Per la celebrazione,
nel 2021,
del settimo centenario
della morte di Dante,
crediamo di fare cosa gradita
nel ripercorrere la biografia
e i pensieri dedicati
al sommo poeta
da Massimo Scaligero.
La famiglia
Gli antenati di Dante appartenevano a un’antica stirpe fiorentina la quale, secondo qualche accenno dello stesso Poeta, sembra che risalga agli antichi fondatori della città. Fu suo trisavolo messer Cacciaguida, cavaliere fiorentino che aveva militato sotto l’Imperatore Corrado; il Cacciaguida ebbe in moglie un’Aldigeria dal cui nome derivò, alquanto raddolcito, quello di Alighieri. Da Alighieri, figlio di Bellincione, e da una donna Bella, forse della famiglia degli Abati, nacque verso la metà del maggio 1265, Durante. il cui nome fu poi abbreviato in Dante.
Era appena adolescente quando la madre morí: fu quindi allevato insieme con la sorella dalla matrigna Lapa di Chiarissimo Cialuffi, e si applicò agli studi sotto la guida amorevole di Brunetto Latini, poeta, filologo e filosofo di profondo valore, che, dopo la morte del genitore di Dante, fu per questi padre, oltre che maestro.
L’adolescenza
Nel primo periodo di formazione morale e culturale gli fu anche particolarmente utile, per il metodo dello studio e per l’orientamento essenziale della sua educazione interiore, l’amicizia di Guido Cavalcanti, ingegno elevato, versatissimo in filosofia e appartenente alla schiera dei poeti del «Dolce Stil Novo». Era quella l’epoca in cui in Firenze fiorivano le arti e le lettere, ma soprattutto tornava ad onore la conoscenza dell’antica saggezza italica e mediterranea, per virtú di quei poeti e studiosi che furono i «Fedeli d’Amore» e che non poca influenza esercitarono sullo spirito dell’Alighieri.
Sin dai primi anni Dante diede chiare prove di capacità intellettiva, di immaginazione feconda e ardente e soprattutto di un’intelligenza capace di comprendere in armonica sintesi le costruzioni del pensiero e la poesia. Lo interessarono gli studi letterari e quelli filosofici, cosí come quelli della storia, dai cui fatti e dalle cui dominanti figure traeva continuamente esempio per il suo eccezionale senso morale e per nutrire l’idea, che in lui fu dominante, della Tradizione romana e italiana del pensiero.
Gli studi
È probabile che un maestro di nome Romano lo avviasse ai primi studi della retorica e della grammatica: cosí poté conoscere alcune opere il cui studio era di prammatica per la gioventú di quel tempo: il Salterio, l’Isopo che secondo uno dei primi commentatori di Dante è un «libello dove sono certe favole moralizzate», e un libretto di zoologia allegorica, il Phisiologus, in cui l’esame di taluni costumi degli animali dà modo di pervenire a conclusioni morali e di carattere religioso.
Queste ed altre letture esercitarono un’influenza profonda sullo spirito di Dante.
Poi, nel passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, egli temprava il suo corpo con salutari esercizi fisici come quello del maneggio delle armi, del cavalcare e del cacciare, per conseguire quella efficienza fisica e quella prontezza che erano particolarmente richieste a un cittadino di buon lignaggio e ad un cavaliere.
Al tempo stesso, si dedicò allo studio della poesia provenzale e lesse nella loro lingua Bertran del Bornio, Arnaldo Daniello e altri poeti. Passò quindi allo studio dei poemi e dei romanzi del Ciclo Brettone e del Ciclo Carolingio, la Chanson de Roland e la Chanson de Geste. Con pari amore studiò la musica e la pittura.
Per completare i fondamenti della sua cultura, qualche anno dopo, si recò a Bologna dove frequentò quella Università, ascoltando le lezioni dei piú celebri dotti: tuttavia non conseguí la laurea in nessuna disciplina particolare, essendogli sufficiente, piú che il titolo accademico, la dottrina. Non tralasciava tuttavia di coltivare la poesia a cui era attratto da una vocazione naturale la quale in lui viveva come una virtú assolutamente peculiare. A diciotto anni perciò, egli, «aveva già veduto per sé l’arte del dire parole per rime».
Beatrice
Ma, come si è detto, lo studio e la disciplina in lui non avevano altro compito che di affinare e perfezionare un complesso di virtú naturali dello Spirito. Dante, infatti, era nato poeta: il senso della bellezza e dell’amore era nato con lui.
