Non dovremo soltanto limitarci a sorvegliare i poeti costringendoli a trasfondere nelle loro opere il modello delle buone consuetudini, ma dovremo anche curare altri artisti, per impedire che riproducano questo malcostume, dissoluto, volgare e vergognoso nei loro quadri, nei loro edifici e in ogni altro manufatto. E a chi non sa fare che questo si impedirà di operare qui da noi, per evitare che i nostri Custodi, allevati fra immagini di vizio, come fra male erbe, a furia di raccoglierne e di brucarne in abbondanza, un po’ per giorno da tutte le parti, non finiscano per accumulare nella loro anima, senza neppure accorgersene, un gran male. E sarà il caso di porsi alla ricerca di quegli artisti che, per istinto, sanno mettersi sulle tracce di ciò che è autenticamente bello e decoroso, per far sí che i nostri giovani, quasi vivessero in un luogo salubre, possano trarne ogni beneficio. È come se da quelle belle opere giungesse, ai loro occhi e ai loro orecchi, una specie di brezza che porta refrigerio da zone salutari, la quale, subito, fin da bambini, senza che neppur se ne rendano conto, riesce a condurli ad una forma di sintonia, di collaborazione e di affinità sostanziale con la sana ragione.
Platone, Repubblica, III 401 B-D
MUSICA OCCULTA
VII – La grande operazione condotta dai Greci fu quella di bonificare da ogni retroscena magico l’ambito occulto in cui pure inserivano le scuole filosofiche e le sedi di Misteri. Nel Greco viveva una sorta di straordinario corpo imitativo. Tale corpo non permetteva solamente di tastare le idee, ma poneva gli uomini in una particolare condizione di apertura al mondo, non ancora libera, poiché incapace di orientarsi in un ambito ritmico-respiratorio. Per alcuni versi è possibile paragonare l’uomo Greco ad una sorta di asmatico, la cui salute lo ponesse costantemente nella condizione di agire nel mondo per alleggerirne la terrestrità inspirata a livello neuro-sensoriale.
I Greci svilupparono un pensiero riguardo al corpo imitativo e svilupparono un’arte in grado di proteggerli da una sovraesposizione che li avrebbe afferrati nell’intimità del loro essere.
Quando Fëdor Dostoevskij volle rappresentare un uomo positivamente buono, un Cristo del XIX secolo, lasciò che fosse il principe Myskin a rappresentarlo. E chi è il principe Myskin? Il principe Myskin è l’Idiota proprio nell’accezione etimologica di ídios, peculiare. Un uomo positivamente buono che vede attraverso i pensieri di tutti quelli che gli sono intorno. Il principe Myskin è idiota proprio perché non in grado chiudersi alle impressioni del mondo.
«L’innocenza (nell’adulto, ndr) è una colpa» – sostiene Pier Paolo Pasolini ne La sequenza del fiore di carta. L’adulto non può essere innocente, non può essere inconsapevole. L’innocenza, invero, rivela il suo reale carattere, la sua inconsapevolezza nei confronti del male, proprio in quelle individualità che non possono chiudersi alle impressioni del mondo. Gli idioti sono velati di innocenza, ed in questo vivono l’esperienza iniziatica della condivisione, poiché fu proprio Gesú Cristo ad arrivare alla soglia dei trentatré anni, come un infante, completamente esposto alle impressioni del mondo.
«Oggi Ella mi scrive, rassicurandomi di quello che io già sentivo segretamente e non volevo credere a me stesso; mi scrive che in cotesta terra io ci ho posto il piede e che potrò, se non mi lascerò disviare, anche inoltrarvimi. Ecco un’altèra e piú solenne festa del mio spirito; e io posso dire con gran gioia a me stesso – con Dante ma con maggiore e miglior coscienza – “incipit vita nova”! Al principio di questa nuova vita Ella fra i confortanti auguri, mi scrive che leggendomi ha “sentito sé fuori di sé”; cioè ha sentito sé anche in me. Stupenda parola per un sentimento stupendo».
Lettera di Giovanni Gentile a Donato Jaja
del 7 ottobre 1897, Carteggio Gentile-Jaja.
VIII – Né mai sarà possibile prendere le mosse dalla manifestazione sonora onde poterne ricavare il retroscena spirituale: fondamento della manifestazione musicale.
Il mistero di tale manifestazione è nella caduta nel tempo. La musica ha da attraversare il tempo e, in un certo modo, rimanervi invischiata. Nasce cosí la nostra musica, quella che si svolge entro l’elemento temporale. Nel mondo spirituale un solo suono veicola mondi. Una composizione musicale potrebbe essere intesa come uno svolgimento entro il campo terrestre, dell’esperienza di un solo unico suono inteso spiritualmente. Cosí come un nocciolo incandescente si raffredda entrando a contatto con la nostra atmosfera, allo stesso modo un suono dovrà svolgersi entro l’elemento temporale, entrando a contatto con l’atmosfera terrestre.
Vi è però un punto in cui la temporalità si rivela quale manifestazione di una simultaneità originaria. Ciò che tiene unita la composizione musicale entro la forma musicale è logos, appunto.
