Pietro Antonio Manca: pittore immaginativo

Pittura

Pietro Antonio Manca: pittore immaginativo

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40° 47 54 N 8° 34’ 38’ E: sono le coordinate geografiche di Sossu, in lingua italica Sorso. Paesello del nord della Sardegna, posto nella Romangia. Si affaccia degradando sul golfo del­l’Asinara. Nel territorio sono presenti resti pre-nuragici dei tempi taurini, nuragici e romanici. Nel medioevo è stato un centro religioso importante, vi sono sorte ed hanno operato diverse chiese.

 

Pietro Antonio Manca Autoritratto

«Autoritratto»

 

L’11 gennaio 1892, da Alessandro e Giovannina Piredda nasce Pietro Antonio Manca: pittore immaginativo.

 

Uomo maturo, ha superato i 35, si dedica a lunghe e solitarie passeggiate nella campagna di famiglia, circondato da una natura arcigna. Cerca da tempo ispirazione per la nuova via dell’arte.

 

È marzo, la natura ha iniziato il suo potente risveglio, cammina calmo nella strada che da Sorso porta a Sennori, ed ecco improvviso il “miracolo”: vede la campagna trasfigurata. L’essenza del sensibile gli affiora come pensiero, nella percezione cade la dualità, il fenomeno diventa conoscenza. Puntuale lo annota sul suo taccuino dove verga anche alcuni disegni. Nasce la pittura immaginativa di Pietro Antonio Manca.

 

A 63 anni la sintetizza in modo sistematico nel saggio “Concezione immaginativa della pittura italiana in Sardegna”.

 

«Cavalcata sarda»

«Cavalcata sarda»

 

Terzo di dieci figli, famiglia benestante di proprietari terrieri, vive un’infanzia serena a stretto contatto con la natura, ama i cavalli che la famiglia, tra l’altro, alleva; un fratello, Bruno si occupa di quelli da corsa.

 

Meno che ventenne interrompe gli studi, volontario nella campagna di Libia, si distingue ed è sergente. Di carattere estroso, ha un particolare coraggio accompagnato da altruismo e generosità. È subito attivo nel conflitto mondiale, rimane ferito a Redipuglia; in battaglia si fa valere nei corpo a corpo, è ufficiale dell’eroica Brigata Sassari. Ma questa guerra lo segna, guarda la vita da una nuova prospettiva.

 

Terminata la guerra lo accolgono la famiglia e la campagna di Sorso. Finisce il liceo. Ha sempre avuto la passione per il disegno e il dipinto, ma da autodidatta. Non ha titoli, non ha studi ma, con volontà precisa, decide di fare il pittore, il suo destino è segnato.

 

A 33 anni intraprende un viaggio di alcuni anni: Roma, Firenze Milano, Parma, Venezia. Diffidente ma calmo, ha uno sguardo definito a spillo, acuto ma benevolente. Visita e studia i principali musei, colpito dal Caravaggio, cerca e conosce diversi circoli artistici.

 

Nuovo Rinascimento

 

A Roma incontra e diviene amico del poeta Arturo Onofri, che lo introduce alla Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner. La tessera del circolo Pico della Mirandola ha la data del 30 gennaio 1930.

 

Nella sua biblioteca il testo La Scienza Occulta di Rudolf Steiner è fitto di annotazioni e sottolineature. Con Onofri mantiene negli anni una importante corrispondenza. Ha il suo libro Nuovo Rinascimento come arte dell’Io. Sulla copertina annota: da leggere con calma.

 

L'uomo dal cappello verde

«L’uomo dal cappello verde»

“L’uomo dal cappello verde”: nel dopoguerra a Sassari viene chiamato cosí, tra il rispettoso e l’ironico, dal circolo di intellettuali che frequenta, per via del vezzo di portare un largo cappello verde scuro che “non si levava mai”. Seduto ai tavolini del caffè parla calmo, senza enfasi, della Scienza dello Spirito di Rudolf Steiner e della Terrestrità del Sole di Onofri. «La pietra si muove, io vedo il ritmo delle immagini, il divenire della realtà che ha contenuto divino perché sono le idee cadute da Dio che ivi sono reali». Parla di ripetute vite terrene, di reincarnazione.

