto, con “ripetizione e ritmo” gli esercizi di concentrazione interiore. Intensificando l’accordo della volontà con il pensiero della concentrazione, attraverso gli spazi liberati dalla momentanea assenza “dell’umano sentire” lungo canali interiori giunge sino alla testa la virtú possente dell’impersonalità, con la quale il volere satura ordinariamente la dinamica degli arti: si instaura, all’interno della coscienza, uno stato di inalterabilità e spassionata indifferenza.

 

Ciò può venir pensato e persino sperimentato come una ulteriore perdita di qualità umane, ma simile valutazione negativa, pur comprensibile, risulta nondimeno pregiudiziale ed affrettata. Alla stregua di quanto troviamo indicato su testi fondamentali circa gli effetti dell’equanimità, anche in questo caso va sottolineato che l’esperienza del sentire può ancora presentarsi viva e forte nell’anima, ma come prodotto di una maggior attività interiore.

 

Questi stati interiori sono realmente contradditori per la coscienza ordinaria, per la psiche, mentre al contrario per l’operatore interiore divengono stati di natura superiore, perfettamente coerenti, come ad un gradino inferiore troviamo, ad esempio, l’inspirare e l’espirare sensibili, come parti contrapposte di un processo indubbiamente unico e necessario.

 

Stasi e crisiDel resto, la potenza dell’impersonalità interiore, se da un lato permette la sospensione nel giudicare gli avvenimenti sensibili e l’indifferenza verso le istanze dialettiche dell’ego, dall’altro libera nell’anima la capacità di portare avanti richieste estrasensibili che, dal punto di vista di una ipotetica esteriorità, apparirebbero troppo complesse o impossibili: decisamente estranee alla coscienza dialettica eternamente pregna di dilemmi discorsivamente irrisolvibili.

 

L’asceta che riesce ad integrare all’interiore capacità di distacco dal sensibile e di dominio del mentale un intimo orientamento verso il Divino, può anche accogliere, senza turbamento, il Silenzio dello Spirito nel silenzio dell’anima, affinché i due diventino uno: attendendo in calma certezza che una Forza impensata, e tuttavia riconoscibile perché fraterna all’individuo umano, lo tragga, rinnovandolo sugli ulteriori passi del cammino Solare.

 

 

Franco Giovi