Non è da meravigliare dunque se, appena compiuto il nono anno, la sua immaginazione, già cosí nobilmente educata, fosse colpita profondamente dalla visione di una creatura che, da quel momento, nei suoi aspetti di bellezza e di grazia, costituí un simbolo vivente dell’ideale mistico e filosofico a cui irresistibilmente tendeva il suo spirito e a cui doveva dedicare la vita e l’intera sua opera.
L’amore di Dante per Beatrice non fu infatti, come vedremo, una semplice passione umana, ma un sentimento vasto di universalità e di carità, che comprendeva al tempo stesso la vocazione verso la suprema saggezza spirituale e quella verso la piú perfetta organizzazione sociale: il Divino e al tempo stesso l’umano. Nel nome di Beatrice dunque era racchiuso anche il significato di amore e di saggezza, di grazia e di potenza, di bellezza e di giustizia: la sua persona simboleggiava per Dante la somma delle virtú terrene che conducono l’uomo verso la perfezione.
La fanciulla era figliola di Folco Portinari e veramente riassumeva in sé le migliori doti fisiche e spirituali: essa perciò diverrà nel poema divino, allegoricamente, anche il simbolo della vera essenza di ogni filosofia, la celeste sapienza, la teologia, «divinarum atque humanarum rerum scientia».
Proseguendo nella nobile fatica degli studi, l’intelletto di Dante si rafforzò ancora, e meglio spaziò nelle piú diverse dottrine, acquisendo cognizioni anche nel campo delle scienze positive e materiali, realizzando dunque quella universalità culturale che è propria del genio.
La sua giovinezza doveva essere turbata, oltre che da considerazioni sullo stato delle umane cose e in particolar modo sulle condizioni politiche della propria patria, anche dal dolore profondo della perdita della donna da lui cosí idealmente amata, la quale moriva avendo appena compiuto il venticinquesimo anno di età.
La Vita Nova
La scomparsa di Beatrice fu un duro colpo per la sua anima; egli dovette il ritorno della calma e della serenità soltanto alla sua forza interiore, ossia alla possibilità di ritrovare Beatrice in un mondo superno cui soltanto un essere della sua levatura spirituale poteva giungere. Scrisse allora sonetti e canzoni di una grazia e di una potenza lirica fino a quei tempi ignote, nelle quali la Beatrice terrena rivisse nel suo aspetto nuovo, quello celeste. Dante dettò in prosa la Vita Nova nella quale, con accenti di una nobilissima passione e di una purissima dedizione, intesse la storia del suo amore per Beatrice, rivelandone tutta la soavità e la potenza interiore.
Nella Vita Nova si ritrova il dramma intimo della giovinezza di Dante e il senso piú profondo di tutta la sua opera. In questo “libello”, che è dedicato a Guido Cavalcanti, il poeta raccoglierà e ordinerà nel 1294, non avendo ancora toccato i trenta anni, venticinque sonetti, quattro canzoni, una ballata e una stanza, tutte rime d’amore composte da lui dal maggio 1274 ossia dall’anno del primo incontro con Beatrice al 1294. Alle poesie si alternano le prose che hanno quasi un carattere esplicativo e forniscono elementi essenziali per la ricostruzione di questa interessante esperienza del poeta, di questo periodo della giovinezza del poeta.
L’amore di Dante
Egli stava quasi per compiere il suo nono anno, quando, un giorno di maggio del 1274, gli apparve una fanciulla cui veniva dato da tutti il nome di Beatrice, vestita di una veste di un tenue color rosso, decentemente ornata e piena di grazia. Essa stessa era da poco entrata nel nono anno.
Alla vista di quella soave creatura. Dante provò un’impressione inconsueta e sentí che la sua immagine angelica da quell’istante avrebbe sempre dominato i suoi pensieri.
Trascorsero nove anni e, verso la nona ora del giorno, Beatrice apparve ancora una volta a Dante, candidamente vestita, in compagnia di due donne gentili: volgendo lo sguardo verso il luogo dove il poeta era intento timidamente nella sua contemplazione, ella lo salutò con fine cortesia e suscitò nell’animo di lui la piú viva beatitudine. Cosí egli incominciò a sognare, e il pensiero di lei occupò con tale intensità il suo animo che, agli amici i quali gli chiedevano la ragione del suo strano aspetto, egli rispondeva che l’amore l’aveva cosí trasformato, e a coloro che gli chiedevano chi fosse l’oggetto di questo amore egli non rispondeva che con un muto sorriso.
Massimo Scaligero (1. continua)
Tratto da: Dante, Domenico Conte Editore, Collana “Vite”, Napoli 1939.