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Non si comprende il ruolo della musica, senza conoscere il processo educativo in tutto il suo complesso.
Platone, Leggi, I 642 A
La musica è la sola scienza che con la sua presenza riesca a conservare per tutta la vita la virtú a chi la possieda.
Platone, Repubblica, VIII 549 B
NASCITA DEL CONCETTO D’ARTE
I – Per un’esposizione sintetica è necessario aver subito chiaro che la Musica, quale insufflato della divinità, ha da essere compresa nella sua accezione pre-manifesta; vi è un giardino delle essenze: là è possibile cogliere i germi ispirativi di quello che poi si svelerà quale opera manifesta. La natura della musica, intesa già dai Greci quale magica e irrazionale epperò scientifica, necessita di una frequentazione limpida e cosciente.
In realtà, nell’elemento essenziale, sovrasustanziale, non esiste fascinazione. L’hortus musicus ospita il germe della manifestazione pre-terrena. Per un vero incarnarsi della musica entro la materia è necessaria una radice invitta: eterna in quanto immortale ed eterna in quanto innatale.
Dal punto di vista terrestre, una ispirata composizione musicale è paragonabile ad un’opera architettonica. Vista con occhi spirituali, un’opera architettonica è paragonabile ad una sinfonia: le forme architettoniche, levandosi al Cielo acquistano qualità lirica, musicale. La forma musicale, invero, non è una forma. Forma musicale è il cristallizzarsi della musica entro l’elemento terrestre. Nel suo cristallizzarsi entro l’elemento terrestre, la musica perde il suo elemento di soggettiva moralità fluidizzante: quell’elemento propriocettivo altro da noi, in grado di farci cogliere il nostro essere nel suo piú intimo aspetto dinamico.
Al sacrificio della musica cristallizzata entro la forma corrisponde l’anelito delle forme a rivelarsi quale atto musicale. I regni della natura sono espressione musicale nel suo compiersi.
L’incontro con il nostro doppio angelicato, con il nostro essere innatale, è essenzialmente incontro musicale partecipe naturalmente di forme e colori. Fare astrazione, nell’elemento spirituale, di musica, colori e forme, sarebbe come considerare, di un albero, esclusivamente le foglie. Compito del compositore, dell’interprete è affinare la propria arte in modo da offrire al sacrificio della musica forme sempre piú eccelse in grado di ospitarne e rivelarne la grandiosa vitalità. Compito del fruitore è sviluppare coscienza in merito al fatto musicale poiché la musica abita la testa, in totale autonomia dal concetto.
La musica, nell’epoca dell’epoca dell’anima cosciente, vuol darsi attraverso rivelazione del proprio significato: oltre l’elemento della forma, attraverso di esso.
II – Il filosofo e aforista rumeno Emil Cioran ha speso lusinghiere e coraggiose parole nei riguardi della musica. Pur dal suo nichilismo, in Cioran bagliori di una fede antica irraggiano un sapere d’altrove, pronti a sconvolgerne l’elemento ossificante. Riporto qui di seguito alcuni dei suoi aforismi.
«Che la musica non sia in alcun modo di essenza umana, ne è prova il fatto che essa non suscita mai la rappresentazione dell’inferno. Nemmeno le marce funebri ci riescono. L’inferno è una attualità, e questo significa che noi serbiamo memoria soltanto del paradiso. Se nel nostro passato immemoriale avessimo conosciuto l’inferno, ora sospireremmo, forse, al ricordo dell’inferno perduto».
«Quando si esaurisce in noi un motivo musicale, il vuoto che in sua vece si crea è illimitato. Niente è piú idoneo a rivelarci la divinità alle frontiere dell’èmpito sonoro, che la moltiplicazione interiore, attraverso il ricordo, di una fuga di Bach. Quando ci torna in mente un motivo, e la sua febbre ascensionale, finiamo per precipitarci direttamente nel divino. La musica è l’emanazione finale dell’universo, come Dio è l’emanazione ultima della musica».
