Non sono contraria allo studio dei giovani secondo una cultura multilinguistica, ma questo non dovrebbe essere a scapito della nostra lingua, che dovremmo non solo amare ma anche rispettare. Mio figlio va all’Università da pochi mesi. Adesso a casa, con noi, parla come uno straniero, utilizzando piú termini anglofoni che italiani. Questo è accaduto in pochissimo tempo, come se per poter stare all’altezza del nuovo ambiente dovesse stravolgere il suo linguaggio, rivolgendosi a noi genitori e ai fratelli come se fossimo degli zotici primitivi. Tra l’altro cambiando anche la pronuncia latina, che gli anglofoni deformano in modo alquanto ridicolo. E cosí parla di “vairus” per virus, di “ensaiclopídia” per dire enciclopedia (forse mutuato da quello che tutti pronunciano Wikipídia, ma che in Italia dovremmo pronunciare Wikipedía, come enciclopedía) e anche i “mídia” per indicare i mezzi di comunicazione di massa. Mio marito e io siamo laureati e professionisti, ma non abbiamo mai sentito la necessità di ricorrere continuamente, come fa mio figlio, a termini stranieri per affermare una sorta di superiorità verbale. Vorrei un consiglio per far tornare alla ragione il ragazzo. Io ho provato in vari modi, con lo scherzo, la battuta o il discorso serio, ma la risposta è stata solo un mezzo sorriso di compassione.
Nadina D. P.
Bisogna avere molta pazienza con i ragazzi in questo periodo. Piú di quanta ne c’è voluta in tempi precedenti. La competizione per loro è forte, a volte snervante, cercano di essere accettati dagli altri, e il modo di parlare goliardico è sempre stato uno dei sistemi per far parte di un clan studentesco, che si esprime in contrapposizione alla tradizionale lingua degli adulti. Oggi lo slang giovanile si mutua spesso dal lessico computeristico, per cui si usa googlare per fare una ricerca su Google, linkare per collegare, cuorare per inviare cuoricini, bannare per escludere da un social, e tanti altri termini che è inutile elencare. Parlare poi intercalando parole inglesi in abbondanza dovrebbe dare l’idea di mentalità internazionale, quindi evoluta, aperta al futuro. In realtà non è cosí, ma il giovane deve arrivarci da solo, e lo farà sicuramente presto. Per ora è una matricola all’Università, e avrà bisogno di sentirsi inserito in questo nuovo mondo al quale si è affacciato. Il prossimo anno se ne sentirà già parte integrante e non avrà piú bisogno di appoggi psicologici. Dunque tolleranza e tranquilla attesa di una futura e certa presa di coscienza.
Vorrei presentare una richiesta di supporto in merito alla presunta cessazione della legge del karma; cessazione avvenuta, a detta di alcuni, il 31 dicembre 2012. Penso che sia ancora molto lontana l’epoca in cui cesserà di essere operante tale legge, ma non dispongo di adeguate spiegazioni in merito. Gradirei conoscere il punto di vista che fornisce la “Scienza dello Spirito”. Grazie e buon lavoro.
Olindo F.
Interessante questa convinzione di una passata cessazione della legge del karma. Una personalità molto originale deve averla concepita e anche diffusa. Superare la legge del karma, e di conseguenza anche quella del dharma, presuppone un’evoluzione tale da poter forgiare il proprio destino futuro in maniera pienamente autocosciente, con una totale comprensione di tutto ciò che ogni nostra azione può generare negli altri, nella società, nella nazione, su tutta la Terra. Ogni nostra risoluzione, decisione, scelta, ci pone su un diverso percorso, da cui dipenderà un cambiamento non solo del nostro futuro, ma anche di quello di tutti gli esseri a noi collegati. L’inesorabile equilibrio del destino ha stabilito che ad ogni azione corrisponda una reazione, ad ogni nostra manchevolezza una necessaria riparazione, in questa o in una vita futura. Solo la piú alta Legge dell’universo, la Legge dell’Amore, è in grado di superare quella del karma, e attiene al Signore del karma: il Cristo.