Nell’intervallo, nelle proporzioni intervallari, vive un respiro originario della musica. L’intervallo, potremmo dire senza esagerare, rappresenta il fantoma dei suoni. La musica è arte della connessione, rivela connessioni. La forza che nel pensiero pensante opera quale trama connessiva, è continuamente affiorante nel discorso musicale. In realtà l’intervallo non è una sola linea di forza, non solo un rapporto. L’intervallo è la porticina che permette di addentrarsi nella manifestazione occulta, e quindi reale, dell’essere della musica.
IX – In questo consiste l’acquisizione futura della coscienza d’ottava. La coscienza del melos presente all’interno del singolo suono sarà resa possibile da una nuova esperienza della temporalità, ossia dalla coscienza di una relazione tra gli elementi temporali. Cosí come per il pensiero vivente, la realtà dell’ottava è presagita, pensata, ma non mai sperimentata.
L’esperienza dell’ottava è esperienza dell’Io nell’Io, del trovare me in me stesso. La realtà dell’ottava vive già entro l’esperienza iniziatica della grande calma e opera in noi quale risonanza.
Giovanni Gentile iniziò a considerare – in modo ancora cauto e intuitivo – la possibilità di intendere l’Io non quale centralità circoscritta ma quale centralità sconfinante dall’individuo corporeo.
Muovendo dalla etimologia di individuo potremmo dire che tutto quel che non si può dividere è individuo. Se il mio essere mi ponesse in uno stato di reale comunione con l’essere dell’individualità, allora potrei sperimentare me stesso entro l’altro. L’ottava è un trovare se stessi entro i limiti della propria corporeità spirituale, non entro l’altro.
La corporeità spirituale è l’ineffabile confine della coscienza dell’Io: là risuona la mia ottava.
Vi è una socialità che nega l’individuale e l’individuo: è una socialità annullantesi entro un noi privo di Io. Tale socialità richiede aggregazione per retrocedere nell’esperienza dell’io di gruppo, essendo già perduta l’esperienza dell’Io individuale. L’Io vince sempre solo.
L’Io che abbia vinto la pluralità degli istinti, che abbia in definitiva transustanziato se stesso, potrà incontrare una socialità nuova – sempre entro la stessa – poiché le forze del suo Io si fanno substantia, inoculo dell’Io, per l’Io, epperò dell’Io altrui. Non vi è realmente – e a queste condizioni – un Tu che non voglia dire Io. L’esercizio pronominale cessa di svolgersi poiché ultima, in questa circostanza, il suo scopo. L’Io ritrova nell’Io, l’Io stesso. La vita dell’Io è vita per l’Io, nell’Io stesso.
La corporeità spirituale è coscienza dell’Io, l’ottava di cui si avrà coscienza non appena l’esperienza dell’Io sarà portata avanti dall’umanità.
La coscienza d’ottava è altresí veicolata all’esperienza del melos d’unisono, cioè alla melodia verticale, operante nel singolo suono.
Il melos d’unisono ha da vincere il tempo, non lo spazio. La spazialità agisce sul piano manifesto – non reale – della vera esperienza musicale. La spazialità nella musica è mera illusione permettente altresí lo svolgimento temporale della stessa.
L’esperienza della quinta è l’equilibrio del bilancino dell’orefice. La quinta rappresentava – nelle epoche antiche – la sospensione tra lo stato escarnativo ed il futuro processo incarnativo. soglia sperimentava l’armonia delle quinte quale un risuonare aureo, irradiante, pur sempre al di fuori della propria corporeità. L’armonia delle quinte è in stretta relazione con l’equilibrio e con la risonanza che precede e regge i processi di equilibrio.
Si parla di atmosfera delle quinte: nessuna espressione potrebbe risultare piú calzante e poetica. La quinta è realmente atmosfera, involucro circondante, avvolgente: una prima idea di pelle. La quinta è atmosfera ed opera avvolgendo e circondando; in questa atmosfera equorea agiscono i nutrienti per il nostro essere.
L’intervallo di quinta, nell’attuale definizione, non può essere né maggiore né minore ma soltanto giusto.
L’atmosfera di quinta è l’atmosfera del giusto, l’atmosfera in cui, arcaicamente, scorre quell’humus in grado di far sviluppare, accrescere e sostenere i processi di autonomia. Il Giusto ci sovrasta, è provvidenza ed agisce secondo le proprie regole, il proprio tempo, il proprio spazio. Una saggezza operante agisce attraverso l’atmosfera della quinta.
L’atmosfera non è totale comunione con una saggezza operante, ma è un essere dislocati au-delà dall’ambito della saggezza, facendovi tuttavia ancora parte.
L’atmosfera della quinta è il cosmo della divinità carezzante l’idea dell’umano.
L’uomo che sia attualmente autorizzato a produrre l’atmosfera della quinta – e non caratterizzarne l’esperienza – opera in sintonia con le Gerarchie spirituali, mandatario di un compito di straordinaria levatura poiché cooperante, non continuante, con l’azione delle Gerarchie: l’opera si manifesta per mezzo del musikòs anér.
L’uomo musico, il corpo musicale dell’uomo, è di per sé musica e veicola musica ancor prima di rappresentarla attraverso uno strumento.
Il maestro non richiamerà necessariamente tale atmosfera per mezzo della musica: dovrà egli stesso essere in grado di portare tale esperienza attraverso la musicalità del suo stesso essere. Il maestro dovrà essere tutto pervaso di tale coscienza musicale. Nel fiore profumato il profumo avvolge la totalità della pianta che – in un certo senso – vive per l’idea del profumo.
Nicola Gelo (3. continua)