Dobbiamo tener presente che esistono ulteriori condizioni e situazioni particolari nelle quali l’aumento dell’acido urico ematico tende insidiosamente ad incrementarsi senza sbocchi di sorta, fino a sfociare in un processo simil-gottoso: insufficienza cardiaca, insufficienza renale, espressioni acidotiche polmonari, infarto miocardico, infarto polmonare ecc. Anche certe lisi intense organo-tissutali da processi destruenti si accompagnano ad iper-uricemia: neoplasie, emoblastosi (soprattutto la mieloide cronica). Ulteriori condizioni che possono determinare un aumento della concentrazione ematica di acido urico sono: la malattia di Biermer, la poliglobulia vera, la sindrome di Orwen (ovvero la malattia causata da una carenza del fattore V o proaccelerina, detta anche paraemofilia A) l’ipotiroidismo, l’ipoparatiroidismo, molte delle c.d. sindromi emolitiche (tipica la sindrome di Zulzer- Kaplan con mongoloidismo apparente e scarsa alterazione eritrocitaria); non vanno neanche trascurate le iperuricemie in corso di trattamento con energia radiante né quelle causate da trattamenti con farmaci tubercolostatici (isoniazide, acido paraminosalicilico, etionamide, etambutolo ecc.).
Sovente anche l’ipertensione arteriosa c.d. essenziale, ovvero non secondaria ad altre cause, si accompagna ad un aumento del tasso ematico di acido urico come anche l’etilismo cronico e l’ipercolesterolemia familiare. Come si vede, essendo molteplice l’evenienza concernente l’aumento dell’acido urico ematico, è necessario operare una necessaria distinzione sul piano diagnostico nonché una esatta identificazione patogenetica, tanto per la condotta terapeutica quanto per determinati risvolti noetici scientifico-spirituali riferentesi alla gotta. Come si vedrà in seguito, a questi aspetti conoscitivi donatici dal Dottore è collegato un “modus” di comprensione e di intendimento ispirato ad un ideale etico, fondato sul rispetto assoluto nutrito dal medico nei confronti del malato, quali che siano le condizioni di questo in relazione alla socialità, all’origine etnico-razziale, alla cultura, alla religione, all’educazione morale ecc.
[La lisi (dal greco λύσις) è la demolizione e dissoluzione di una cellula, causata dalla rottura della membrana cellulare. La rottura può esser indotta da agenti chimici, fisici e biologici. ll quadro clinico, connesso con il deficit di vitamina B12, è denominato malattia di Biermer ed è caratterizzato dalla triade anemia perniciosa, disturbi gastrointestinali (stipsi) e disturbi neurologici (paresi, atassia, disturbi delle sensibilità tattile/propriocettiva e parestesie, presenza di riflessi patologici come il segno di Babinski e il segno di Rossolimo. Precisiamo anche che per “emoblastosi” si intendono quelle gravi patologie neoplastiche che determinano la formazione di elementi ematici anomali che vengono comunemente definite con il termine di “leucemie”: la leucemia mieloide cronica si accompagna frequentemente ad iperuricemia].
Un eventuale atteggiamento pregiudiziale nei confronti del malato di gotta, sulla scorta degli elementi acquisiti tramite la rivelazione donataci dal Dottore che come abbiamo visto fa esplicito riferimento a forze astrali di tipo animale-subumano, sarebbe decisamente degradante per la personalità del medico, aldilà dei criteri della medicina usuale o di quella fondata sui princípi della Scienza dello Spirito. In ogni caso, proprio in quanto essere medici secondo la via del Dottore è cosa non facile in rapporto all’obbedienza e all’osservanza di certi princípi etici richiedenti un maggiore impegno interiore, proprio per questo motivo è piú facile che il medico incorra in un tipo di errore che crediamo di poter definire come “errore antroposofico”. Nessun altro medico può errare in siffatto modo.
Ma se il medico seguace della Scienza dello Spirito è l’unico possibile autore di tale uso discutibile di essa e del poco corretto modo di muoversi nell’ambito della vita concreta, due verità connesse a ciò scaturiscono: la prima verità è che egli deve acquisire maggiore fermezza interiore ed indulgere poco con se stesso riguardo alcune adempienze di carattere interiore; la seconda verità è che, malgrado si sia soggetti all’errore, proprio muovendosi nelle verità e con la verità della Scienza dello Spirito, la responsabilità è esclusivamente nostra. Non ci si può davvero giustificare sostenendo che taluni princípi e talune idee del Dottore hanno avuto cattiva destinazione ed esito poco felice, in quanto questi effetti sono stati determinati dal contenuto di quelle idee! Chi pensasse cosí renderebbe ancor meno chiara la sua posizione.
[Avendo avuto la fortuna di frequentarlo molto, posso chiarire meglio ai lettori cosa intendeva Amleto con il termine di “errore antroposofico”. In accordo a quanto i suoi Maestri Giovanni Colazza e Massimo Scaligero, e la sua sorella maggiore Bianca Maria detta “Mimma”, gli avevano insegnato, Amleto deprecava l’atteggiamento mistico-devozionale cosí frequentemente adottato dagli antroposofi nei confronti delle rivelazioni che Steiner ci ha donato. Amleto era solito ripetere che il Dottore invitava i suoi discepoli a non accettare fideisticamente le sue proprie affermazioni (frutto della sua indagine occulta) ma a verificarle attraverso la propria personale indagine spirituale o tramite l’uso della logica.