 

Perlopiú lo ascoltano perplessi o esterrefatti. Non mancano silenzi da imbarazzo cui si tenta di porre rimedio con la celia. Pietro Antonio quieto, tenace insiste, è stimato e noto, induce rispetto. Vive a Sassari, sposa Evelina, ha un’unica figlia Vanna, che gli darà dei nipoti. Parco, è persona moderata e modesta.           

 

A tratti lascia Sassari per trascorrere lunghe giornate estive nella campagna di Marritza, in solitudine. Pratica il digiuno alimentare.

 

A 47 anni dipinge «Cavalieri e draghi» (ora a Cagliari) con cui interpreta la raccolta di poesie di Onofri “Vincere il Drago”.

 

Attivo, instancabile cerca di stimolare e rafforzare l’attività dei pittori in Sardegna. Nel 1943 era stato nominato commissario del sindacato degli artisti. Numerose le mostre in Sardegna, ma è presente anche a Roma, Firenze, Milano Venezia. Non mancano riconoscimenti.

 

Si appassiona alle tesi sul cromatismo di Newton e alla teoria dei colori di Goethe, che fa sua. Dichiara: «I colori sono misteri della natura, crittogrammi che siamo chiamati a decifrare». Si muove in un contesto europeo sempre antiaccademico. Si batte per affermare la successione colore-forma-disegno in sostituzione dell’accademico disegno-forma-colore. La pittura deve penetrare l’essenza dell’anima. Occorre ritrovare il Divino. «Ho tentato di rendere apparente ciò che è visibile».

 

I suoi quadri spaziano dal tema del sacro – spiccano Marcia Trionfale e Giudizio Universale – ai numerosi autoritratti, visti anche come ricerca dell’Io. La vita in Sardegna, trasfigurata oltre una sterile e stucchevole visione tradizionalistica. I ricordi dell’Africa, le maschere, i ritratti. Dipinge piú volte scene con Giovanni Maria Angioy, personaggio di spicco della Sardegna nel secolo decimottavo, politico rivoluzionario antifeudale da lui ammirato. Nature morte, le marine.

 

Per 15 anni scrive sull’arte e la cultura nel quotidiano «La Nuova Sardegna». Cerca di opporsi con fermezza al materialismo dilagante; è tollerante ma intransigente sui princípi e sulla necessità di un rinnovamento spirituale. Spesso fanno seguito attacchi, urti, incomprensioni e inimicizie.

 

Nel 1960 viene nominato Commendatore della Repubblica. Nel 1972 vince l’importante premio “Mario Sironi”. La sua vis polemica si rivolge alla degenerazione dell’arte astratta e al concetto di avanguardia. Nel ’57, in un’esposizione a Nuoro, richiede indietro le sue opere; protesta per il premio assegnato a un quadro astratto del pittore Mauro Manca. Non da pochi viene considerato artista in ritardo e isolato.

 

Determinato ma mite agli amici confida “molti mi prendono per un visionario”. Di fatto è isolato solo da una cultura dominante: bisbetica, frivola e noiosa, già morta, che spesso in modo grottesco riecheggia mode dell’oltre oceano od orridi realismi di glaciali regimi.

 

Nonostante le gravi derive culturali e sociali col tempo il suo sguardo esprime una severa dolcezza cristica; vuole essere “pintogliu”, pungolo, per i giovani e per la sua comunità.

 

Longevo, abbandona il suo corpo il 19 ottobre 1975 a Sassari. Considerato uno dei maggiori artisti sardi del Novecento, nondimeno dopo la morte è caduto in una sorta di oblío.

 

Ci rimane la lotta di un Io per attingere alla sua propria scaturigine: non è poco.

 

 

Gelso