Mio marito ha la capacità di capire quello che è giusto o sbagliato, quello che è positivo o negativo nelle situazioni e nelle persone. Ho dovuto constatarlo in moltissime occasioni, ed è raro che sbagli, anzi non accade mai. Gli ho chiesto se c’è un sistema per avvicinarmi a quello che lui sa e fa, ma lui dice che è normale. Io penso che sia anche perché lui segue l’antroposofia da molto tempo, mentre io mi sono avvicinata tramite lui e sono ancora una principiante. Vorrei sapere se posso sviluppare anche io questa dote, che secondo me è molto utile nella vita pratica.
Donatella M.
Tutti noi possiamo sviluppare questa “dote”, che in realtà è uno dei dodici sensi di cui parla Rudolf Steiner: 1. il senso del tatto, 2. il senso della vita, 3. Il senso del movimento, 4. Il senso dell’equilibrio, 5. l’olfatto, 6. il gusto, 7. la vista, 8. il senso del calore, 9. l’udito, 10. il senso del linguaggio, 11. il senso del pensiero e 12. il senso dell’Io. Massimo Scaligero diceva che sviluppando il senso del pensiero, attraverso la disciplina interiore rappresentata dai cinque esercizi (concentrazione, azione pura, equanimità, positività e spregiudicatezza), si acquista il “senso della verità”, che fa parte appunto del senso del pensare, che diviene “retto pensare”. Si ottiene cioè un pensare che penetra la realtà delle situazioni che si affrontano quotidianamente e delle persone che si incontrano, fornendo le giuste risposte. Questo non significa che se incontriamo una persona che sentiamo ostile, o che si pone negativamente nei nostri confronti, dobbiamo evitarla. Piuttosto, sappiamo come difenderci e cerchiamo di mettere in pratica quella spregiudicatezza, ovvero l’assenza di giudizio, alla quale ci esercitiamo, e che ottiene spesso risultati incredibilmente positivi.
Se tutto è maya, anche quello che noi crediamo di avere conquistato, per esempio il fatto che con le macchine o con l’aereo o con le navicelle spaziali ci muoviamo nello spazio, allora anche lo spazio in cui ci muoviamo è maya? Noi però ci andiamo da un posto all’altro, e questo non è maya, è vero. Vorrei una spiegazione comprensibile, grazie.
Augusto S.
La dimensione dello spazio, come quella del tempo, noi non la conosciamo realmente. Per questo non ci appartiene, almeno per ora. In effetti, noi siamo preda di un incantesimo arimanico, che ci fa vedere reale tutto quello che accade nella nostra dimensione fisica. È vero che ci spostiamo da un luogo ad un altro fisicamente, ma dal punto di vista dello spazio reale, noi siamo sempre nello stesso luogo: in quello fisico, che non è il vero spazio. Dovremmo utilizzare un pensiero logico libero dalla cerebralità, per capire che la dimensione vera dello spazio appartiene al pensiero, che noi però non dominiamo, perché non viviamo secondo il pensiero vivente. Il libro Segreti dello spazio e del tempo di Massimo Scaligero ci fa comprendere molto bene il fatto che forse un giorno, quando avremo dei corpi eterici coscienti, ci muoveremo realmente nello spazio, ma oggi non è cosí. Lo spazio che noi occupiamo, in cui ci muoviamo, è una immaginazione arimanica, indubbiamente utile per l’esperienza umana, ma che un giorno dovrà venir superata. Ci viene raccontato che l’uomo si stacca dalla Terra e vola nello spazio infinito, verso mondi lontani, su navicelle spaziali. Il racconto è affascinante, ma dobbiamo capire che si tratta di una maya, molto ben confezionata ma irreale, dalla quale però con il pensiero dialettico, cerebrale, è difficile uscire. Quanto al viaggio da Milano a Trieste, o a Cosenza, si tratta di uno spostamento effettivo, ma il piano sul quale esso si svolge è lo stesso: quello fisico. Non vogliamo citare Zenone d’Elea – secondo il quale una freccia scoccata occupa in ogni istante uno spazio a sé, nel quale la freccia è immobile – perché si tratta di un paradosso, ma da un punto di vista puramente logico è piú reale di quanto si possa credere. Noi ci spostiamo, ma restiamo allo stesso livello dal quale un giorno riusciremo a liberarci. E allora conquisteremo il vero spazio, che non è fisico ma spirituale.