È bene ricordare quanto Massimo Scaligero era solito affermare: «La Scienza dello Spirito non è una religione ma una via spirituale individuale che può compiersi unicamente attraverso una rigorosa disciplina interiore. Io non ho mai aderito acriticamente alle rivelazioni del Dottore ma le ho sempre sottoposte ad una verifica personale, e tale verifica mi ha mostrato che tutte le affermazioni di Rudolf Steiner erano vere!». Quanto la maggioranza degli antroposofi siano lontani da un atteggiamento del genere possiamo verificarlo agevolmente sia attraverso una visione obiettiva della storia e delle vicende relative al movimento antroposofico, sia attraverso l’attenta lettura del capitolo “Antroposofia” dell’autobiografia di Massimo Dallo Yoga alla Rosacroce. L’atteggiamento mistico-devozionale di cui sopra, unitamente all’incapacità di sorreggersi sul proprio Io, hanno determinato l’affermarsi negli ambienti antroposofici di personaggi spesso arbitrariamente (ed erroneamente) giudicati come dei “novelli Steiner”: tali personaggi, che evito di citare per rispetto dell’altrui sensibilità, hanno in molti casi falsato notevolmente i contenuti della rivelazione di Steiner, contenuti che sono a disposizione di tutti e che tutti possono verificare nel modo che Scaligero ci ha indicato. Dunque non possono esistere né “apostoli”, né “facilitatori spirituali” né tanto meno “mediatori a pagamento” dell’opera del Dottore, che ogni vero discepolo della Scienza dello Spirito deve studiare ed investigare individualmente].
Importante nei confronti del paziente gottoso (e anche nei confronti di quello palesemente “sub-umanizzato”, anzi nei confronti di questo dovrà esserlo ancora di piú) è che lo si veda come “malato”: come essere cioè al quale siamo stati condotti da un elemento attivo del karma e probabilmente da un elemento karmico comune. Quali che siano le espressioni karmiche della malattia, due sono le forze autenticamente risolutrici: il pensiero intuitivo e vitalmente mobile, e l’amore pieno di rispetto verso colui che ci si presenta carico di un gravame e di una sofferenza oppressiva rispetto ai quali siamo chiamati ad operare nel senso della conoscenza e del rispetto. Sopra tutto, avendo a che fare con un gottoso, non dobbiamo lasciarci afferrare da talune pregiudiziali belle e fatte; altrimenti alla gotta del paziente non apporteremo alcun atto terapeutico efficace bensí produrremo qualcosa di soggettivamente nebuloso e di irriverente. Alla gotta del paziente aggiungiamo un elemento personale che rappresenta il nostro modo di essere “gottosi” con il pensare e con il sentire.
Se è vero che gottosi si nasce e si diviene, è anche vero che lo si possa divenire piú della misura reale, in quanto si subiscano certe “inclusioni” di sapere male assimilato e male usato, da coloro che operano da medici, usando le conoscenze della Scienza dello Spirito male assimilate, né sempre usate nel migliore dei modi.
Ad un medico “normale” non incombono doveri interiori, oltre quelli richiesti dal codice deontologico; ma al medico seguace della Scienza dello Spirito ben piú ampia e piú profonda si prospetta la dimensione della propria etica. Vogliamo dire che se un medico “professionista ufficiale” può consentire a se stesso di curare con successo un paziente per il quale non abbia molta simpatia, e per il quale non nutra molto rispetto, al medico seguace del Dottore, e che operi secondo le idee del Dottore, è richiesta l’autonomia interiore riguardo a taluni condizionamenti tanto per il valore etico di questa libertà interiore, quanto per certe sottili connessioni esistenti tra l’efficacia della sua operatività e la sua autentica struttura etica di fondo. Questa considerazione non vuole assolutamente prescrivere regole o atteggiamenti di rigidismo moraleggiante. Si sa quanto raccomandazioni e prescrizioni di tal genere siano generalmente destinate a vanificarsi. Ciò che è stato finora detto può valere soltanto ad acquisire la possibilità di avere coscienza e conoscenza piú vigili ed attente. Ma si considerano coscienza e conoscenza, nel senso pensato dal Dottore e dal nostro Massimo, come le premesse piú sicure alla nascita di quella moralità alla quale ci siamo riferiti, e della quale il medico ha bisogno quanto del “sapere” o piú di questo stesso.
[Innanzitutto segnaliamo, ai lettori desiderosi di approfondire queste ultime importanti considerazioni di Amleto, la lettura del volume di Rudolf Steiner dal titolo Princípi di Etica Medica (Editrice Antroposofica, O.O. N° 316). Riteniamo anche utile, in relazione a quanto abbiamo detto nella nota precedente, attirare l’attenzione dei lettori su queste cruciali affermazioni di Amleto: in quanto si subiscano certe “inclusioni”di sapere male assimilato e male usato, da coloro che operano da medici, usando le conoscenze della Scienza dello Spirito male assimilate, né sempre usate nel migliore dei modi. Il lettore attento e diligente potrà facilmente comprendere che ciò vale non soltanto per i medici che applicano alla loro professione i princípi della Scienza dello Spirito, ma piú in generale per tutti coloro che aderiscono ai princípi della Scienza dello Spirito orientata antroposoficamente. Se i princípi fondanti della Scienza dello Spirito non vengono correttamente assimilati, essi non potranno che essere utilizzati in modo non corretto con l’ovvio risultato di ridurre un qualcosa di sacro come l’Antropos-Sophia, ad una sorta di burletta misticheggiante e sentimentalistica: una sorta, in definitiva, di “Antroposofia New Age”! Contro tale deprecabile atteggiamento Giovanni Colazza prima e Massimo Scaligero poi, hanno tenacemente combattuto attirandosi le ire di molte “anime belle”, evidentemente convinte che la Scienza dello Spirito non debba essere considerata come una Via interiore da seguire con grande rigorosità].
Amleto Scabellone (11. continua)
La trascrizione dell’articolo e le note esplicative tra parentesi quadre sono a cura di Fabrizio Fiorini.