«La meditazione musicale dovrebbe essere il prototipo del pensiero in genere. Quale filosofo ha mai eseguito un motivo fino al suo estremo esaurimento, fino al suo limite estremo? Soltanto nella musica si dà un pensiero compiuto. Dopo aver letto i filosofi piú profondi sentiamo il bisogno di ricominciare da zero. Soltanto la musica ci dà risposte definitive».
«Chi non lo capisce istantaneamente non è mai vissuto nell’intimità della musica. Ogni vera musica è sgorgata dalle lacrime, nata com’è dal rimpianto del paradiso» (“Non posso fare distinzione tra la musica e le lacrime”, scrive Nietzsche).
III – Guardando piú a fondo si potrebbe parlare di un profondo collegamento di questa musica mundana con le sfere spirituali. In tali regioni non è possibile fruire della musica decaduta, prodotta cioè, da gerarchie in grado esclusivamente di scimmiottare quell’ hortus musicus originario, senza tuttavia avere la possibilità di attingere alla radice dell’innatalità. L’esperienza di tale musica è movimento, colore, dinamismo, morale. L’elemento morale è esperienza diretta della forma imprimentesi nell’interiorità: dall’esterno all’interno. Si partecipa alla musica delle sfere con la pienezza e con la responsabilità del proprio essere. Tutto è rovescio di ciò che si fu.
Le forme attualizzano il passato dell’individualità nell’impossibilità di poter sperimentare l’elemento dell’hic et nunc, ossia nella possibilità di sperimentare esclusivamente il prodotto del proprio fui, in relazione immediata, dinamica, del proprio Essere.
Riporto qui di seguito un mio scritto pubblicato sull’Archetipo del luglio 2014 perché lo ritengo molto in linea con quanto vorrei esprimere nell’articolo
(https://www.larchetipo.com/2014/lug14/sonorita.pdf):
«Questa mattina sono stato svegliato dal canto degli uccelli. Nel dormiveglia ho individuato la tonalità di quei canti apparentemente sconnessi. Ho ascoltato in maniera totalmente differente il canto di questi esseri cosí legati al Sole. Quei suoni erano carichi di significato. Credo che la forma musicale definita come “fuga” sia il prototipo di un dialogo perfetto. Ogni voce sviluppa, inventa, elabora ed esaurisce un determinato tema sia singolarmente che collettivamente. La totalità delle voci costituenti la fuga, origina quindi una struttura architettonica di cui è impossibile spiegare l’origine. Se sostituissimo in una fuga il linguaggio musicale con il linguaggio corrente, dovremmo essere in grado di far parlare simultaneamente – ad esempio – tre persone. Ognuna di queste persone dovrebbe pronunciare un discorso compiuto e simultaneo alle altre. Da questi tre discorsi simultanei dovrebbe nascerne un altro, creato appunto dalla sovrapposizione dei tre. Il pensiero umano non può rappresentare razionalmente questo procedimento musicale. Come spiegare? La nostra percezione, “porta verso noi” dei dati esterni che filtrati attraverso il pensiero (quante persone sono in grado di pensare liberamente?) contribuiscono a formare un certo mondo interiore. Se avessimo invece, una volta ricordata la nostra indissolubile fratellanza, la possibilità di percepire l’esteriorità come ciò che il nostro essere individuale depone nel cuore di ogni individuo incontrato, dopo un primo eventuale momento di angoscia e oscuramento, incominceremmo ad amare incondizionatamente. E questo amore donato sarebbe la nostra unica luce in cui orientarci per il mondo. Direi allora “Il mio mondo è l’amore che lascio nel cuore altrui”. Se fossi un uccello quindi direi “canto l’amore che ho donato e che trovo nel cuore altrui”. In nome di questa generosità, ancora troppo lontana forse per l’agire umano, spiego il canto degli uccelli e la complessità strutturale della fuga».
Nicola Gelo (1. continua)