Il risveglio

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Il risveglio

Marzo è primavera, risveglio degli alberi, che iniziano a gemmare, della vegetazione tutta, che si rinnova in un verde chiaro e acerbo, dei fiori che punteggiano di colori i prati, del mondo animale che si ridesta dal letargo, prepara la tana, o il nido, e si appresta a perpetuare la specie. Anche nell’anima dell’uomo qualcosa di nuovo appare, inavvertito a volte, soprattutto per chi non vive immerso nella natura ma in città: una sensazione preme per incitare al rinnovamento, a prestare attenzione alla nuova luce che circonda le cose, facendole sembrare diverse, piú definite, piú vive.

 

Risveglio

 

È questa la stagione in cui l’attenta percezione può portarci a scoprire una realtà oltre l’apparire distratto del quotidiano. Spesso guardiamo senza vedere, immersi in pensieri o in assilli che ci impediscono di dare la giusta considerazione a quello che abbiamo davanti. Non occorre una foresta, un parco o un vasto panorama. Anche un alberello imprigionato in un quadrato di terra assediato dall’asfalto può sorprenderci con la sua improvvisa sfolgorante fioritura.

 

Sostiamo ad osservare, con calma, respingendo l’impulso ad affrettare il passo, tornare alle cure che ci chiamano e ci impediscono di compiere quell’azione interiore che ci permette di cogliere nel finito l’infinito, nel caduco il perenne.

 

Alberello controluce

 

Se ascolteremo la voce che ci esorta al risveglio, se sapremo sostare per osservare, se porteremo il nostro sguardo calmo, non fisso né forzato ma intento e insieme distaccato, verso il fogliame, ancor piú se avvivato dal sole, in controluce, la risposta della natura sarà per noi fonte di una potente rigenerazione interiore.

 

Quello che sperimenteremo ci spingerà ad un nuovo rapporto con la natura. La cercheremo allora anche nei grandi spazi, uscendo, quando possibile, dal cemento in cui trascorriamo tanta parte della nostra esistenza, per ritrovare quel portale oltre il quale avevamo intravisto una dimensione limitrofa alla nostra: prossima ma sconosciuta se non ricercata e voluta da noi stessi.

 

La necessità lavorativa e il desiderio di una piú intensa vita sociale e di un maggiore soddisfacimento delle esigenze pratiche, hanno spinto intere popolazioni rurali ad affollarsi nelle città o nelle metropoli, perdendo il contatto con quella dimensione agreste che aveva nutrito per secoli, oltre il loro fisico, anche e soprattutto la loro anima. Le periferie si sono riempite di creature spiaggiate, che hanno perduto persino il ricordo di quella relazione profonda e intima con la natura che aveva permesso ad alcuni di loro, ai piú sensibili, o ai bambini, di gettare uno sguardo sul mondo dal quale trae linfa quello che appare solido e sicuro, tangibile: quello materiale.

 

Ma tutto ciò che è materia ha come base l’eterico, che è di una composizione piú rarefatta. E l’eterico poggia a sua volta sull’astrale, la cui rarefazione è ancora maggiore. E l’astrale poggia sullo spirituale. A chi chiese un giorno a Massimo Scaligero cosa sostenesse la Terra, se il moto rotatorio, o la velocità, o l’attrazione magnetica dei poli, tutte cose che ci hanno indotti a credere, lui rispose: «Nulla di tutto questo: la Terra poggia su se stessa, perché essa “appare” soltanto fisica, ma tutto ciò che di fisico vediamo e tocchiamo non è che maya: in realtà la materia poggia sullo Spirito».

 

antipatia

 

Anche la società in cui viviamo, i rapporti che intrecciamo con le persone con cui veniamo a contatto, nel lavoro, con i conoscenti, con i nostri amici, i familiari, tutto ha come base lo Spirito. Ma non lo sappiamo. O almeno, non lo crediamo effettivamente. Viviamo nella continua alternanza di stati d’animo contrastanti: attrazione e repulsione, simpatia e antipatia, esaltazione e depres­sione. Raramente facciamo tacere questi stimoli che ci sovrastano e ci dominano.

 

Far parlare lo Spirito in noi è ancora lontano dalle nostre possibilità. Lo Spirito si affaccia e tenta di darci la soluzione ad ogni nostro dilemma, di tacitare la passionalità che ci spinge verso decisioni prese istintivamente. Ma l’anima è subito pronta a intervenire e a suggerire, satura com’è di nozioni e conoscenze scambiate per sapienza.

 

Quel sostare ad osservare la pianta, il quieto incontro con la natura, va di pari passo con il calmo sostare prima di reagire ad ogni evento che ci si presenti nella vita di tutti i giorni. Se riusciremo ad attendere prima di rispondere con una prontezza che precede il pensiero, con l’immediatezza del già conosciuto, dello scontato, del pregiudizio che detta la rapida risposta, riusciremo forse a far emergere dal profondo la voce dello Spirito, dell’Io continuamente subissato dal­l’ego. E le soluzioni saranno quelle giuste, in tono con la linea karmica che promuove la nostra evoluzione.

 

L'attento ascolto

 

Sospendere il giudizio, attendere prima di rispondere, di reagire. Ascoltare l’altro con l’apertura della mente e del cuore: questa è la base della reciproca comprensione. Altrimenti i rapporti diverranno sempre piú difficili e le incomprensioni aumenteranno a tal punto da rendere inevitabile lo scontro dell’uno contro tutti. Ognuno sarà isolato nel proprio nucleo di certezze soggettive, indifferente alle certezze altrettanto soggettive dell’altro.

 

Promuovere la fraternità è uno dei compiti che, se assolti, ci permetterà la conquista della vera libertà: quella libertà che tutti cerchiamo, che desideriamo per noi, senza capire che la otterremo solo se non urterà contro quella del nostro vicino. L’intera società potrà salvarsi dal correre verso l’abisso – corsa che appare ogni giorno piú sfrenata – se saprà fermarsi in tempo dal pretendere per sé a scapito degli altri.

 

Se nasceranno delle comunità di persone che si riuniranno per realizzare un modello di vita secondo princípi spirituali, l’esempio virtuoso potrà estendersi ad altri e iniziare un processo di risveglio delle coscienze. Sarà la primavera dello Spirito, l’inizio della fioritura che darà i buoni frutti nell’età matura. «Ogni albero – dice Luca nel suo Vangelo – si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo…».

 

 

Marina Sagramora